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ma disabile cos’è

4 commenti

E’ un tema ricorrente questo, per me; un pò per lavoro un pò perchè contiene una dimensione esistenziale che va oltre la parola in se.  Sarà che è di questi giorni un lavoro che mi porta ad occuparmi di chi con la disabilità si occupa, per professione.

Osservare chi opera con la disabilità è osservare ciò che della disabilità c’è di più manifesto, il limite fisico, picologico, cognitivo, o l’impaccio, la fisicità non “normata” dai canoni estetici della velina o del calciatore e via di seguito. E’ ciò che la disabilità mostra di sè, non ciò che il disabile narra davvero.

E’ più facile per chi vi opera vedere appunto la disabilità, non il chi è la persona che la “porta”; anche i genitori alla volte cadono in questo gioco (anche se un pò meno). Lo stesso rischio lo incontrano i medici che vedono patologia e il malato, gli insegnanti che vedono la pagella e non l’alunno, i politici che vedono il voto e non i problemi della gente, e via discorrendo.

Alla fine oggi c’è una società disabile, basta o basterebbe osservarla per vederla, basta vederci. Una società che fa di ogni vincolo un modo per fermarsi alla prima apparenza, al primo sguardo, per non allungarlo, per non sbirciare al futuro, al possibile, al probabile, e alla propria reale difficoltà. Una società che non vede e non si vede.

Abbiamo voglia ad aver pietà, o al peggio fastidio, di chi la disabilità … la conosce davvero, è un paradosso ma son più fortunati (ovviamente nel reale così non è, non è così ovvio o banale) perchè i limiti che il loro corpo offre soro reali e difficilmente superabili. E se li superano è perchè li vogliono incontrare.

Perchè non si limitano a veder la disabilità. Ma vedono se stessi.

Possiamo onestamente dire che stiamo facendo la stessa fatica?

4 thoughts on “ma disabile cos’è

  1. disabilità è uno sguardo che ti sbatte al muro, un sentimento che non conosci e che ti sei perso. Disabilità è la gran fatica di raggiungere quei limiti ed affacciarsi alla finestra: “io ci sono” ci dice e sta a noi imparare a non fermarci sul vetro ma entrare.
    No, non credo si stia facendo la fatica che dovremmo…

  2. io coi ragazzi disabili (più o meno gravi, mai gravissimi, però), ci lavoro da quando sono entrata nella scuola. e constato ogni giorno la difficoltà di far accettare la diversità e includerla nel gruppo (sono una che cerca di non far uscire il ragazzo disabile con l’insegnante di sostegno, ma di farlo rimanere in classe, per quanto si può), sia da parte dei colleghi che da parte dei genitori, talvolta assenti, talvolta ossesionati dal raggiungimento della performance.
    io credo che la disabilità metta ognuno di noi di fronte ai limiti, a quelli degli altri e ai nostri, ai miei che tante volte mi rendo conto di non farcela a lavorare come vorrei con questi ragazzi.

    • ecco che qui io aprirei un dibattitone sulla e con la scuola. ma mi chiedo … ma come fate? è una faticaccia. niente equipes o supervisoni proprio per trattare tutte quelle asperità che un solo docente non può trattare. mi ricordo a scuola come educatrice di sostegno sui casi di diasabili i minuti rubati con i prof interessati a ragionare sulle difficoltà, di certe situazioni (un alunno con tratti schizoidi, per la cronaca), mai un incontro collegiale, mai una riunione di rete, mai una riflessione sul senso dell’educare a scuola. ho visto i prof prigionieri della burocrazia, dell’orario e del programma.
      ed è un peccato perchè per me, come operatore dell’educare, la scuola pare una bella palestra di cultura, apprendimento, incontro, formazione…
      ma così com’è è invitabile, come dici tu, avere la sensazione di non potercela fare … o no?

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