Se ne era letto in giro. La morte di Isabelle Cara, la modella foto simbolo dell’anoressia. Morta di anoressia, appunto.
Una notizia triste, aveva solo 28 anni, e buttata lì, da molti media come se si trattasse di un gossip come un altro.
Una delle tante notizie gettate con banalità in pasto a noi tutti.
Lasciamo anche stare oramai anche i commenti di Oliviero Toscani che di quel corpo, impietoso verso se stesso, ne aveva fatto fama per se, eppure opera di denuncia.
Con tutti i pro e i contro del caso.
Quando è successo avevo scritto di getto parole, che sono rimaste ferme nell’aria virtuale. Non potevo fare parte del profluvio di parole.
Chissà se quella morte vale meno, o merita meno pudore, per via della moda (era una modella), per via dell’anoressia (era malata), per via della sovrasposizione mediatica che espropia di umanità chi è pubblico, chi è molto corpo, chi è nella moda, chi sta nel “circo” mediatico. Anoressiche quali freaks della moda.
Oggi a distanza di qualche tempo, leggo questo articolo di Cinzia Sciuto su Micromega che recita così’:
Nella traduzione per il titolo quell’aggettivo, «appesantita», diventa un dito puntato: eh, cara Kate, lo sai che sei un po’ appesantita eh? vabbè, comunque come feticcio ci vai bene anche così, però insomma… E il corpo di una donna viene associato a «vernice e paillettes», come un oggetto di lusso da mettere in vetrina. Ma perché, anziché strizzare l’occhio al pettegolezzo da bar (guarda lì la Kate, eh non è più quella di una volta…), chi fa titoli del genere non si pone il problema (oltre che della fedeltà all’articolo) della propria responsabilità nella comunicazione di contenuti?
Insomma i nostri freaks devono restare tali, e i corpi essere e restare oggetti grotteschi di proprietà pubblica.
Pena il ludibrio.
25 marzo 2011 alle 11:05
http://machedavvero.blogspot.com/2011/03/magrezza-anoressia-vogue-sogni.html