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silenzi e scritture

Il povero blog, langue, quasi abbandonato … a volte scrivere è quasi impossibile.IMG_0086

lo rendono un atto improponibile quel tempo della vita che scorre sin troppo lenta e veloce, insieme;

la pressione del lavoro, che mal sopporta di accogliere il bisogno di ascoltare  tutti mutamenti avvenuti, non scelti, ma attraversati;

le ore passate inutilmente a guidare.

eppure la scrittura sa attendere il suo tempo per tornare a raccontare.

almeno spero. il blog lo richiede, ma soprattutto ne ho bisogno io.

per fare ordine, lasciando tracce di quei dialoghi interiori che hanno senso solo se diventano meno privati ma più meditati, per essere possibili narrazioni delle nostre vite, che diventano storie, pronte a lasciarci.


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Che? Mi sto diventando buddhista?

Stati febbrili (?)
Mettendo in ordine qui e là aumenta la sensazione che amare (le cose, il lavoro, gli amori) sia un fare potentemente connesso con la bellezza. Che sia immettere bellezza. E ogni amare/fare ha una sua bellezza da immettere, vedere, curare, aggiungere, semplificare, riordinare. Per poi sorriderne. E ricominciare.


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del pulire, dell’aver cura, del dolore (Per Sara)

Questo l’ho capito in campeggio, dapprima arrabbiandomi, e poi arrivandoci con miglior dolcezza, arrivando a toccare il nocciolo del problema, proprio oggi che ho cominciato a pulire il camper di Sara.

Ogni volta che andavo nei bagni del campeggio, mi dava fastidio vedere come i lavandini venissero lasciati sporchi (capelli e dentifricio in genere), e lo stessa incuria la trovavo nei lavabi per le stoviglie.

Un vero peccato, trattandosi di un campeggio molto bene assistito e curato, tant’è che entrare nei bagni mostrava l’evidente lavorio della persona addetta alle pulizie, nell’arco della giornata.

Insomma erano i campeggiatori a comportarsi da zozzoni.

Dopo un sufficiente numero di improperi lanciati a destra e a manca, ho capito cosa avevo voglia di fare, una sola cosa lasciare: più pulito di come avevo trovato.

L’ho collocato a mezza strada tra il mio bisogno di aver cura delle piccole cose, e l’ideale di giustizia che vorrei venisse applicato da tutti; ho scelto una azione piccola che stesse comoda, a scavalco tra l’utopia e la possibilità di azione, e che mi restituisse l’idea che il mio segno sul mondo è piccolo. Limitandomi a lasciare un bagno decente, per chi viene dopo di me.

Molto più difficile è stato pulire il camper di Sara:

se ci fosse ancora, lei avrebbe pulito il frigorifero, e sgrassato il fornello, spazzato e preparato tutto per il prossimo viaggio, per lei e la sua famiglia. Lei e non io.

Il suo camper mi è stato prestato.

ho pensato ogni gesto, immaginandolo come sarebbe stato e sapendo che sarebbe spettato a lei, che invece non può più farlo. Ho fatto azioni che sembravano dei mantra al dolore che c’è, nella sua assenza. Al dolore immenso e irriducibile della sua morte, a quanto di faticoso e inesprimibile si è tirata dietro, e che conosco così ancora intessuto (o inciso) nella vita della sua famiglia.

Non avremmo usato il suo camper, se lei fosse stata viva. Usarlo è stato (da un lato) tenere vivo lo scopo per cui era stato pensato – un modo per andare in vacanza ovunque, liberi di scoprire il mondo – dall’altro è stato un rinnovare la sua assenza.

L’ho pulito, e ancora ce n’è da fare, pensando che magari la sua famiglia riuscirà nuovamente a usarlo, rinnovando la memoria del loro progetto, ritrovando nel gesto che facevano con lei, nel dormire e nel cucinare sul camper; avendo di nuovo come dolce sottofondo la sua presenza, come ricordo, come compagnia, come pensiero, come progetto.

In ogni caso ancora oggi, a quasi due anni da quella morte troppo precoce, il dolore si sente ancora forte, tra lo sgrassatore e lo straccio per il pavimento.

Chissà se scriverne diventerà un altro modo per aver cura, per aver memoria, per aver gratitudine (per la persona splendida che era), e se diventa un gesto che offre sollievo al dolore.

Oggi non lo so.