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robe pedagogiche

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Sono un paio di giorni che faccio quelle cose assurde che si fanno per i figli, di quelle cose assurde che solo un genitore riesce a fare nella certezza che,  in quel momento,  il figlio sarà piuttosto scazzato e dirà annoiato “ah”, non avendo evidentemente capito nulla della mole immane di fatica ed energia spostate per quella cosa lì.
Digressione uno: ecco che di colpo si rinnova lo specchio generazionale, che permette di capire un pò di più i genitori. Capire mia madre, in quanto madre di una adolescente complessa (ci sono ados non complessi? mah??), che faceva cose alle quali non solo io non attribuivo alcun valore, ma che nemmeno capivo. Erano “robe” scontate.  Probabilmente, e a sua insaputa, erano i baluardi del mio diventare adulta, dell’imparare un certo atteggiamento “donativo”. In ogni caso ad ogni step della crescita delle due figlie, c’è una diverso livello di comprensione del mio ruolo di madre, che si riverbera nel tempo di quando io ero piccola e mia madre molto più giovane. Se è possibile, ciò accresce la stima verso il suo esser madre, nelle fatiche, nel sopravvivere a certi rifiuti rivendicativi, nella tenerezza verso un essere minimo che diventa insplicabilmente adulto e ciononostante amato ed accudito, accettato nella sua distanza abissale.

Il tiro che vorrei tenere, però è la sincronia con me stessa, perchè lo scontento e la noia preadolescenziali non mi infilino in un tunnel di scontentezza; l’aver risolto il dannato problema di invio sms del telefonino nuovo della grande, fa parte della mia competenza umana, del piacere che sento quando risolvo una grana legata alla tecnologia, del riuscire a non farmi ingabbiare dai miei “non so”. Se andrà tutto bene questo sarà un sapere che lei  erediterà e riceverà, indirettamente e inconsapevolemente, e magari che riuscirà pure ad utilizzare. O magari ne trarrà qualche altro spunto per fare ed esser se stessa.

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