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Squarci

Ogni epoca ha bisogno del suo eroe giovane, della sua morte impovvisa (ma alrettanto annunciata), di celebrare il lutto collettivo pubblico e sbilanciato. La misura di questo sembra la notorieta’, il genio, l’irrequietezza di una vita fulminea.

Amy Winehouse è stat celebrata – ci dicono i giornali on line spesso fotocopie uno dell’altro – da 20 miliono di twit,; persone che si scambiano in via digitale l’informazione, il pathos, il sincero stupore e dolore.

Mentre ci si balocca con la leggenda dei giovani, belli dannati e morti a 27 anni.

Ma sono anche i giorni di Utoya, e di Genova. E non e’ un fatto secondario.
Altre morti, cosi’ diverse e tragiche, e di nuovo sono i giovani a subirle.

Quanti twit si è meritata #Genova2001 e quanti #Utoya? I giornali non ce ne rendono edotti.

Eppure Genova e’ uno squarcio collettivo, tutto italiano, e’ la rappresentazione di qualcosa che avevamo riconosciuto/saputo di altri stati, o di noi stessi in altri momenti storici: quelli dello stato sfigurato, deformato, incomprensibile ai piu’, e che non sembrava appartenere alla nostra storia. Un incubo che torna(va).
Rappresentato poi dalla morte di Carlo Giuliani … “ragazzo”.

E il senso mi viene a mancare, perche’ io con Genova, con quello stato li’ non ci ho ancota fatto i conti.
Non riesco.
Non tanto per la Diaz, Bolzaneto, o per Carlo Giuliani (nomi cosi’ noti, cosi’ vicini da sembrare di esser stata li, di aver visto.) Non riesco invece per le immagini, le cronache, la mia memoria storica (di allora) privata di una illusione: quella di uno stato, un governo capace di governare la violenza, da dovunque arrivasse, senza cavalcarla godendone. Invece no, di quella violenza lo stato si era ammantato, mentre fino a due giorni prima pensavamo che il G8 avrebbe avuto la faccia delle fioriere volute da Berlusconi, e delle mutande stese per provocazione.

Utoya poi … Dopo il gioco delle colpe: è stata della Jihad, o il fondamentalismo cattolico, o il filonazismo, o la follia totale. Gioco squallido quando le colpe si attribuiscono al colpevole più probabile.

le finte colpe si sciolgono mentre restano invece i tantissimi morti.

Giovani. Diventati famosi nella morte. Riconoscibili – per noi, cosi’ lontani da li’ – solo dal luogo in cui hanno finito di vivere.

Insomma ci sono morti e morti, bisogni diversi che la morte incarna.

Di Utoya non so ancora, non sappiamo ancora, di quelle vite non sappiamo.
Resta la follia.
Restano le domande, resta la necessita’ di chiedersi fin dove non avevamo capito (i norvegesi ma non solo) che il fondamentalismo non ha solo un volto straniero, ma si traveste benissimo anche sotto casa, anche quando sembra bizzarro e innocuo, un pò freak e folkoristico.

In questo, in tutto questo, la celebrazione quasi eroica, l’epopea della star meteora che splende e brucia, alla mia eta’, sembra un deja’ vu.
La rappresentazione della morte per come ce la si immagina da giovani, epica e tragica: la fama, l’eccesso, la fine.

Ecco che la morte non e’ cosi’. Non e’ solo cosi’.  Il valore delle persone, degli eventi, della storia non sta nella morte annunciata e talentuosa, ma in squarci sconnessi, in morti davvero imprevedibili, in domande che restano.

E quell’inquietudine che fa da simbolo.


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Il paese dell’ #hashtag

Se vi foste persi le ultime sugli hashtag che girano su twitter, ecco – a seguire – un pò di link.

Ma in generale sembra che si possa osservare in questi “inghippi”, in cui ripetutamente si vanno ad infilare soprattutto alcuni personaggi politici, una certa fatica a capire non solo la rete o twitter; ma anche la difficoltà a rapportarsi con le intelligenze di molti, oltre a non pensare che la comunicazione non è mai unidirezionale.

Bisognerebbe avere qualche dato in più per capire come questi inciampi comunicativi abbiano davvero riverberato numericamente sulla rete, (twitter in primis) ma anche sui media tradizionali; ad esempio Sky ne ha dato notizia, per potere capire l’impatto numerico che hanno queste nuove modalità di comunicare, condividere, pensare, sui grandi numeri degli italiani.

Insomma il digital divide è forse davvero questo.

I numeri italiani della rete, probabilmente sono ancora lontani da quelli che hanno dato inizio alla cosiddetta “primavera araba” che ha squassato il nord Africa, e la cui onda lunga ancora si scuote in alcuni paesi, ed esplode  nel perdurante conflitto libico.

Insomma non mi immagino una primavera italiana e nemmeno la #italianrevolution di cui si discute su twitter. Ma nemmeno immaginavo, che attraverso twitter, si mostrasse in misura così potente l’insipenza di una certa politica, che vede i votanti come polli da spennare, pance vuote da riempire a spaventare, consumatori ottusi e facilmente imbrigliabili con lo slogan del mio detersivo fa il mio bucato più bianco del tuo.

Emerge invece una voglia di non essere ancora presi in giro, da buffi trucchetti da imbonitore, o da prestigitatore, e c’è una caustica “rivoluzione” che rigetta il trattamento da mononeurone (votatemi e penserò anche per voi).

C’è gente che pensa e ci tiene a continuare.

Tanto più che i votati mostrano vistose crepe nel pensiero anche più banalmente logico (causa effetto), e manifestano la stessa ottusità che vorrebbero vedere nei loro votanti; cadendo nel banale trucchetto di #Sucate, fingendo una capacità di comunicare con nuovi mezzi, che non funziona se non si è capaci di comunicare nemmeno nella quotidianità. Perchè comunicare è un meccanismo complesso, di azione e retroazione, di raffinazione comunicativa, di analisi, di pensieri, domande e chiarimenti, di mezzi e messaggi, di disturbi che vanno tenuti in scena, per permettere appunto di comunicare. Ma soprattutto prevede che all’altro si dia una legittimazione comunicativa.

cit. Wikipedia Watzlavick “gli autori attingono alla cibernetica (la disciplina che studia i processi di autoregolazione e comunicazione degli organismi naturali e dei sistemi artificiali) adoperando il concetto di “retroazione”, secondo cui “parte dei dati in uscita sono reintrodotti nel sistema come informazione circa l’uscita stessa”

Insomma e per finire, il voto non è una delega in bianco. E il mattino di twitter sembra rivendicarlo. Vediamo, a prescindere dai ballottaggi e del referendum prossimi venturi, chi sta cominciando a rivendicarlo come prassi nella vita quotidiana; anche per segnalare il fastidio di una politica vecchia, monodirezionale, che si trattiene solo sulla soglia del becero litigio, non avendo la capacità di comunicare davvero…

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I top hastag

La finta moschea illegale, e il responsabile twitter della Moratti che ci casca

http://www.ilpost.it/2011/05/23/letizia-moratti-twitter-sucate/

Red Ronnie accusa Pisapia di una azione che non può avere fatto dal momento che non è ancora sindaco

http://www.vanityfair.it/news/italia/2011/05/19/red-ronnie-vento-facebook-twitter-effetto-pisapia

Il boomerang generato dalle false Accusi delle Sindaco Moratti al suo avversario Pisapia  http://tg24.sky.it/tg24/politica/photogallery/2011/05/17/amministrative_2011_santache_quotes_moratti_giovanardi_pisapia_twitter_foto.html


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Pat-riots

Mai pensato di fare la festa dei 150 anni di Italia.

Ricordo una allergia perniciosa alle esagerazioni patriottiche, ‘chè se sono nata in Italia è frutto del caso e non è un merito. Quindi niente fiocchi, gale, bandiere. Sono sempre stata scevra da quell’orgoglio nazionale “alla francese” o a quello in stile “born in USA” … eppure mi è sempre andato bene il posto in cui son nata. Lieta di aver studiato un certo Cesare Beccaria, di aver ammirato le opere di Leonardo da Vinci,  o di aver subito e poi amato un certo Dante Alighieri, sono stata sempre contenta del rinascimento, dell’arte, della poesia, della cultura che mi ha formata. Mi sono compiaciuta anche della storia di Roma, e quei buffi sette re, per quanto da bimba avrei preferito, di gran lunga, una nascita all’ombra delle piramidi egizie per fare l’archeologa …. E vabbè sogni innocenti di gioventù.

 

Eppure una lunga serie di fatti mi invogliano a riprendermi il paese che ho sempre creduto fosse il mio paese:

Uno e non sminuzzato dalla lega.

Uno non offeso dalle parole di un primo ministro, spesso uso ad offendere chi non la pensa come lui ( a partire dai famosi “coglioni “) e tralascerei volentieri le foto ricordo con le corna e le notti bianche.

Uno non uso a rimandare in mare profughi in fuga da una guerra.

Uno e capace di non svendere la scuola, la cultura, le istituzioni, e lo stato stesso.

Uno civile, unitario e  democratico.

Uno capace di intelligenze e di accoglienze.

decori home made dalle pargole vista la difficoltà di trovare bandiere 🙂