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Olimpiadi, Pellegrini, e la vita, in fondo.

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I pellegrini, ebbene si, io non sono quelli che vanno in pellegrinaggio a quel sacrario dello sport che e’ in questi giorni Londra. Al massimo si pellegrina davanti ai dispistivi tecnologici atti alla visione di detto spettacolo ….

Pellegrini, del titolo, sta invece proprio ad indicare l’atleta Pellegrini. Di cui si sa che non ha vinto il dovuto, e che l’universo modo mediatico e web ci ha leggermente frantumato  con i retroscena, le retroanalisi, i pettegolezzi, e icommenti da bar, da parrucchiera, da fattucchiera, da zittella inacidita, da misogino rinsecchito.

L’unico problema, in caso, poteva solo esser la mancata vittoria, per un atleta da cui ci si sarebbe atteso di piu’, non i fatti suoi.

Ma al solito, nella logica sportica, c’e’ sempre qualcuno che deve perdere, perche’ qualcuno possa vincere. Non sarebbe sport, altrimenti.
Pazienza.

Il bello di guardare le olimpiadi è vedere non se gli italiani vinceranno tutte le medaglie. Son belli i gesti e i corpi, le espersioni, la tecnica, e la passione, la paura, gli errori e le prove, le vittorie e le sconfitte.

C’e’ una lieve difficoltà se un atleta diventa una sineddoche, se e’ il tutto di una nazione,
e la metafora di doti morali in difetto. Il singolo gesto atletico, ammirabile nella sua meraviglia, non rende l’atleta sempre e comunque un uomo/una donna migliore o gli italiani un popolo perfetto, o non offre a me in quanto singolo un merito che non non possiedo. Al tempo stesso la non riuscita sportiva o in grave fallimento, dispiace, ma resta una responsabilita’ e una fatica personali. Smettiamola di sfracellare il mondo con la dietrologia di chi vince, perde o si dopa…

E’ bella questa ubriacatura di sport, di gesti, di fatica e corpi che raccontano di azioni altletiche perfette e irripetibili, di errori, e di umanità, che ci mette a contatto con noi stessi …

Ci mostra anche e indirettamente qualcosa di altro. Ovvero la vita, tra rappresentazione e realtà, tra segni e significati; una vista che  “espone” nella sua rappresentazione (colta in un istante) e al tempo stesso nel suo accadere davvero.

(Bolt campione mondiale, che si rilassa con tre svedesi, Swarzer e l’epo, Pistorius che non vince, i sederi della giocatrici di beach volley, i cinesi che forse si modificano il dna per vincere e l’inossidabile Josefa Eidem, i lanciatori del peso, e le gazzelle della corsa … che altro? Milioni di gesti e di centinaia uomini e donne, spesso incredibili)

Lo sport non racconta quindi la vita?  Attraverso gesti arcaici, di lotta, di vinti e vincitori, di epica. Riprende i gesti della vita, rendendoli precisi sino ad essere rarefatti, simili, e infine misurabili. Ma intanto i protagonisti, per nulla rarefatti vivo, epici o vili come tutti noi.

Anche quando sbagliano le gare e pensano solo ad amoreggiare con il neo fidanzato.

Pazienza, non possiamo anche fare pace con la nostra fallibilità, con la discontinuità di donne e uomini, che alle volte non riescono.

E magari insieme ci mettiamo ad aspettarli “al varco”, sperando che la prossima storia che ci racconteranno sia più simile al nostro sogno, la riuscita. Quella che intanto cerchiamo e aspettiamo per noi tessi. Ma non affidiamo solo a loro il sogno, sono attori sulla scena, metonimie, atti catartici della nostra voglia di essere uomini e donne “capaci” di vivere….

è rito, è magia, è catarsi, è teatro, è un sacco di cose diverse,

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