Si comincia con una riflessione che ho condiviso con una amica “di blog” e siccome poi pochi minuti fa, on topic, ho letto un bellissimo – lasciatemelo dire – post di mammaamsterdam sulla prostituzione, sulle veline e sull’uso dei corpi, vi aggiungo anche quello .
Ne metto un pezzetto come intro e poi potete finire di leggerlo comodamente sul blog di mammaamsterdam …
Mettetevi ben comodi, ce n’è da leggerne, qui.
Dunque, eccoci:
(disclaimer si parla del network donne pensanti ma per estensione io penso al movimento di “rivolta” – verso questa incessante visione di pezzi di corpi di donna, anatomie inutili, movimento che è molto attivo sui principali network e molto discusso su un crescente numero di blog )
E poi uno dice “donne pensanti” …
Questo testo è frutto di uno scambio di riflessioni tra me e x, e mi piacerebbe tenerne una sorta di tessuto/ struttura narrativa dialogico, proprio perchè è anche grazie a quel dialogo che il termine “pensanti” ha assunto uno spessore diverso.
Tutti siamo esseri pensanti, non solo le donne, non solo gli uomini.
Qualcuno di casa mi ha fatto notare che definire un blog “donne pensanti” rischiava di risultare un pò strano, già perchè appunto tutti siamo pensanti. Insomma quel pensante mi è stato fatto notare più volte, e strenuamente ne ho discusso difendendone il senso. Era un pensare diverso. Ma mai discutere chi si è formato in luoghi filosofici … 🙂
Ma tornando a noi: già perchè anche le veline pensano e non è detto che pensino male,!
E pensa anche chi usa capziosamente le immagini femminili … purchè “ignude”, pensa molto “bene” e sceglie.
Così quel pensanti rischiava di risultare pomposo o irridente.
Nel frattempo il network (donne pensanti n.d.r.) su cui scrivo talvolta ed è uno dei forti motori, insieme ad altre associazioni è cresciuto, in dimensioni e capacità di fare pressioni sul tema donne “svestite” e svaluate, così come insieme ad essa è montata insieme, nello stesso spazio tempo (il web) una marea nera e fumigante, di proteste “al femminile”. Alcune decisamente femministe, altre meno. C’è stato il grande successo del “Corpo delle donne” di Lorella Zanardo, anche a livello europeo e ci son state mille e una proteste che hanno cominciato a confluire in quel ribollire. Di certo qualcosa si è mosso e si sta muovendo.
Ed è bello.
Ma mi si è insinuato un dubbio, che ho condiviso con x, e con altri …., dacchè la protesta è bella, forte, vivace, irruenta, spacca, scardina, travolge, scova, espunge, svela, denuda … ma è un pensanti che agisce, spezza, corrode, spinge al mutmento.
Ma nella traccia di un discorso è apparsa la necessità di sostanziare quel “pensare”.
Dove lo mettiamo quel pensare, che è diverso dall’azione, quel pensare che viene insieme e costruisce il nuovo, che è la proposta accanto ai ruderi i ciò che si è così potentemente smontato.
M.:
“ una volta che si sono smontati gli stereotipi (n.d.r. della “velina”) in base a cosa si ricostruisce?
come diamo valore a quel “pensanti”?
Qual’è il senso che assume questo termine, se in fondo è vero quanto mi diceva una persona: tutti e tutte pensano.
non solo le donne pensanti … ma qual’è la qualità del pensare, qual’è la dimensione pedagogica, culturale, etica, umana che si vuole aggiungere per fare smettere questo delirio in cui “tette&culi” siano solo merce, come si fa a costruire un contesto in cui l’uso del corpo sia essere soggetto, abbia intenzione, interazione.
come facciamo a non disperdere il diritto alla provocazione del corpo che può essere anche sessuale, come possiamo tenere il valore della trasgressione, o il diritto ad esercitare la nostra voglia di donne “del desiderio” che seducono il loro compagno/uomo/marito ….”
x:
“temo che la posizione sulla quale ci stiamo interrogando sia la più difficile….l’atto della denuncia denuncia infatti ha il vantaggio di una certa “economia concettuale”… è una azione veloce, rapida, [ …] ma poi occorre una altrenativa, in seguito […] L’alternativa consiste nel cercare secondo me di immettere temi di discussione, fare emergere le esperienze dei singoli, di scardinare il sistema merceologico che vuole che l’oggetto di interesse sia quello che vende. […]
Ma è faticoso! Spesso quando quando si tratta di elaborare di più i concetti ecco che la gente si annoia … e i tentativi di creare momenti che stimolino discussioni un po’ più complesse e articolate vanno in fumo, come se leggere più di 4 righe o o esprimere più parole nuove creasse disagio, noia …….
M.:
“Direi che hai centrato perfettamente il cuore di ciò che va espresso. Il cambiamento costa fatica, ma solo la fatica permette di produrre risultati.”
Così mentre tento di riassemblare insieme i frammenti di una chat, mi immagino le nostre figlie, le sorelle più giovani, quelle di noi che si affacciano alla vita, al lavoro, al mondo degli affetti e si chiedono cosa farsene di quei corpi, che in dialogo perpetuo con il loro pensare compongono loro stesse, noi stesse.
E vedo una simile deriva:
la negazione: la negazione più profonda dietro un burqua, come nel corpo ipersessualizzato per vender prosciutti o reality, la negazione di pari opportunità nel lavoro, la negazione di una maternità tutelata adeguatamente e assurta a privilegio di poche, la negazione di una libertà sessuale di recente conquista, e quella relativa alle scelte di vita e realizzazione di se anche fuori dal matrimonio.
Ma a buttarsi nel esecrare tutto il corpo “da vedere” si rischia di negarlo di nuovo, di negare noi stesse di nuovo.
Essere Pensanti significa forse ritrovare in quei corpi ed esposti in alcuni luoghi dove devono resistere, ed esistere ancora. Luoghi dove i corpi ancora esposti hanno un senso (l’arte? il cinema?). Dove possono sostare eppure nudi, eppure pieni di significati, quelli che sono contenuti da un corpo che non perde di interezza.
Per non ritrovarsi prigioniere come in passato di corpi negati, e quindi di pensieri negati.
E di negare un futuro diverso con gli uomini che non negano il loro corpo e non negano il nostro.
Si fa fatica a seguire questi pensieri?
Magari si?
Ci si annoia, ed è difficile seguirli?
Forse si.
Ma è una fatica che fa crescere.
E’ la nostra sfida …
Ecco invece il controcanto di Mammaamasterdam; è un passaggio azzardato, lo ammetto. Ma è uno sguardo, il suo, che non delega il pensiero e lo assume sino in fondo, fino a dare quasi fastidio, perchè è da quel fastidio che possiamo credere, cominciare, imparare.
“È terrificante pensare come il tessuto di sostegno sociale stia fallendo in questo momento, come i genitori, la scuola, gli esempi, le pressioni esterne stiano modellando una cultura del de-merito. Come dice giustamente Roberta, questa serena convinzione per cui non serve sbattersi, non serve essere onesti, non serve rispettare le leggi. Basta vendersi, e non mi riferisco solo al sesso, per avere successo nella vita.
Qui, altro che normalizzazione della prostituzione, qui siamo finiti nella prostituzione della normalità, non sappiamo come sia successo e ci stiamo pure chiedendo se ne verremo mai fuori. A questo punto il condannare le escort che amano la bella vita facile scusate, ma mi sembra sparare sulla croce rossa.” (Continua qui…)
21 Maggio 2010 alle 22:34
Manco a farlo apposta, ieri sera molto tardi c’era una trasmissione in seconda serata che mio marito seguiva addormentato sul divano e io orecchiavo distrattamente dal PC. E c’er la Lori del Santo che pontificava sulla donna che riceve regali e che ricevere regali è un’arte e che però poi bisogna restituirli e pitipì e patapà. Un disgusto m’è salito. E ho ripensato che lei è proprio una delle protagoniste dell’inizio della decadenza della figura della donna dopo le conquiste femministe. Lei, Drive in, il”simpatico” Antonio Ricci che fa tanto il sinistrosro e poi è uno dei fautori dello sconcertante mercimonio del corpo femminile e del velinismo imperante che cerchiamo, noi “donne normali” di combattere giorno dopo giorno nel nostro quotidiano.
Che dire.
Il discorso è immenso.
Lo riassumo con una parola: rivoluzione. Quella che è rimasta incompleta dal femminismo, che non si è trasformata in leggi (o solo in deboli leggi) o che se lo è stato, nessuno riesee a farle rispettare. E’ assurdo che la parità e l’uguaglianza debbano essere sancite per legge, tanto sarebbero concetti “banali”. E allora i cambiamenti radicali si ottengono con una rivoluzione. Che sia almeno del pensiero…..
Grazie per questo bello spaccato della fervente attività intellettuale!
22 Maggio 2010 alle 07:33
ok. rivoluzioniamo l’ovvio e più l’ovvietà che ne esce …
🙂
21 Maggio 2010 alle 23:15
Epperò, Monica, e pensare che a me sembrava un po’una chiusa ad effetto, tanto perche tutto il resto credevo fossero osservazioni sparse tra loro e bisognava in qualche modo tenerle insieme. Si vede che scrivere di botto sulle cose che rimugino per un bel po’ mi fa questo effetto maieutico su di me, dico cose che non sapevo di pensare.
Sul discorso donne pensanti, io posso solo dire che pensare è un lavoro faticoso, ma qualcuno, meglio se tanti uandonn tutti, deve farlo. Perché se non lo fai, per comodità, per stanchezza, per quello che vuoi, ala fine la vita ti chiede il conto. Però è scomodo, non ci illudiamo. Ma imprescindibile.
22 Maggio 2010 alle 07:32
@mamam
lo so. persino sul lavoro viene fuori che pensare è faticoso, e al farlo si preferisce soffrire come cani. piuttosto che rischiare 5 minuti di pensiero in più ….
ma questa marea nera ribollente deve lasciare spazio ai nostri figli per non perdersi … deve dargli la possibilità di guardare il mondo complesso … azzzzzzzzzzzzz
22 Maggio 2010 alle 07:20
Ecco qui un blog scolastico che è nel circuito abbattimento degli stereotipi (http://sequestaeunadonna.blogspot.com/), e una serie di domande che mi faccio in merito …
qualche giorno fa avrei paludito e basta all’iniziativa oggi mi faccio molte più domande.
Dove mettiamo il desiderio maschile, inequivocabilmente diverso da quello femminile, dove mettiamo i distinguo nell’uso delle immagini.
Perchè tempo fa quando esprimevo la mia grandissima perplessità su una pubblicità (ma dove cavolo l’ho scritto?) in cui per vedere un prosciutto si vedeva un bimbetto con la stessa faccia voluttuosa e sensuale della bella “topolona” o di quella che fa l’amore con il sapore.
Io rivendico il diritto a non smettere di vedere corpi nudi, di uomini e di donne, immagini sensuali … senza metterle tutte nel trita rifiuti di una berlina mediatica opposta e uguale.
Voglio capire i corsi e ricorsi storici, il valore che si da ai corpi, alla loro mercificazione, alla loro esposizione, voglio capire quando il corpo è percepito intero, nell’arte, nelle mode, nelle immagini.
Voglio i distinguo, voglio capire se una pubblicità mi seduce con il sesso o con altre voluttà, perchè in gioco è la comunicazione insieme al corpo delle donne.
Voglio rivendicare che la liberazione delle donne passa (o è passata) anche dal corpo, dalla libera rivelazione della sessualità, della nudità, dai vincoli passati.
Non voglio un chador/bavaglio uguale e contrario all’obbligo del “tetteculismo” televisivo.
Voglio spaccare il deja vu, l’ovvio, la controdipendenza.
Non mi piace questa pervasiva ostinazione a demonizzare ogni pezzo di corpo, eppure mi infastisce si. Mi da tantissimo fastidio, mi irrita, offende, non mi fa pensare. Esattamente come, oggi, mi ottunde il suo opposto.
La tv è il demonio? La pubblicità è il demonio? Il merketing è il demonio?
O è più demoniaca, se ci piace la metafora, la nostra non consapevolezza?
Il non cercare negli stereotipi, non cercare di capire, non affondare la lama acuta dell’analisi, non voler complessificare lo sguardo, accettando un altro ovvio, l’ovvio dell’opposto.
Mi fa rabbia, questo, perchè contiene la impossibilità di costruire altro.
Per ora vedo un gran demolire e poi?
Cosa lasciamo di nuovo a chi sta arrivando, ai nostri figli e figlie?
22 Maggio 2010 alle 09:10
22 Maggio 2010 alle 18:16
che dire….un’amica….mooolto più impegnata di me rispetto alla riflessione sul femminismo, mi diceva quanto fosse triste il dover specificare l’aggettivo “pensante” rivolto alla donna..ricordo che poi parlammo di quanto la cosa ancora più triste fosse doverlo specificare anche per gli uomini….cioè, in fondo, “pensare” è qualcosa che fatica ad essere riconosciuto in generale.
O meglio, c’è un pensare (veloce) scollegato dal resto…soprattutto dal “corpo”. Non è un caso, forse, che alcune discipline, per loro natura “olistiche” siano in crisi (vedi l’educazione)