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Le anoressiche, se modelle, non pesano!

Se ne era letto in giro. La morte di Isabelle Cara, la modella foto simbolo dell’anoressia. Morta di anoressia, appunto.

Una notizia triste, aveva solo 28 anni, e buttata lì,  da molti media come se si trattasse di un gossip come un altro.

Una delle tante notizie gettate con banalità in pasto a noi tutti.

Lasciamo anche stare oramai anche i commenti di Oliviero Toscani che di quel corpo, impietoso verso se stesso, ne aveva fatto fama per se, eppure opera di denuncia.

Con tutti i pro e i contro del caso.

Quando è successo avevo scritto di getto parole, che sono rimaste ferme nell’aria virtuale. Non potevo fare parte del profluvio di parole.

Chissà se quella morte vale meno, o merita meno pudore, per via della moda (era una modella), per via dell’anoressia (era malata), per via della sovrasposizione mediatica che espropia di umanità chi è pubblico, chi è molto corpo, chi è nella moda, chi sta nel “circo” mediatico. Anoressiche quali freaks della moda.

Oggi a distanza di qualche tempo, leggo questo articolo di Cinzia Sciuto su Micromega che recita così’:

Nella traduzione per il titolo quell’aggettivo, «appesantita», diventa un dito puntato: eh, cara Kate, lo sai che sei un po’ appesantita eh? vabbè, comunque come feticcio ci vai bene anche così, però insomma… E il corpo di una donna viene associato a «vernice e paillettes», come un oggetto di lusso da mettere in vetrina. Ma perché, anziché strizzare l’occhio al pettegolezzo da bar (guarda lì la Kate, eh non è più quella di una volta…), chi fa titoli del genere non si pone il problema (oltre che della fedeltà all’articolo) della propria responsabilità nella comunicazione di contenuti?

Insomma i nostri freaks devono restare tali, e i corpi essere e restare oggetti grotteschi di proprietà pubblica.

Pena il ludibrio.


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Per mamme 2.0: una tribù web e il corpo dilaniato

Partiamo dal link seguendolo potrete accedere ad un articolo e quindi alla intera ricerca sulle mamme 2.0. E comincio io condividendo parte del testo. Lascio a voi capire e  lasciarvi spazio per dire qualcosa in proposito …

a voi …..

 


 

Dice Etnografia Digitale

“Come si è visto attraverso le loro conversazioni attorno ai prodotti e ai Brand per l’infanzia la web tribe delle Mamme 2.0 da corpo ad un’intensa e peculiare attività di produzione culturale. Attraverso tale produzione culturale le Mamme 2.0 riescono ad ingaggiare, in maniera implicita, un’azione di resistenza simbolica nei confronti del contesto sociale che le circonda, e soprattutto verso gli stereotipi e le forme di dominio prodotte ed imposte dal suddetto contesto. Nello specifico possiamo affermare che la web tribe delle Mamme 2.0 pone in essere due strategie di resistenza culturale: una di chiusura e l’altra di apertura.

Da un lato la web tribe si chiude su se stessa, in maniera quasi settaria, dando vita, grazie a e tramite i forum online, ad una sorta di società segreta, dotata linguaggi e“codici iniziatici”propri, all’interno della quale le mamme/utenti si riappropriano del loro diritto di narrazione su se stesse e sulla maternità. Questa chiusura si attua sia nei confronti della “petulante società degli esperti” che della “sorda società dei mariti”; “società” che, parimenti, negano alla madre il diritto di parola: la prima sovrapponendo la propria parola a quella delle mamme, la seconda non facendosi carico di ascoltarla. In entrambi i casi, dunque, entrambe le “società” oppongono degli ostacoli alla piena espressione di sé della madre, ostacoli che le Mamme 2.0 riescono a valicare grazie alle loro arene simboliche di produzione e resistenza culturale.

Dall’altro lato, invece, la web tribe opera una strategia di apertura, per così dire, totale. Infatti decostruendo, “dilaniando” il corpo femminile nella sua totalità, la tribe priva il potere sociale del sostrato su cui esercitare il proprio potere manipolatorio. Le Mamme 2.0 cioè elidono, occultano il corpo femminile, ovvero la materia grezza su cui una società di esperti (che si declina principalmente al maschile) cerca di inscrivere dispoticamente le proprie narrazioni sulla maternità. Tramite questo processo di elisione ed occultamento la web tribe delle Mamme 2.0 riesce, de facto, a riappropriarsi del suo di dritto di narrazione su se stessa e sulla maternità. Infatti, in ultima analisi, possiamo constatare come, attraverso il suddetto processo di decostruzione del corpo femminile, ci ritroviamo in presenza di due tipi di corpo materno: un corpo“dato in pasto”alla società ed un corpo“dato in pasto”al gruppo tribale. Il“corpo sociale”è un corpo in decomposizione, morto, privo di quella vita che costituisce l’oggetto privilegiato dell’esercizio del potere. Il“corpo tribale”, invece, è un corpo riportato a vita nuova, ovvero ad una vita declinata secondo modalità di costruzione culturale sancite egualitariamente dalle sue legittime proprietarie: le mamme.

http://www.etnografiadigitale.it

CONCLUSIONI RIASSUNTIVE

In conclusione riassumiamo per punti tutte le considerazioni fatte fin’ora sulla web tribe delle Mamme 2.0, di cui compendiamo di seguito tutti i tratti identitari e i codici culturali distintivi:

Le Mamme 2.0 sono giovani mamme (tra i 14 e 33 anni) che hanno dimestichezza con le nuove tecnologie della comunicazione e che sanno integrarle efficacemente nella loro vita quotidiana.

Le Mamme 2.0 amano rappresentarsi come esperte e “scienziate” della maternità. Questo consente loro di ri-appropriarsi di quel diritto di parola in campo di maternità che la società tende a negare loro.

Grazie ai prodotti e ai Brand per l’infanzia le Mamme 2.0 danno voce a quello che abbiamo chiamato the dark side of motherhood: l’esperienza del dolore fisico e della solitudine morale che spesso caratterizza la pre-neo-maternità.

Grazie ai prodotti e ai Brand per l’infanzia le Mamme 2.0 danno voce a quello che abbiamo chiamato the bright side of motherhood: la gioia di consacrarsi alla maternità e al benessere dei propri figli che prende corpo in un desiderio di acquisto compulsivo di prodotti per l’infanzia.

Nelle loro narrazioni di sé le Mamme 2.0 costruiscono delle figure maritali particolarmente negative: i mariti sottomessi, i mariti disattenti e i mariti riottosi. Ponendosi come nemici esterni, queste figure svolgono la cruciale funzione antropologica di rafforzare i confini interni della web tribe delle Mamme 2.0.

Grazie alle arene simboliche di discussione che si creano attorno ai Brand e ai prodotti per l’infanzia le Mamme 2.0 riescono a smantellare gli stereotipi culturali tradizionali della mamma passiva e remissiva.

Le arene simboliche di discussione che le Mamme 2.0 costruiscono attorno ai prodotti e ai Brand per l’infanzia favoriscono il trascendimento delle contraddizioni contenute nello stereotipo post-moderno della “madre indipendente”. Infatti offrendo uno spazio libero ed immediatamente accessibile di riflessione su di sé, di confronto e di sostegno reciproco, le suddette arene permettono alle Mamme 2.0 di essere autocoscienti ed autonome senza per questo essere sole.

I processi di produzione culturale articolarti dalle Mamme 2.0 assumono delle forme di resistenza estrema che si esprimono in un’operazione di decostruzione del corpo femminile: rappresentando il loro corpo di madri come un corpo sfigurato che va in pezzi le Mamme 2.0, da un lato, “denunciano” la condizione di dolore e solitudine a cui la maternità le costringe e a cui l’ambiente sociale che le circonda sembra disinteressarsi; dall’altro sottraggono al potere degli esperti (che spesso parla al maschile) quel supporto di base (il corpo appunto) su cui esso tende ad inscrivere dispoticamente e fraudolentemente le proprie“verità”sulla maternità.”


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di peripatetiche e di esiti finali sui costumi e usi …

In molti amic*, collegh*, conoscenti si chiedono, al di la di ogni analisi o soluzione politica che deriverà dalla questione “mignotta-gate”  (che pure dovrà venire sviscerata giorno per giorno, e nelle sedi preposte) … cosa ne rimane?

Alcuni paventano una deriva moralistica della questione corpo, sessualità, erotismo, desiderio, corpo delle donne, e assai probabilmente non a torto.

 

 

Ecco che di nuovo ci troviamo ad una perdita di senso del corpo, del corpo delle donne nello specifico, che torna ad essere oggetto e non soggetto, parte e non unità.

La dote della donna ritorna ad essere solo il corpo, la giovinezza, la bellezza, l’estetica merce che si può vendere. Un bene/un valore che ha perso ogni contatto con la Bellezza, una cosa reificata, de-aggettivata, svuotata di senso, di complessità.

E ci rimette in gioco tutte e tutti a chiederci dove siamo? Dove siamo arrivati?

Gli strani esseri della sinistra che si ergono a “peggiori moralizzatori” di quel sesso che era stata una bandiera di liberazione, sembrano esser diventati complici inconsapevoli di questo gioco alla perdita di senso

Gli inquieti centristi o destristi che ancora una volta perseguono la teoria che i costumi morigerati vanno imposti ad altri, mentre nel Proprio” chiuso orgette e bagordi van bene. Basta che non se ne dica. Un classico “borghese”, molto scisso corpo e pruderie di qui, e “famiglia” di la.

Eppure in questo senso  su una unica cosa non hanno completamente torto, la sessualità dovrebbe essere libera e privata (se non eccede i limiti convenzionali, da tutti accettati, e imposti dalla legge!)

 

… Ma non ci siamo battuti, anni fa, per questo?

Perchè la sessualità facesse parte della nostra vita, insieme alla passione, all’amore, al desiderio?

Perchè noi si fosse liberi?

Perchè si potesse legittimare la scelta sessuale individuale, concedendo legittimità all’inconcepibile e umanissimo mix tra amore e sesso, concedendole spazio tra generi, nella vecchiaia e nel tempo, fino ad essere fattibile e fruibile anche per i più fragili o i disabili. Concedendo che la passione per il dio “Eros” non venisse schiacciata dai moralismi più beceri. Non fosse bollata nella categoria .. immorale, brutta, sporca e cattiva …

Non si è discusso a lungo, soprattutto nei comodi alvei del dibattito femminista, del confine tra scelta e impossibilità, laddove le donne erano nel mondo della prostituzione? Donne vittime o colpevoli, capaci di scelta o oggetto?

Non ci siamo impegnati tutti affinchè  la libertà sessuale divenisse un diritto legittimo tanto alle donne quanto ai nostri compagni maschi?


Evidentemente oggi c’è troppo macello, troppa carne al fuoco, un uso troppo strumentale di quanto avviene, da entrambe le parti, così le lucciole vengon usate per lanterne e viceversa.

Le ragazze dell’Olgettina, le Ruby e le altre di cosa ci parlano? Vittime? Carnefici di un vecchio? Furbette? Fanciulle irritetite?

Mah??

A sentire certa sinistra sono vittime e, se/quando fa comodo, anche per la destra sono vittime. Dipende da come è possibile usarle. Ma ancora una volta si rischia la semplificazione.

E poi quella questione usarle. Ecco che il femminile è restato di nuovo ingaggiato nella sua unica e vecchia categoria, quella dell’uso.

Femminile = Inconsapevole.

Illegittimato a scegliere ed imparare.

Figlio sciocco di una cattiva televisione, davvero cattiva nella qualità offerta e nella capacità di divulgare soprattutto molta spazzatura.

E se sei “mal-educata/o” puoi essere solo vittima. Sfortunata e passiva vittima, di un sogno di ricchezza e futuro dorato, che si guadagna prostituendo testa e cuore, attraverso un corpo che non è tuo, visto che è un oggetto.

 

Così alle nostre figlie e ai nostri figli come racconteremo questa bruttissima storia, solo italiana?

Come (o cosa) avremo voglia di spiegare della femminilità (o della maschilità), e del dispiegarsi dell’amore e del sesso, nella sua incomprensibile complessità fatta di corpo, di emozioni, di culture, di abitudini, di pensieri, di progetti, di calcoli, di strategie, di interezze e parzialità,di ambivalenze e ambiguità.

Come faremo a dire “cos’ è” quando lo scenario che offriamo loro è così confuso e manipolato?

Ad occhio e croce come adulti, genitori, madri e magari anche padri dobbiamo riprenderci uno scenario che deve essere prima nostro, prima di ogni trash tv, prima di ogni programma politico roboante, primo di ogni convenzione acefala e a cui non abbiamo applicato la nostra capacità di scegliere.

 

Il post predente, su Franca Viola, ce la dice lunga in questo senso.