E’ evidente che non siamo ancora educati alla società dei media e dei reality, non siamo ancora in grado di governare o almeno di navigare a vista tra gli scogli di ciò che e’ pubblico e privato.
Siamo (sono di una) una generazione cresciuta a pane e nutella, che andava a letto dopo carosello, e poi che ha imparato tutto da Mazinga e da Candy Candy.
E poi da un mondo edulcorato ci siamo trovati a galleggiare del mare magnum della informazione diffusa, orizzontale e globalizzata, del grande fratello e dei reality, dei social network e della velocità comunicativa, del consumo veloce delle informazioni.
Nessuno ci ha insegnato come, perché siamo i primi a vivere qui ed ora.
Siamo gli primi sperimentatori mescolati ai costruttori di questa nuova modalità di sapere, conoscere, narrare, imparare, usare, manipolare.
Siamo la generazione beta test di un processo tanto nuovo quanto inconoscibile, in cui vecchio e nuovo si mescolano in strati, ad oggi, incomprensibili.
Ed ecco la news della notizia di una morte tragica, data in diretta, alla madre della vittima senza filtri, pensieri, dubbi.
Uno sguardo su una nostra fragilità (la morte) e su un nostro abisso, il bisogno di vivere quest’epoca di visibilità. Un modo di vedersi per sentirsi, sentire che si e’, per sentire un senso di se, dove il senso comune sfugge sottotracccia.
La tv offre quel senso di se, lo vicaria. Internet, ugualmente ha la stessa funzione, forse meno passiva ma altrettanto potente nel dare il senso di se….
Tra pubblico e privato c’è una sottile trama, che si frappone tra la completa esposizione della propria intimità e la parte pubblica e narrabile, della nostra storia; saper riconoscere la densità della trama, saper capire quanto è velleitaria, cogliere il punto in cui è collocabile, e dove mettiamo il confine tra se e alter è essenziale.
Ma stiamo ancora imparando, i più accorti sanno già molto, in molti altri ci barcameniano con il buon senso, altri invece affogano nella visibilità creduta identitaria.
E finiscono malamente ” maciullati” nel tritattutto mediatico, che produce in fretta, che brutalizza la notizia e i sentimenti, che sevizia il dolore e lo mostra tanto nudo, che da umano diventa innaturale. Il sistema dei media vive e si mostra come un ciclope accecato, che non sa senza elaborare pensieri su ciò che produce.
Per noi , naviganti a vista, restano un pugno di domande.
La fretta è nemica?
I media sono i veri mostri?
I giornalisti, si giocano l’umanità per lo share di ascolti, e noi blogger lo facciamo?
Pensare in fretta è virtù o dannazione?
Chi siamo nei socialnetwork quando spariamo fuori le notizie e i pensieri a casaccio.
A me resta una sola consolazione: possiamo e dobbiamo imparare da ciò che succede.
A noi resta una resposabilità educativa collettiva, insegnare ciò che stiamo imparando o almeno tentare di narrare cosa ci sta succedendo.
8 ottobre 2010 alle 13:05
aggiungo il post di giovanna cosenza che ho appena letto e dove ho scritto un commento che procede con il pensiero che ho tentato di esporre con questo post…
http://giovannacosenza.wordpress.com/2010/10/08/avetrana-orrore-reale-e-mediatico/
9 ottobre 2010 alle 13:44
nulla da aggiungere…sono molto d’accordo con quanto scrivi. Ed è una questione importante, quella che poni.