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Segnalibro da Ave Mary

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Tratti da Ave Mary di Michela Murgia

Essere identificati come vittime è una condizione che dovrebbe essere transitoria per chiunque, legata a precise circostanze. Non si è vittime per il solo fatto di esistere come femmine invece che come maschi, ma lo si è sempre di qualcosa o di qualcuno. Il tentativo di trasformare le persone in vittime permanenti a prescindere dalle circostanze costringe la vittima al ruolo di vittimizzata, che è un’altra forma di violenza, piú sottile e pervasiva, perché impone una condizione di passività che preclude la facoltà di riscattarsi.

[…]

Qualunque sia la variante, la trama del racconto della morte femminile non cambia: con la morte la donna non è mai in un rapporto di protagonismo, ma sempre in quello di passiva conseguenza.
Mi colpí molto il modo in cui venne raccontata sui media popolari la doppia morte a breve distanza di due figure molto note del piccolo schermo italiano: Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. È noto che il popolare presentatore e attore sia morto per un blocco renale; ma quando cinque mesi dopo è morta anche la sua altrettanto nota vedova, i media hanno raccontato il suo decesso come se fosse una conseguenza diretta di quel lutto. «È morta di dolore», hanno scritto le riviste ad alta tiratura. «Senza Raimondo, stroncata dal dolore», titolò ancora piú esplicitamente un quotidiano, fornendo una interpretazione da romanzo d’appendice di una morte da crisi respiratoria. Lo stesso meccanismo mediatico aveva investito qualche anno prima un’altra doppia morte del mondo dello spettacolo, quella del regista Federico Fellini e dell’attrice Giulietta Masina: il primo è morto di ictus e cosí è stata data la notizia; invece la morte della consorte è stata annunciata dai quotidiani con lo stesso sobrio titolo che sarebbe toccato poi alla Mondaini: «È morta la Masina, stroncata dal dolore». Il fatto che l’attrice fosse da tempo in cura per un tumore non era evidentemente funzionale al quadro tragiromantico di una vita spezzata dalla scomparsa dell’amato.
Questi due esempi non fanno statistica, ma bastano a mettere a fuoco la tendenza mediatica a rappresentare l’uomo che muore come un dignitoso protagonista attivo del suo ultimo istante, lasciando alla donna il compito di morire passivamente (e spesso in modo scomposto, «distrutta, stroncata, annientata, devastata, uccisa» dal dolore), nel ruolo di vittima o al massimo di macabra comprimaria.

Amazzone ferita - Fritz von Stuck, 1903

Amazzone ferita - Fritz von Stuck, 1903

In questo orizzonte solo l’uomo può «morire», la donna invece «viene uccisa». Perché questo squilibrio costante tra soggetto attivo e soggetto passivo sia possibile, spesso occorre che la narrazione neghi le evidenze contrarie, per giungere fino a mistificare la realtà, secondo un meccanismo che non è certo un brevetto dei media italiani.

Oppure:
Guerriere, una riflessione di Monica Simionato
Furie Erinni &co

1 thoughts on “Segnalibro da Ave Mary

  1. Ci rifletto da giorni, legando una specie di trama tra dolore, vita e morte. Al femminile, ovviamente. Ne ho anche scritto qualcosa.

    Sempre grazie per i tuoi post.

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