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.. comunicazione (non verbale) e le e-mail

Inizio d’anno e di progettazioni.
Ci si vede, ci si dicono alcune cose poi, come sempre più spesso accade, ci si scrive.

Ieri, ossia in uno stesso giorno mi capitano ben due inghippi comunicativi, via mail.
(con esiti emotivi e giramenti vari)
Ma, anche se, cambiano i contenuti, il problema comunicativo mi è parso il medesimo.

Come dice il simpatico dottor Watzlawick non si può non comunicare, e quando lo fai via email continui a comunicare mantenendo sotto traccia quella stramba forma – non verbale – che “resiste” oltre ai refusi, alla grammatica, al saper scrivere in italiano fluente e corretto, al sapere comunicare i pensieri in forma scritta. E già non è facile.

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Vestiti-per (corpi in scena e professioni)

Lunedì sono transitata per un piccolo tribunale di provincia … con il senno di poi credo che dovrei trasformare il transito in sosta, e l’attivita’ da estemporanea a fissa.

Perche’ il piacere e la curiosita’ dell’osservare l’umanita’ sono impagabili.

Il massimo per me sarebbe l’assunzione nel team del Dr. Leitman (serie tv Lie to me), e pure stapagata, come osservatore della comunicazione non verbale.

Ma bando ai preamboli….

Le avvocatesse, di detto tribunale, rappresentano un gruppo piuttosto omologo (ne avro’ osservate una trentina almeno) di signore mediamente molto (molto) eleganti; anche quelle piu’ sobriamente vestite e non ingioellate hanno un certo “non so che” di overdressed, o overstatement.
L’effetto e’ quello “matrimonio, il gruppo degli invitati ad un matrimonio si riscosce inconfondibilmente, e al di la del gusto individuale; la vista ci svela immediatamente la destinazione del gruppo. Per andare ad un matrimonio si deve indossare un “certo” stile, e con l’abbigliamento si comunica evento, destinazione, e cura, attenzione alla ritualita’ dell’evento.

Ma allora, perché le avvocatesse  si vestono “da matrimonio”? Evidentente la finalita’ della comunicazione non verbale non e’ la stessa, non sono ad una festa, anche se un tribunale è un luogo rituale della celebrazioni di eventi significativi come udienze, processi, guidizi. Certo momenti simbolicamente molto importanti e che  richiederebbero, per natura,  abbigliamento significativo. Ma anche scomodo, apparentemente. Sorgono domande.

Come fanno a trattenersi in piedi su tacchi straordinariamente alti, in abiti davvero poco pratici?
Perche’ molte sembrano aver fatto un bagno nel profumo?

Le chiavi di lettura sono varie: mostrare un potere e disponibilita’ economica (ai clienti, ai colleghi) come testimonianza di una abilita’ pratica che si trasforma in guadagno. “Sono abile” e’ una comunicazione importante sia per i colleghi, che per i clienti, e anche per i giudici.
Ma anche c’e’ il di-mostrare “sono alta” (grazie ai tacchi) e “profumata” (grazie al profumo), atti che veicolano una comunicazione non verbale importante.

Al di la del giudizio e dell’oggettivo/soggettivo fastidio (per il profumo), questo essere molto alta/molto profumata sono due atteggiamenti che permettono di governare o dominare lo spazio e la prossemica con colleghi e clienti.
Altezza puo’ voler dire “guardare negli occhi” e compensare il fatto che spesso gli uomini sono piu’ alti, o guardare “dall’alto in basso” e stabilire asimmetrie di potere. Insomma una sorta di parificazione delle distanze.

Il profumo poi non e’ solo oggetto di seduzione, ma occupa (soprattutto se “prepotente” forte incisivo) uno spazio olfattivo, impone, richiama e indica, dichiara la presenza di una persona e del suo “odore” (profumo) come un marchio territoriale. Puo’ persino imporre una distanza, obbligando altri a stare lontani, con un eccesso di profumo.

Sarebbe curioso capire se c’e’ consapevolezza nell’uso della comunicazione non verbale e corporea, nella sua molteplicita’ di mezzi espressivi, se le variabili dipendono dal territorio (tribunali grandi o piccoli, appartenenza a studi legali affermati o meno, localizzazioni in grandi metropoli o piccole provincie).

Peraltro nell’aula del giudice e dei suoi assistenti regna(va) la dimissione nell’abbigliamento, e un certo sottotono,
anche umorale… Che creava una asimmetria davvero curiosa. (n.b giudice ed assistenti erano comunque donne).


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De Kerckhove: trovando i nessi

L’intensita dell’esperienza web che sperimento come utente/produttrice di significati, spesso plurali/moltplicati/iperconnesi e amplificati dalle connessioni con il web, con le relazioni con amici, conoscenti, blogger, altri utenti facebook o twitter o linkedin mi rimanda sempre alla mia esperienza di persona unitaria. Corpo e mente.

La pratica oramai pluriennale come psicomotricista mi ha sempre indotto a cercare il nesso che percepivo e non riuscivo, e ancora non riesco del tutto, a nominare tra corporeità e web.

Il saggio di De Kerckhove mi ha messo sulla giusta strada.

Al contrario di quanto avviene nella comunicazione orale, in forma scritta il linguaggio trova nuove collocazioni e si redistribuisce nei vari corpi. Gli alfabeti fonetici hanno il potere di separare il linguaggio dal corpo dei parlanti, non perdendo in efficacia nel riprodurre, trasportare e accumulare il significato. Nelle società pienamente alfabetizzate, i corpi (e, va da sé, le menti) riacquistano potere e controllo sul linguaggio. È un passaggio fondamentale per comprendere non solo il destino delle parole, ma della politica, della religione e delle vite individuali di ciascuno.”

“Leggere allarga la mente, senza dubbio, ma l’ampliamento avviene dentro la testa. Lavorare al computer implica che quasi tutta l’elaborazione mentale, che riguardi testi, immagini o suoni, si sposta fuori dalla propria testa. L’interattività è una condizione, non un’opzione. I miei studenti sono nativi digitali. Io li chiamo “screttori”[wreaders]. Uno “screttore” è qualcuno che non è capace di leggere nulla senza al contempo scrivere. Interagire con il materiale è d’obbligo. Il popolo multimediale non è fatto per i manuali. È l’ultima cosa che vuole, leggere un manuale. Deve calarsi nella materia e lavorarci da dentro. È abituato a operare in gruppo, in squadra, è multi-tasking, vuole toccare con mano, e realizza fuori dal suo cervello, su uno schermo, tutto quello che un “immigrato” come me era stato abituato a fare dentro. Quello che sto dicendo è che il nostro rapporto con lo schermo è molto complesso, è un rapporto in cui a tutti gli effetti una grande quota delle nostre funzioni cognitive viene data in delega.”

tratto da la mente aumentata di Derrick De Kerckhove ebook

Oggi come non mai saranno graditi link, spunti, idee, e sensazioni personali.

qui metto alcuni appunti/link in tema

UNO Intervista  a Caronia sul  volume Il corpo virtuale