Talvolta i figli unici lo sanno meglio, dico, come si fa a crescere dentro la campana di vetro. Unici, irripetibili e preziosi.
Poi di colpo, e se tutto va bene si intrufolano nei circuiti “viziosi” nella vita, così rischiando imparano. Lo strano è che siano proprio quei circuiti viziosi a risultare più virtuosi, che siano quei rischi, quelle esprerienze un pò folli a darti la misura di te stessa, del peso che ha tuo esser donna (o uomo), del tuo coraggio, della paura, della forza e delle molte fragilità che ti porti dietro.
La più grossa esperienza di circuito “vizioso”, che ho fatto, è stata il free climbing. Il moroso di allora stabilì, senza ombra di dubbio, che una psicomotricista non poteva che essere attitudinalmente pronta a quello sport. Mah!
Fu una esperienza esaltante, per imparare il rischio, la relazione con la paura vera e il rischio realistico di farsi male, con la sicurezza e la fiducia che costruisci con il compagno di “cordata”. “Sono cose”, dice ora mia madre con il peso dell’età cha avanza, “che da giovani non si pensano”, ci si mette a rischio e basta, forse ha ragione. Forse.
Mi chiedo solo se oggi avrei avuto comunque due figlie, se avrei fatto svariate scelte complesse, e sarei tutto sommato soddisfatta di queste … se prima non avessi affrontato il rischio.
Se mi guardo attorno, nelle cose che ho fatto e faccio, non ultima re-inventarmi una possibilità di lavoro autonomo e la seconda figlia dopo i 44 anni, dentro una vita di coppia nuova dopo la separazione … mi dico che tutto ciò sta in relazione con il rischio, la possibilità e la scoperta di poterlo fare. Con la necessità fisiologica di non pensare troppo alla campana di vetro.
Se penso a tutte le “cose”che vengon proposte dai media, e non solo per i figli, tutte, tante (troppe) parlano di sicurezza. Dove sta la sottile linea di frattura tra le leggittima richiesta e proposta di sicurezza e l’accoglienza del rischio, e della paura.
Paura e rischio sono, io credo, la parte fondativa e feconda della vita, come facciamo ad insegnarla a figli e figlie, a chi educhiamo, e chi incontriamo.
Ho il ricordo di un educatore di una comunità minori che portava i ragazzi a fare campeggio libero sulle sponde di un fiume, e di un’altro progetto educativo diretto a giovani tossicodipendenti, accompagnati nell’esperienza del free climbing. In entrambe i casi si trattava non solo di un accompagnamento all’incontro con la natura, ma anche con i rischi che un ambiente naturale comporta.
Nella quotidianità dei nostri figli, dei ragazzi a scuola, nell’educazione sembra prevalere la logica del non fare nulla per non rischiare … (noi e loro)
Ma rischiare insegna non solo ad affrontare le paure e la vita, ma anche ad assumersi la responsabilità di ciò che si sta facendo.
2 agosto 2011 alle 22:37
Non so se questo post mi assomiglia o vorrei che mi assomigliasse.
So che ho fatto molto spesso i conti con la campana di vetro, sia guardandola dal di dentro che dal di fuori. Due campane: la mia di figlia e la sua, di chi che ha me come madre…
Ma ne sono venuta a capo e sono piene di crepe entrambe.
2 agosto 2011 alle 23:07
Eh gia’ .. Quello che dovrei scrivere stasera, dopo un breve colloquio con la figlia piu’ grande, e i suoi incontri fuori dalla campana… Con il timore e il bisogno di proteggerla. Ma la campana va incrinata. Anche da due lati. Grazie del pensiero..