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Illuminazioni, memorie e dispiaceri

La prima illuminazione arriva con le parole di una mia docente di danzaterapia: “siamo state tutte anoressiche”, seguite da una altro bruciante “gli egocentrici muoiono soli”.

E ancora un’altra offerta, volontariamente o meno, da una cara amica: “anoressia per controllarsi, laddove il mondo adulto non ti controlla. Così ti controlli da solo”.

Poi quell’altra  frase di una collega psicologa che spiega qualcosa, che ti consente di accettare di provare dolore per un lutto e una morte, che la logica dice non appartenerti.

Insomma il dolore, per ognuno,  prende le forme meno probabili.

Anzi ognuno cerca di dare al proprio dolore una forma.

Perché non resti solo devastazione, e diventi accettabile, ma non banale.

Img credits Carlos Bravo 2006

Img credits Carlos Bravo 2006

Il dolore potrebbe essere quella cosa che ci accomuna, e ci assimila, se non nella forma  … nella sostanza.

Invece diventa il catalogo esibito del dolore migliore, quello che legittimamente fa soffrire di più, degli altri.

Un dolore che (egocentricamente) ti rende esclusivo/a ed escluso/a dall’umanità, dolente per cause sue, ancorchè improbabili.

Conoscevo due o tre persone che esibivano un catalogo di dolori/sfortune/malanno tali da renderle, quasi disumanamente, inavvicinabili; e che in virtù della loro (oggettivamente) massiccia sofferenza, stavano 10 metri sopra agli altri.

Soli.

Aveva ragione la mia prof! Abbiamo tutti qualcosa che ci accomuna, e rende umani, vicini all’umano. E ci tocca pure cercarcelo meticolosamente dentro, smitizzarlo, rimestando nel nostro torbido, trovare quel qualcosa per prendercene cura; per scoprirci meno soli e  più vicini agli altri.

Per non morire (dentro) soli.

Alè.

Stay human


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Le anoressiche, se modelle, non pesano!

Se ne era letto in giro. La morte di Isabelle Cara, la modella foto simbolo dell’anoressia. Morta di anoressia, appunto.

Una notizia triste, aveva solo 28 anni, e buttata lì,  da molti media come se si trattasse di un gossip come un altro.

Una delle tante notizie gettate con banalità in pasto a noi tutti.

Lasciamo anche stare oramai anche i commenti di Oliviero Toscani che di quel corpo, impietoso verso se stesso, ne aveva fatto fama per se, eppure opera di denuncia.

Con tutti i pro e i contro del caso.

Quando è successo avevo scritto di getto parole, che sono rimaste ferme nell’aria virtuale. Non potevo fare parte del profluvio di parole.

Chissà se quella morte vale meno, o merita meno pudore, per via della moda (era una modella), per via dell’anoressia (era malata), per via della sovrasposizione mediatica che espropia di umanità chi è pubblico, chi è molto corpo, chi è nella moda, chi sta nel “circo” mediatico. Anoressiche quali freaks della moda.

Oggi a distanza di qualche tempo, leggo questo articolo di Cinzia Sciuto su Micromega che recita così’:

Nella traduzione per il titolo quell’aggettivo, «appesantita», diventa un dito puntato: eh, cara Kate, lo sai che sei un po’ appesantita eh? vabbè, comunque come feticcio ci vai bene anche così, però insomma… E il corpo di una donna viene associato a «vernice e paillettes», come un oggetto di lusso da mettere in vetrina. Ma perché, anziché strizzare l’occhio al pettegolezzo da bar (guarda lì la Kate, eh non è più quella di una volta…), chi fa titoli del genere non si pone il problema (oltre che della fedeltà all’articolo) della propria responsabilità nella comunicazione di contenuti?

Insomma i nostri freaks devono restare tali, e i corpi essere e restare oggetti grotteschi di proprietà pubblica.

Pena il ludibrio.


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Morte dell’anoressi(c)a

Palestra. Di nuovo.

Oggi mi sparo, a palla, Caperezza nelle orecchie, via iphone.

Sotto di noi, la palestra supervetrata è al 2° piano, vedo uomini entrare uscire dalla sala scommesse.

Una botta e via, si direbbe.

Intanto io cammino e cammino.

Cammino. Per 4o minuti.

E Caparezza condivide con me le sue rabbie quotidiane, che poi sono anche le mie.

In fondo urlerei anche io se potessi.

Intanto uomini entrano ed escono dalla sala scommesse, persino quelli delle forze dell’ordine.

Parcheggiano, come capita, entrano, escono.

Poi escono due operai, giovani. Uno avrà a malapena 18 anni. Lungo e magro. Magrissimo.

Ricorda i volumi dell’anoressia, i panni gli cadono addosso, le ossa lunghe, il codino riccio.

I gesti efebici, o forse solo fragili.

Le mani sottili, disegnano gesti nell’aria. Il corpo si muove a disagio con se stesso, quasi scomodo in questi vesti troppo larghi.

Ogni tanto un gesto sembra presagire qualcosa di differente, una vitalità, la forza, l’energia. Potrebbe fare il danzatore se liberasse il corpo da qualche prigione sotterranea e interiore.

Non il muratore.

Scompare anche lui inghiottito nell’andirivienei degli scommettitori.

Lo ammetto mi ammaliano i gesto degli anoressici, forti e sottili, fragili e onnipotenti. Sino a che la malattia li rosicchia e svela il suo volto vero.

Oggi lo so. L’anoressica in me è morta, anche se guardo quasi con malinconia, le gestualità sottili e fragile, e le ostinazioni feroce, i corpo sottili e delicati.

Malinconia e lutto, di qualcosa che è andato.

Non c’è l’esclusività, non c’è la potenza, non c’è il controllo, non c’è fragilità. Come mi disse, distruggendo ogni mia velleità di sentirmi unicamente speciale, una mia insegnante di danzaterapia “siamo stati in tanti ad essere anoressici”. Come dire “rassegnati, cara, nessuna eccezionalità”.

Intanto corro sulla pedana, e la voce di Caparezza mi ricorda che il mondo è anche la fuori, spesso ottuso, insensato, piano di cose sballate e di ingiustizie.

La mia anoressia davvero è obsoleta, non serve a nulla.

Se ne festeggi la morte avvenuta nel lontano 1989.

Sono un eroe perché proteggo i miei cari dalle mani dei sicari dei cravattari
Sono un eroe perché sopravvivo al mestiere. Sono un eroe straordinario tutte le sere
Sono un eroe e te lo faccio vedere. Ti mostrerò cosa so fare col mio super potere

Stipendio dimezzato o vengo licenziato
A qualunque età io sono già fuori mercato
…fossi un ex SS novantatreenne lavorerei nello studio del mio avvocato
invece torno a casa distrutto la sera, bocca impastata
come calcestruzzo in una betoniera
io sono al verde vado in bianco ed il mio conto è in rosso
quindi posso rimanere fedele alla mia bandiera
su, vai, a vedere nella galera, quanti precari, sono passati a malaffari
quando t’affami, ti fai, nemici vari, se non ti chiami Savoia, scorda i domiciliari
finisci nelle mani di strozzini, ti cibi, di ciò che trovi se ti ostini a frugare cestini
..ne’ l’Uomo ragno ne’ Rocky, ne’ Rambo ne affini
farebbero ciò che faccio per i miei bambini, io sono un eroe.