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Sessant’anni di strati

Strati di vernice, intendo! Sessant’anni – più o meno – sono quelli che indossa questa nostra questa casa.

Da una settimana vado di sverniciatore, pennello, raschietto, paglia di acciaio, cartavetrata (significativa la presenza di olio di gomito). Oggi finalmente ho aggiunto la prima mano di cementite, su una porta restituita alla sua prima natura, il legno.

I lavori manuali son così: viaggi nelle storie delle cose, degli oggetti, e nella vita.

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Cosa si lascia

Se non avete voglia di un post menoso, è proprio il  momento adatto di cambiare pagina… 

Oggi una persona amica scriveva del dolore interiore che si prova in uno stato di malattia conclamate e grave, quel dolore che va oltre il dolore fisico.

Ci ho pensato e chiesta a come me lo immaginavo.

Un dolore di amore, di malinconia, e parole difficili.

Un timore di dover salutare quelli che ami, senza avere tempo per dire e per fare le mille cose che riempiono una vita.

Mi immagino tutte le cose che devo ancora insegnare alle mie figlie, prima che imparino a volare con le loro forze,

le cose che non ho ancora saputo fare ma che sono scritte forte nei miei pensieri (obiettivi, volontà, sfide, determinazioni).

Poi però penso al gesto di amore di mio padre, negli ultimi giorni e in tutta la sua vita.

Al suo lasciarmi, senza parole, ma piena e ricca, di gesti e attenzioni, di errori e sicurezze.

Di avermi dato, ogni giorno, della sua e della mia vita una piuma per le ali.

Credo sia la rotta che cerco.

Aggiungo il video dell’intervista ad un mio maestro, una una persona che non smette di imparare e insegnare.

In qualche modo la sua storia risuona in questo post, alla ricerca di senso anche alle cose che sembrano non averne.


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I pezzi spezzati

Questi giorni straniati mi interrogano sulla funzione terapeutica del blog.

E intanto capitano necessita’ pressanti di buttare fuori tutto, tutto cio’ che ci annoda lo stomaco e la vita (famiglia, problemi, lavoro, quotidianita’ o le “strane storie” che annebbiano i pensieri)

Ma la narrazione e il ‘gioco’ che ho scelto, nel blog, non prevede l’outing compulsivo. Ma al limite mi consente di tracciare sottili metafore e pallide icone di cio’ che davvero da fastidio.

I pezzi spezzati, del titolo, nascono da questo fastidio, e da alcune storie “di famiglia” mai raccontate davvero e mai fino in fondo.

Storie antiche e comuni, di guerre e figli rubati. Figli tolti e deprivati sentimentalmente, degli affetti dei genitori. Storie di figli barattati per compensare altri figli perduti, morti, o che hanno scelto altre strade.

Le guerre, si vede, tracciano piu’ ampiamente il confine tra bene e male, tra affetto ed odio. Tra figli/ figli estranei, genitori. Generazioni interrotte dalla guerra, e che dimenticano il continuum in cui stanno inserite. E dimenticano, tragicamente, il compito di narrare queste piccole epopee familiari.

Cosa che affatica le generazioni future, l’assenza di una narrazione, di un qualche tentativo di ritessere quelle trame, lascia buchi e frammenti, strappi che creano estraneazione.
La nostra storia, le nostre radici, belle o brutte sono l’anima delle nostre vite. Fingere che non esistano o che non vadano raccontare svuota di senso la strada comune.