Ma evidentemente occorreva parlare della violenza contro le donne proprio così.
Evidentemente bisogna sempre passare dalla questione della sessualità come vissuto di pretesa di potere/potenza/impotenza di uno contro un’altra.
Evidentemente i protagonisti di questa storia non sapevano nemmeno di essere su una scena che si porta dietro questo tema, e restano inconsapevoli vittime di uno stile che impone alle femmine di essere ben-educate e ai maschi di essere predatori.
Evidentemente anche l’essere su una scena educativa non ha permesso agli adulti di essere consapevoli del messaggio che trasmettevano …
Ecco cosa è successo …
C’è una scuola – una scuola media statale – ora dell’intervallo.
Protagonisti: un ragazzino – una ragazzina – una professoressa
Il ragazzino tocca il sedere alla compagna, la quale si ribella e lo appella a male parole.
La professoressa sgrida la ragazzina per il linguaggio non consono alla scuola.
La ragazzina, scusandosi, spiega il perché del suo modo di parlare al compagno.
La professoressa ribadisce che a scuola non si parla così.
La professoressa non dice nulla al compagno.
Il ragazzino sbeffeggia la compagna perché è lei ad esser stata sgridata, e quindi pensa di non avere fatto nulla di male.
A me non restano che alcune considerazioni di contorno:
manca la cattiva fede, nei protagonisti,
manca nella scuola una cultura di educazione all’affettività per i preadolescenti/ adolescenti
manca nel ragazzino l’idea che il corpo altrui è soggetto e non oggetto,
manca la possibilità di parlare a scuola di cosa siano i generi e l’incontro tra i generi,
ed è un vero peccato.
Perchè è proprio dove i ragazzini (la scuola) imparano a stare insieme che si può costruire un senso comune dell’incontro fra i generi, i corpi, i saperi e i sentimenti.
Ascoltavo alla radio la serie dei misfatti, a volte sono tali, degli amministratori leghisti; i quali spesso se ne impippano di quella parolina magica che si chiamano ” diritti”. Spesso il razzismo sotto velate spoglie fa orrore.
Ma ecco che mi chiedo … ma il burqua non era un segno di annullamento dell’identità femminile, insieme all’infubulazione e ammennicoli vari?
Non era una cosuccia che la sinistra, in altri tempi, esecrava?
Orbene quale confine c’è tra il diritto alla propria religione e l’annichilimento di una persona (donna nella fattispecie)?
Infatti… non si parla di un velo islamico ma di questo:
Allora lasciamo pure agli amministratori leghisti i loro deliri e paranoie razziste, andiamo a protestare laddove i veri diritti vengono infranti.
E non perdiamo di vista che il burqua va al di là dei dettami coranici e della dignità di una donna.
Altrimenti per dare contro ai leghisti .. buttiam via il bambino con l’acqua …. (opsssss i diritti delle donne).
Si comincia con una riflessione che ho condiviso con una amica “di blog” e siccome poi pochi minuti fa, on topic, ho letto un bellissimo – lasciatemelo dire – post di mammaamsterdam sulla prostituzione, sulle veline e sull’uso dei corpi, vi aggiungo anche quello .
Ne metto un pezzetto come intro e poi potete finire di leggerlo comodamente sul blog di mammaamsterdam …
Mettetevi ben comodi, ce n’è da leggerne, qui.
Dunque, eccoci:
(disclaimer si parla del network donne pensanti ma per estensione io penso al movimento di “rivolta” – verso questa incessante visione di pezzi di corpi di donna, anatomie inutili, movimento che è molto attivo sui principali network e molto discusso su un crescente numero di blog )
E poi uno dice “donne pensanti” …
Questo testo è frutto di uno scambio di riflessioni tra me e x, e mi piacerebbe tenerne una sorta di tessuto/ struttura narrativa dialogico, proprio perchè è anche grazie a quel dialogo che il termine “pensanti” ha assunto uno spessore diverso.
Tutti siamo esseri pensanti, non solo le donne, non solo gli uomini.
Qualcuno di casa mi ha fatto notare che definire un blog “donne pensanti” rischiava di risultare un pò strano, già perchè appunto tutti siamo pensanti. Insomma quel pensante mi è stato fatto notare più volte, e strenuamente ne ho discusso difendendone il senso. Era un pensare diverso. Ma mai discutere chi si è formato in luoghi filosofici … 🙂
Ma tornando a noi: già perchè anche le veline pensano e non è detto che pensino male,!
E pensa anche chi usa capziosamente le immagini femminili … purchè “ignude”, pensa molto “bene” e sceglie.
Così quel pensanti rischiava di risultare pomposo o irridente.
Nel frattempo il network (donne pensanti n.d.r.) su cui scrivo talvolta ed è uno dei forti motori, insieme ad altre associazioni è cresciuto, in dimensioni e capacità di fare pressioni sul tema donne “svestite” e svaluate, così come insieme ad essa è montata insieme, nello stesso spazio tempo (il web) una marea nera e fumigante, di proteste “al femminile”. Alcune decisamente femministe, altre meno. C’è stato il grande successo del “Corpo delle donne” di Lorella Zanardo, anche a livello europeo e ci son state mille e una proteste che hanno cominciato a confluire in quel ribollire. Di certo qualcosa si è mosso e si sta muovendo.
Ed è bello.
Ma mi si è insinuato un dubbio, che ho condiviso con x, e con altri …., dacchè la protesta è bella, forte, vivace, irruenta, spacca, scardina, travolge, scova, espunge, svela, denuda … ma è un pensanti che agisce, spezza, corrode, spinge al mutmento.
Ma nella traccia di un discorso è apparsa la necessità di sostanziare quel “pensare”.
Dove lo mettiamo quel pensare, che è diverso dall’azione, quel pensare che viene insieme e costruisce il nuovo, che è la proposta accanto ai ruderi i ciò che si è così potentemente smontato.
M.:
“ una volta che si sono smontati gli stereotipi (n.d.r. della “velina”) in base a cosa si ricostruisce?
come diamo valore a quel “pensanti”?
Qual’è il senso che assume questo termine, se in fondo è vero quanto mi diceva una persona: tutti e tutte pensano.
non solo le donne pensanti … ma qual’è la qualità del pensare, qual’è la dimensione pedagogica, culturale, etica, umana che si vuole aggiungere per fare smettere questo delirio in cui “tette&culi” siano solo merce, come si fa a costruire un contesto in cui l’uso del corpo sia essere soggetto, abbia intenzione, interazione.
come facciamo a non disperdere il diritto alla provocazione del corpo che può essere anche sessuale, come possiamo tenere il valore della trasgressione, o il diritto ad esercitare la nostra voglia di donne “del desiderio” che seducono il loro compagno/uomo/marito ….”
x:
“temo che la posizione sulla quale ci stiamo interrogando sia la più difficile….l’atto della denuncia denuncia infatti ha il vantaggio di una certa “economia concettuale”… è una azione veloce, rapida, [ …] ma poi occorre una altrenativa, in seguito […] L’alternativa consiste nel cercare secondo me di immettere temi di discussione, fare emergere le esperienze dei singoli, di scardinare il sistema merceologico che vuole che l’oggetto di interesse sia quello che vende. […]
Ma è faticoso! Spesso quando quando si tratta di elaborare di più i concetti ecco che la gente si annoia … e i tentativi di creare momenti che stimolino discussioni un po’ più complesse e articolate vanno in fumo, come se leggere più di 4 righe o o esprimere più parole nuove creasse disagio, noia …….
M.:
“Direi che hai centrato perfettamente il cuore di ciò che va espresso. Il cambiamento costa fatica, ma solo la fatica permette di produrre risultati.”
Così mentre tento di riassemblare insieme i frammenti di una chat, mi immagino le nostre figlie, le sorelle più giovani, quelle di noi che si affacciano alla vita, al lavoro, al mondo degli affetti e si chiedono cosa farsene di quei corpi, che in dialogo perpetuo con il loro pensare compongono loro stesse, noi stesse.
E vedo una simile deriva:
la negazione: la negazione più profonda dietro un burqua, come nel corpo ipersessualizzato per vender prosciutti o reality, la negazione di pari opportunità nel lavoro, la negazione di una maternità tutelata adeguatamente e assurta a privilegio di poche, la negazione di una libertà sessuale di recente conquista, e quella relativa alle scelte di vita e realizzazione di se anche fuori dal matrimonio.
Ma a buttarsi nel esecrare tutto il corpo “da vedere” si rischia di negarlo di nuovo, di negare noi stesse di nuovo.
Essere Pensanti significa forse ritrovare in quei corpi ed esposti in alcuni luoghi dove devono resistere, ed esistere ancora. Luoghi dove i corpi ancora esposti hanno un senso (l’arte? il cinema?). Dove possono sostare eppure nudi, eppure pieni di significati, quelli che sono contenuti da un corpo che non perde di interezza.
Per non ritrovarsi prigioniere come in passato di corpi negati, e quindi di pensieri negati.
E di negare un futuro diverso con gli uomini che non negano il loro corpo e non negano il nostro.
Si fa fatica a seguire questi pensieri?
Magari si?
Ci si annoia, ed è difficile seguirli?
Forse si.
Ma è una fatica che fa crescere.
E’ la nostra sfida …
Ecco invece il controcanto di Mammaamasterdam; è un passaggio azzardato, lo ammetto. Ma è uno sguardo, il suo, che non delega il pensiero e lo assume sino in fondo, fino a dare quasi fastidio, perchè è da quel fastidio che possiamo credere, cominciare, imparare.
“È terrificante pensare come il tessuto di sostegno sociale stia fallendo in questo momento, come i genitori, la scuola, gli esempi, le pressioni esterne stiano modellando una cultura del de-merito. Come dice giustamente Roberta, questa serena convinzione per cui non serve sbattersi, non serve essere onesti, non serve rispettare le leggi. Basta vendersi, e non mi riferisco solo al sesso, per avere successo nella vita.
Qui, altro che normalizzazione della prostituzione, qui siamo finiti nella prostituzione della normalità, non sappiamo come sia successo e ci stiamo pure chiedendo se ne verremo mai fuori.A questo punto il condannare le escort che amano la bella vita facile scusate, ma mi sembra sparare sulla croce rossa.” (Continua qui…)