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Indignazione light

4 commenti

(un post brutto e cattivo)

Ci sono state cose dette/scritte che sono completamente inascoltabili, afferibili alla solita imbecillità e alla sua sorella maggiore (non più intelligenza) – la generalizzazione. I giornali non hanno fatto nulla di meglio, e non hanno detto nulla di meglio.

Non si tratta di dire che la violenza è buona o cattiva, ma guardare lo scenario complessivo.

Chi sono le anime nere dei black blok? Che cosa incarnano, che forma incorporano?

Non la nostra, non quella dei manifestanti, tutti pacificati e soddisfatti dall’idea di manifestare la loro indignazione tardiva. Mi correggo, non loro ma noi, la nostra indignazione italiana è tardiva, lenta e banale. Si è aspettata l’organizzazione, e che qualcuno ci dicesse indignatevi, che si indignassero anche a Wall Street. Prima tutti stesi sui divani (una allegoria che ritorna ricorsivamente nelle riflessioni del nostro gruppo #donnexdonne) a smanettare tra i link e gli “i like” … e poi? Poi  … in piazza.

Ma le manifestazioni sono come feste, come pronuncia, come aggregazione che non sembrano sortire alcun esito, se non quello di vedere/vedersi  massa, sentirsi uniti ed aggregati, capaci di identificarsi in un numero massiccio di corpi. Alla politica, è evidente, che questo incontro di corpi numerosi e rumoreggianti non interessa (più). Ma nemmeno credo interessi la violenza delle schegge, se non per potersi permettere i ridondanti atteggiamenti di indignazione e la roboante promessa di azioni restrittive e che garantiscano la sicurezza. Fingendo che quello sia il problema e non la crisi. Ad esempio.

Chi sono (o meglio cosa è) la parte nera, a parte l’evidenza violenta e concreta degli scontri, cioè le persone fisiche che hanno violentato la manifestazione? La parte nera non è la nostra? Non è metaforicamente una nostra parte con cui dobbiamo fare i conti, perché il divano perda attrattiva, e anche l'”I like” diventi solo una forma, ma che poi ci “sbatta” fuori di casa, lontano dalla rete di indignazione virtuale, dalla manifestazione grandiosa e ci tenga ancorati nella vita di ogni giorno, a fare da sbarramento alla incongruenze della nostra società, a smantellarne a partire dal piccolo, gli sprechi, i diritti inevasi, le ingiustizie reali, le politiche faziose e scorrette, i piccoli ladrocinii quotidiani?

Indignati per gli uomini e le donne di serie b se migranti, indignati con noi stessi quando vediamo la fila sempre più lunga davanti alla mensa dei poveri, quando ci impegniamo per la difesa dei diritti più facili da dire, quando la raccolta differenziata si fa pigramente, quando i supermercati ci garantiscono il caldo tropicale a febbraio, e ad agosto l’aria condizionata del cinema ci obbliga alla giacca di lana (chi paga questi sprechi?).

Che altre forme di lotta ci possono impegnare capillarmente, essere diffuse e condivise, anche attraverso la rete che come in molti sappiamo può essere un ottimo veicolo di informazione e condivisione. Chi si preoccupa di insegnarlo ai figli nostri ed altrui? (allora si che saranno buone prassi, esempi efficaci da imitare, buone idee per dimostrare che la casta non sono io, non siamo noi).

Come imbrogliamo noi stessi, le nostre parti buie, che diventano davvero black, se non le sveliamo e le sbugiadiamo a noi stessi, e fingiamo che solo i 100 o 1000 black blok in caso nero e felpa con cappuccio siano il vero problema?

Linkografia ragionata o ragionabile 

Bomba o non Bomba #15o di Giuliana Laurita

Sul #15o di Marina Petrillo AlaskaRP

Cul de sac di Yeni Belqis  

l’opinione di un black blok di Informare per resistere 

4 thoughts on “Indignazione light

  1. Molto d’accordo anche io con quanto scrivi….aggiungerei solo il pensiero di Michele Serra (se fosse brava in smanettamenti internet), quello sulla condanna dell’imbecillità di alcuni. Soprattutto maschi (è un dato di realtà, poi possiamo interpretarlo in mille modi), bianchi, magari un po’ “sballati” ma che fanno l’università (forse)…
    l’analisi macro che fai ci sta e credo serva ma poi ci vogliono anche azioni e prassi coerenti. Ad esempio: livelli di responsabilità differenti implicano risposte diverse. Chi distrugge va identificato e gli vanno restituite le sue precise responsabilità. Ad esempio, non ne ha parlato quasi nessuno…ma chi ripaga l’auto alla ragazza che la sta ancora pagando? E le vetrine? Perchè nella nostra idea di giustizia è sempre più difficle parlare di “riparazione”, di “recupero”….perchè la dimensione anche educative diventa spesso o giustificazionalismo (povero er pelliccia e la sua famiglia….) oppure esaurirsi nelle misure punitive?
    Poi potremmo parlare anche di un’altra parola desueta che è “prevenzione”….sembra non interessi più a nessuno, come la dimensione progettuale legata al futuro.
    E, anche, come fai, della sempre più grande “delega” della propria parte…altra parola fuori moda “partecipazione”…adesso forse neanche più fatta a politici chiamati a risponedere, ma che disegna scenari sempre più estremi (di apatia verso violenza).
    Non so, magari è una botta di pessimismo…ma mi pare che questa lettura apra pero’ anche a nuove azioni possibili. O, almeno, lo spero 🙂

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