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Di Eros e Thanatos (A Stefania, alle altre e a noi tutti) – parte II

5 commenti

No so con certezza, ma credo che alle donne sia data (perché insegnata) una maggiore possibilità di agire con “le cose” del corpo e con quelle dell’amore, del sentimento.

Un vincolo educativo e fisiologico che nasce anche nel tempo del parto e del pueperio e che pure è anche culturale; un vincolo che è dato dalla possibilità di diventare madri, virtualmente pronte ad avere cura dei corpi e delle emozioni.

Forse non è nemmeno un caso il legame fra sposo e sposa si chiami appunto matrimonio (atto, agire della madre);  quindi ciò che lega un uomo e donna arriva “voluto” e agito dalla donna, dalla maternità.

Perciò sembra che legami dell’amore siano atti/agiti/curati delle donne, mentre ai padri e agli uomini viene lasciato il compito di trasmettere il lascito dei beni, del patrimonio e i terreni. Questa estraneazione degli uomini dal dono della madre, dal dono delle “cose” (atti, sentimenti, cure) dell’amore, se non ne è la genesi può ragionevolmente essere una concausa di quel vuoto, di quella violenza, della quella morte. Un lascito che gli uomini si vedono consegnare per cultura.

Non mi piace troppo cavalcare la cronaca , ma ciò che genera questo post è l’omicidio di una giovane donna da parte del suo ex fidanzato, entrambe giovanissimi.

Stefania.

Ci sono pensieri che non tornano e che infastidiscono, non si può non notare che il giovane assassino era uno studente di psicologia. Uno che delle “cose” dell’amore ne stava facendo studio, imparando come si debba trattare e come di debba avere cura del dolore; quel dolore che se non espresso col corpo, con le parole, con le lacrime, diventa distruzione, a volte suicidio, o morte con la distruzione dell’altro. Gli uomini che si suicidano sono il triplo delle donne.

Un giovane uomo, che pure sceglie una strada, studiando all’università una materia (psicologia così ieri diceva la cronaca) che gli insegni ad aver cura, e a far crescere, e a trattare la sofferenza perché non distrugga; è lui che diventa vittima di se stesso. Non trova la capacità di elaborare e  trasforma un lutto non elaborato in un omicidio; in questo lo rende ancor più inconcepibile. Trasforma le parole, da dire – che si possono dire – che si deve imprarare a dire, quanto si è dolenti in una violenza che distrugge e non ricongiunge la vita e morte.

Questa divaricazione tra corpo, dolore e violenza sembra continuare anche in chi ha saputo scegliere un percorso di studi e che sembra andare esattamente direzione opposta,   eppure nemmeno lui non riesce a sganciarsi dal suo ruolo di assassino.

Così ci dice quanta strada sia ancora da fare, e quanto sia lunga la divaricazione. Una strada che le donne non possono compiere da sole, e non possono compiere solo indignandosi. Possiamo solo possono provare a dirci, e ad insegnare come cambiare il circuito. Donne e madri, uomini e padri, operatori dell’educazione insieme a trovare come sono cambiati, cos’è cambiato.

Le donne possono ri-guardare i loro figli maschi insegnando a piangere, insegnando il corpo che soffre, ma che esce dalla sofferenza senza costruire morte e violenza, ma ri-generandosi. Gli uomini possono raccontare quella ricongiunzione tra Eros e Thanatos, per come l’hanno fatta, e per come stanno facendola nella paternità e nella professione.

Per ora chiudo il post, e 2011 con una frase che mi suona sempre più familiare, anche se faticosa #stayhuman

(segue)

5 thoughts on “Di Eros e Thanatos (A Stefania, alle altre e a noi tutti) – parte II

  1. Sono d’accordo con quanto scrivi…e pensavo anche a quanto le donne finora siano molto più “meta”: auto-osservandosi, osservando anche se stesse e l’immagine di sè, del femminile, rispetto agli uomini. Non si puo’ generalizzare, certo, ma anche i numeri ci dicono delle cose.
    E allora, davvero, facciamola questa danza di uomini e donne NON solo sul piano privato ma anche ricercando delle forme collettive e sociali….che sia anche questa una cosa da cercare di costruire nel 2012.

  2. Sai che non avevo mai pensato all’ etimologia di matrimonio?

    Se posso dire una cosa becerissima, io da matricola avevo sempre un’ enorme diffidenza per quelli che si mettevano a studiare psicologia a 18 anni, perchè di molti mi veniva da pensare che invece di mettersi in analisi come si deve volessero tentare la scorciatoia del fai-da-te, dove non ti metti in gioco. A 18-19 anni trovo che non si abbia la conoscenza di se, del mondo e di quello che vogliamo per affrontare certi studi: ci metto anche teologia, etica. Sarebbe utile un biennio propedeutico e mettersi intanto in analisi obbligatoriamente per capire di cosa stiamo parlando e cosa vogliamo studiare sul serio, ma magari sto dicendo una cazzata. Comunque ho dovuto ripensare a questo mio preconcetto proprio leggendo il tuo post.

    • Una collega che studiava psicologia sosteneva una teoria simile, credo che il filtro vero in chi si occupa di psicologa in termini di aiuto alle persone si faccia con le scuole di specialità, in cui si fa devvero analisi. Prima basta studiare bene e questo non esclude che ci sia una sorta di voglia di aiutoaiuto. ..

  3. beh, io ho fatto psicologia 🙂
    credo sia un fatto che la scelta del percorso di studi non sia un caso, ma che il senso sia comunque molto differente a seconda delle persone.
    Una “molla” credo sia quella di riconoscere (anche se in maniera spesso poco consapevole) che si hanno delle cose da affrontare a partire dalla propria famiglia di origine…ma, mi viene da dire, chi non le ha? E quindi tutti dovrebbero iscriversi a psicologia!?!
    A volte si scelgono anche gli studi sbagliati….perchè si scelgono senza ascoltarsi troppo. E non parlo di test attitudinali che se fatti in maniera solo “scientifica” servono secondo me a poco. Ho conosciuto persone che facevano psicologia e sognavano cartografia, commercialisti che volevano in realtà fare medicina…e così via….
    Del caso specificodell’ex fidanzato non so. Ma credo che di fronte alla violenza non sia un solo aspetto che possa insegnare a prevenirla.

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