Posto qui una riflessione conseguente ad un post su Mammeacrobate, visto che forse quello non è il luogo dove approfondire queste riflessioni. Mi sembrava pedante ed antipatico provare a ri-tematizzare alcune riflessioni, lì. Sarà che è un contesto che non conosco affetto e no avevo voglia di rischiare di attizzare un flame inconsapevole, così riporto la riflessione nei miei confini familiari. Sperando sinceramente che possa – prima o poi – anche spostarsi ad altri contesti.
Ecco il nodo da cui partire, un articolo di Paola Liberace, che forse non abbiamo subito capito. E poi c’è il dibattito successivo.
In particolare faccio riferimento alle parole postate da una insegnante e madre, dice Serena:
“Dico solo un paio di cose che mi sono venute in mente grazie alla mia esperienza (abbastanza recente) di mamma e di insegnante. Il bisogno più grande che hanno i figli nei confronti dei genitori è quello della RELAZIONE, e non dell’accudimento, come invece pensano la maggior parte dei genitori: l’accudimento credo si possa delegare anche “massicciamente” ad altre figure (nonni, baby-sitter o nidi…), ma la relazione assolutamente no. I figli prendono da noi la loro stessa identità e se noi siamo assenti la perdono, restano smarriti.
Ma il compito “relazionale” è faticoso, molto più di quello dell’accudimento, perchè ti mette in discussione, nelle scelte, nelle posizioni, nei comporamenti, nella vita isomma. Per questo i genitori, fragili, spesso vi abdicano. Per questo i figli spesso non sanno più chi sono.”
E qui, scusate, scendo a gamba tesa nel mood più professionale che posso, e qui non mi gioco solo la mammitudine, ma forse soprattutto ciò che so come persona con una certa formazione e anni di lavoro con disabili e bimbi ….
Intanto la relazione cos’è? Wikipedia ce la illustra così, ma forse la parte che ci riguarda è questa ” L’espressione relazione interpersonale, o relazione sociale, si riferisce al rapporto che intercorre tra due o più individui. Queste relazioni si possono basare su sentimenti (come amore, simpatia, amicizia) come anche in base a passioni condivise e/o ad impegni sociali e/o professionali. le relazioni sociali hanno luogo in ogni contesto umano: dai rapporti di amicizia, alla famiglia a qualsiasi forma di aggregazione umana. Parlando di relazioni di coppia ci si riferisce spesso ad un rapporto sentimentale e/o intimo tra due persone come ad esempio nella coppia di amanti, o nella coppia genitoriale o nel rapporto genitore-figlio. (sempre Wikipedia)”.
Però lascerei a voi altri l’impegno di dipanare la faccenda cosa è “relazione”?
Mi voglio concentrare invece sulle pratiche di accudimento, che a dire di Serena, possono invece esser delegate senza problemi ad altri (nonni, babysitter etc etc).
Accudire = [ac-cu-dì-re] (accudìsco, -sci, -sce, accudìscono; accudènte; accudìto)
Attendere, applicarsi a qualcosa: a. ai lavori domestici, alla bottega, al lavoro dei campi
‖ Assistere, aver cura di qualcuno: a. ai malati
3 novembre 2010 alle 12:26
Beh, io da ignorante direi che qualsiasi contatto a doppio senso è relazione. il bambino che chiacchiera con l’illustrazione del suo libro pure. E questo mi sembra esattamente il contrario dell’accudimento senza relazione, ammesso che esista.
Dimmi invece che stiamo parlando di un tipo specifico di relazione, quello di crearsi un ruolo, quello di genitore, in relazione al ruolo di tuo figlio, e lì forse riesco ad immaginarmi qualcosa. Ma allora tutti quei bambini che crescevano con le nonne mentre i genitori, magari emigrati, lavoravano, cosa mi dici, che non hanno mai capito chi era la mamma e chi era il papà?
Insomma, n on ne so nulla ma tocca dare il proprio parere e io non mi sottraggo:-)
5 novembre 2010 alle 21:31
Mi piace la definizione della relazione genitoriale come di un ruolo che nasce in relazione al ruolo di figlio.
Precississima.
se non sapessi che vivi lassù crederei che abbiamo una formazione comune.
o magari certe faccende, sono comuni, si ritrovano anche se hanno matrici diverse.
ma è un altro discorso.
Io dico che — da ex madre saparata che ha cresciuto da sola una figlia, e che ne sta crescendo una seconda in una sorta di tribù allargata —, questa possibilità di essere genitori/figlio usando nonne e nonno + asilo + mamma e papà a fasi alterne offre una grande ricchezza, a tutti ….
e stranamente, a conferma di quel che dici, la piccina or ora reduce dal 3 gg di asilo, sembra meglio capire la differenza tra stare con i genitori e stare senza, sembra capire meglio le differenze e il valore delle presenze …. (ma ne devo fare un post!!!)
3 novembre 2010 alle 17:28
Ecco un altro punto importante, i genitori insegnano anche quando non ci sono, anche nelle assenze, anche nella loro stessa limitatezza …
Il fatto di non esserci ha un senso..
3 novembre 2010 alle 18:38
Io direi che sottrarsi alla cura nell’illusione che la relazione sia “altro” è un modo di relazionarsi. A cui molti genitori -quelli che se lo possono permettere- sono costretti, a cui alcuni si abbandonano per incapacità, mancanza di voglia. Ho l’impressione che ciascuno cerchi di giustificare la sua modalità di costruire una relazione, niente di male in questo.
Io, poi, quasi rimpiango i pannolini da cambiare 😉
3 novembre 2010 alle 18:53
Il fatto è che la relazione c’è, nolenti o volenti, e non necessariamente la sua costruzione passa del consapevole …
cmq si forse sono meglio i pannolini ….
però penso anche che sia importante anche dare un nome chiaro alle “cose”, permette di capire meglio le scelte che si fanno … no?
3 novembre 2010 alle 22:15
parto subito con dei complimenti a te che sei così educata e attenta alla net etiquette e ti sposti a casa tua per non disturbare!
a parte ciò mi sembra che la distinzione accudimento/relazione citata in quel post sia un po’ sterile, come dici tu, soprattutto nel primo periodo di vita dei bambini necessariamente siano la stessa cosa.
4 novembre 2010 alle 13:01
no, dai, educata no…..!!!
mi sarebbe piaciuto ma poi secondo me non avrei fatto una buona apertura a questo tema ….
5 novembre 2010 alle 14:41
Direi che nel post su mamme acrobate sono stata un po’ sintetica (d’altra parte, essendo per vocazione una “scientifica”, di solito preferisco non lasciarmi andare ad interminabili e particolareggiatissimi discorsi…), forse un po’ troppo 🙂
Sono assolutamente d’accordo sul fatto che accudimento e relazione non siano completamente scindibili; sono d’accordo sul fatto che la relazione passi anche attraverso questo; nei primi mesi di vita del bambino quasi esclusivamente (ne ho una di 3 anni e uno di otto mesi e comincio adesso ad uscire dal tunnel!).
Passa ANCHE attraverso questo, ma NON SOLO. E man mano che il figlio cresce sarà sempre più il bisogno di relazione e sempre meno quello dell’accudimento (inteso proprio come cure materiali, come il cambiarlo, vestirlo, dargli da mangiare, coccolarlo ecc.). La relazione resta per sempre, l’accudimento no.
E, nonostante l’enorme fatica come neo-mamma, che non dormo né di notte né di giorno, che allatto, che devo lavare, cambiare, pulire, cucinare, e anche lavorare fuori casa, mi accorgo che ciò che mi richiede più fatica è guardare negli occhi mia figlia e dirle chi sono, ascoltare chi è lei, trasmetterle quello in cui credo (lungi da me desiderare un figlio mia fotocopia) e sperare che lei, nella sua libertà, vi aderisca.
Insegno alle medie: generalizzando direi che i genitori sono molto attenti ai bisogni materiali dei figli, i quali ottengono di solito tutto quello che chiedono! Ma al contrario, sono abbandonati a loro stessi, o al gruppo dei coetanei, per quanto riguarda il conoscere sé stessi e il mondo, il capire cosa gli sta accadendo (l’adolescenza), il cominciare ad imparare a dare un giudizio sulle cose, sugli avvenimenti, a dare un senso alla loro vita.
Spero di aver chiarito un pochino il mio pensiero.
Solidale con tutte le mamme, le quali, come la sottoscritta, cercano sempre di fare il meglio che possono.
p.s. non ho letto il lbro della Dott. Liberace, spero che riuscirò a farlo prima o poi. Personalmente sono contraria ai nidi se non per motivi di estrema necessità, per varie ragioni. E sono d’accordo con la dottoressa quando dice che si stanno mettendo tutte le risorse solo in una direzione, invece che favorire soluzioni alternative, come part-time o, suggerisco io, il telelavoro che, nel nostro paese è pressochè sconosciuto!
5 novembre 2010 alle 21:21
ok… comincia ad esserci un pò di carne al fuoco, e non posso che esserne contenta.
magari è da qui che possiamo cominciare a mettere ordine nelle parole che ci riguardano come madri/figure educative, perchè è poi da qui che nascono le idee le scelte e le “politiche” per maternità/famiglie ect etc…
intanto dovremmo definire un pò la parola “relazione” e dove, come , perchè e quando è buona o qualitativamente efficace.
ma in generale io mi sento sempre in relazione, anche quando per paradosso me ne sottraggo, come direbbe watzlavick non si può non comunicare … e fatico anche a dire quando finisce la fase di “accudimento” , che io intendo nell’accezione di “aver cura di” che è comunque un modo di fare relazione.
ho una figlia di 12 anni e benchè la sua autonomia sia maggiore della figlia piccola (ancora da accudire a 24 mesi) sento che necessita ancora di quelle cure che sono relazionali, piccole attenzioni, che dicono io ci sono, qui per te. certo non le faccio il bagno, o le cambio i vestiti, ho cura di lei a distanza maggiore (magari le compero come oggi i guanti, perchè aveva freddo alle mani tre mattine fa) ho ancora cura del suo corpo, inteso come interezza fisica e mentale.
Altro punto ancora è quello delle cure/attenzioni genitoriali, e credo sia importante non attribuire solo ai genitori la responsabilità di ragazzini in difficoltà, secondo me è un momento di crisi sociale che toglie ai genitori e agli educatori, e agli insegnati la serenità di saper insgenare, la fiducia nel proprio saper trattare i ragazzgi. Sono stata e sono educatrice professionale – ho lavorato e lavoro con gli insegnanti, con gli educatori, con i genitori, sono mamma anche io, e tutti a vario modo testimoniano la fatica che dice Serena …..
Come dire riprendiamoci ognuno per la parte che lo riguarda la propria ammissione di fragilità …
la fatica dei ragazzini c’è anche in famiglie attente, in ragazzini curati da genitori attenti alla relazione e alle cure fisiche .. e allora perchè succede???
E’ buffo ma quando vado a scuola senti dire che la colpa è dei genitori, dai genitori sento dire che la colpa è degli insegnanti, gli educatori trovano a loro volta altri colpevoli per quei ragazzini incasinati che si trovano difronte .. e quindi?
Non so …. posso solo seminare dubbi….
Nemmeno io ho letto il libro di P. Liberace ma credo che la condanna assoluta dei nidi non sia necessaria, sono stati utili per un periodo storico, e lo sono ancora. Ci sono e saranno ancora mille lavori che non potranno essere parcellizzati, resi a part time o trasforamti in telelavoro. Ci sono lavori che richiederenno ancora corpo e presenza, forza e concretezza, e il telelavoro sarà ancora privilegio di alcuni.
O alcune … (in questo momento mi posso permettere di non lavorare più 8 ore al gg e viaggiare per 4 ore al gg, in cambio sono precaria come molti, e ho un budget risicatissimo).
Credo che la flessibilità sia una prospettiva interessante per la cura dei figli, che la conciliazione vada perseguita, aumentando le proposte in questo senso, non togliendo i nidi; ma aggiungendo nuovi modelli di integrazione lavoro/famiglia.
Che però non penalizzino le carriere al femminile, èe pure questo è un bel problema, si può fare la frittata senze romper le uova …la carriera è fattibile a part time?
Non lo so ..
Sono cose che possiamo sapere solo discutendone molto, e cercando di capire quali modelli sono più funzionali …
Infine sarei favorevole ad una maternità pagata fino al 1 anno di vita del bimbo, ad una migliore tutela della maternità, genitorialità sia com servizi che come conciliazione con il lavoro ….
ma sono anche convinta che, come dice un collega – citando a sua volta un proverbio africano – per crescere un bimbo ci vuole un villaggio …
Un solo padre e una sola madre son troppo poco …
5 novembre 2010 alle 14:46
p.p.s. aggiungo ancora, che sono d’accordo con Monica quando dice che “Il fatto è che la relazione c’è, nolenti o volenti, e non necessariamente la sua costruzione passa del consapevole”, cioè non è che se ci tiriamo indietro, non passa nulla; se ci tiriamo indietro passa “il nulla” che viene visto dal figlio come il modo “normale” di relazionarsi… E questo io l’ho imparato non da madre, né da insegnante, ma da figlia.
6 novembre 2010 alle 08:52
L’intensità degli scambi è decisamente interessante tanto che mi chiedo come poter aggiungere qualcosa rispettando i limiti di lunghezza di un post. l’impressione è che sovente si utilizzino le stesse parole attribuendogli significati differenti e come spesso accade ciò crea inevitabilmente bisticci comunicativi. Però tra Serena e Pontitibetani sento anche una sostanziale differenza di contenuti, anche se negli ultimi scambi le loro posizioni sembrano “conciliarsi”. Parlare di accudimento come cura, vuol dire parlare di cura come relazione e, per me, di cura come educazione (esiste un’interessante bibliografia a sostegno di questo mio pensiero). Se penso che ad un certo punto la cura si possa sospendere, vuol dire che gli sto attribuendo un altro significato. Nè giusto, nè sbagliato, però un’altro! Su questo mi pare che debba esserci chiarezza, altrimenti dietro alla frase “siamo daccordo” stiamo sostenendo pensieri molto distanti e a volte in netto contrasto. In particolare però il post di Serena mi intriga in un’altra direzione, non come madre, ma come professionista che lavora anche con le insegnanti. Ma la scuola, a parte essere così capace di analizzare le mancanze dei genitori, cosa se ne sta facendo di sè stessa e del suo compito educativo?
Conosco molto bene i servizi per la prima infanzia e spesso mi trovo a riconoscere una grande professionalità, nella cura e nell’educazione dei bambini. Appena si passa all’ordine di scuola successivo e siamo solo alla scuola per l’infanzia (La Materna di vecchia memoria) già si iniziano a cogliere i segnali dello smarrimento, della confusione o del disastro (ogni tanto è proprio così!) che da lì in poi è un crescendo. Sono convinta che il sapere accumulato in tanti anni in molti asili nido, potrebbe insegnare molto a tanti insegnanti degli ordini successivi. So per certo che molti genitori sono stati aiutati proprio dalle educatrici del Nido a intraprendere il loro ruolo genitoriale e, a volte, a sostenerne le difficoltà. Potrei andare avanti con un elenco lunghissimo ma non pertinente alla sede. Credo però che dietro tante parole o giudizi ci siamo solo pregiudizi e stereotipi. Forse proprio noi che, anche professionalmente, ci occupiamo di educazione dovremmo prestarci grande attenzione.
11 novembre 2010 alle 17:17
la discussione prosegue
http://www.mammeacrobate.com/component/content/article/25-home/460-dal-nido-alla-materna-delega-educativa-addio.html
e secondo me con nuovi chiarimenti e spazi di pensiero….
15 novembre 2010 alle 18:30
Io non parlerei di relazione come contrapposizione all’accudimento o, comunque, come qualcosa d’altro, di diverso. Userei il termine comunicazione come manifestazione verbale della relazione e di accudimento come della sua manifestazione non verbale. Credo anche che non sia tanto una questione di differenziare questi due aspetti nell’intento di definire una relazione genitore-figlio universalmente riconosciuta come “migliore” ma che, piuttosto, il problema sia chiedersi come questi due aspetti si intreccino nella costruzione di tale rapporto. Una delle cose che mi incuriosisce, ad esempio, è l’ambivalenza di ruolo che queste due manifestazioni rivestono a seconda dell’età. Mi spiego: quando il figlio è in fasce e l’accudimento rappresenta l’unico modo di relazione, la comunicazione viene vista come il miraggio capace di salvarci e farci sentire GENITORI e non operai specializzati nel cambio pannolini, nella somministrazione di pappe…
Quando i figli crescono? La difficoltà dell’interazione spesso spinge al rimpianto verso quella fase della vita nella quale i nostri figli erano totalmente dipendenti da noi… Ed ora ci manca! Ci manca tutto: pannolini, pappe e notti insonni, per tornare a sentirici GENITORI utili e capaci e magari anche non contestabili…
Per questo credo che l’accento vada posto su come si attraversano questi aspetti della relazione, sulle fatiche che ci comportano e sulle capacità che sappiamo dimostrare. Troppo facile disimpegnarsi rispetto alla fatica che si sta facendo nel presente dando valore solo a ciò che si farà in futuro (comunicare) o a ciò che si è fatto in passato (accudire). Tutto ciò con la volontà di valorizzare la dimensione estremamente soggettiva della relazione genitoriale e del processo che porta alla sua costruzione e ne governa la gestione. Ognuno vive meglio una modalità di relazione rispetto ad altre, in base ai suoi vissuti, al suo carattere ma entrambe (comunicazione e accudimento) sono due facce della stessa medaglia. Sta noi decidere quale delle due facce mostrare o guardare di volta in volta.. L’importante è aver chiaro che esiste sempre anche l’altra faccia e che non si tratta di un’altra medaglia!