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del pulire, dell’aver cura, del dolore (Per Sara)

Questo l’ho capito in campeggio, dapprima arrabbiandomi, e poi arrivandoci con miglior dolcezza, arrivando a toccare il nocciolo del problema, proprio oggi che ho cominciato a pulire il camper di Sara.

Ogni volta che andavo nei bagni del campeggio, mi dava fastidio vedere come i lavandini venissero lasciati sporchi (capelli e dentifricio in genere), e lo stessa incuria la trovavo nei lavabi per le stoviglie.

Un vero peccato, trattandosi di un campeggio molto bene assistito e curato, tant’è che entrare nei bagni mostrava l’evidente lavorio della persona addetta alle pulizie, nell’arco della giornata.

Insomma erano i campeggiatori a comportarsi da zozzoni.

Dopo un sufficiente numero di improperi lanciati a destra e a manca, ho capito cosa avevo voglia di fare, una sola cosa lasciare: più pulito di come avevo trovato.

L’ho collocato a mezza strada tra il mio bisogno di aver cura delle piccole cose, e l’ideale di giustizia che vorrei venisse applicato da tutti; ho scelto una azione piccola che stesse comoda, a scavalco tra l’utopia e la possibilità di azione, e che mi restituisse l’idea che il mio segno sul mondo è piccolo. Limitandomi a lasciare un bagno decente, per chi viene dopo di me.

Molto più difficile è stato pulire il camper di Sara:

se ci fosse ancora, lei avrebbe pulito il frigorifero, e sgrassato il fornello, spazzato e preparato tutto per il prossimo viaggio, per lei e la sua famiglia. Lei e non io.

Il suo camper mi è stato prestato.

ho pensato ogni gesto, immaginandolo come sarebbe stato e sapendo che sarebbe spettato a lei, che invece non può più farlo. Ho fatto azioni che sembravano dei mantra al dolore che c’è, nella sua assenza. Al dolore immenso e irriducibile della sua morte, a quanto di faticoso e inesprimibile si è tirata dietro, e che conosco così ancora intessuto (o inciso) nella vita della sua famiglia.

Non avremmo usato il suo camper, se lei fosse stata viva. Usarlo è stato (da un lato) tenere vivo lo scopo per cui era stato pensato – un modo per andare in vacanza ovunque, liberi di scoprire il mondo – dall’altro è stato un rinnovare la sua assenza.

L’ho pulito, e ancora ce n’è da fare, pensando che magari la sua famiglia riuscirà nuovamente a usarlo, rinnovando la memoria del loro progetto, ritrovando nel gesto che facevano con lei, nel dormire e nel cucinare sul camper; avendo di nuovo come dolce sottofondo la sua presenza, come ricordo, come compagnia, come pensiero, come progetto.

In ogni caso ancora oggi, a quasi due anni da quella morte troppo precoce, il dolore si sente ancora forte, tra lo sgrassatore e lo straccio per il pavimento.

Chissà se scriverne diventerà un altro modo per aver cura, per aver memoria, per aver gratitudine (per la persona splendida che era), e se diventa un gesto che offre sollievo al dolore.

Oggi non lo so.


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Dalle piccole cose alle grandi disattenzioni.

foto 2Io sulla strada sull’argine ci vado con la piccola, una stradetta di servizio asfaltata, che porta al Po, e all’ultima frazione del paesello, anzi alla frazione – ceduta per le incertezze della geografia – al paese limitrofo.

Ci andiamo a rodare le sue capacità ciclistiche, appena maturate. Va da se che una strada simile serve a poco e a pochi, e in genere chi vi transita in auto, cortesemente rallenta per facilitare la vita ai ciclisti, bimbetti, signore agee, famigliole…

A parte i tre imbecilli della macchinona nera, che ben si sono guardati dal rallentare o spostarsi. Va da se che da madre previdente avevo messa al sicuro la piccola, lo sapete che le madri lo fanno, no? O avete bisogno delle orse Danize per ricordarlo? I cuccioli non si toccano!

Ho detto una parolaccia, subito redarguita dalla microba. Ha una mamma irritabile e brontolona su certe cosucce. La sua sopravvivenza, i diritti e il rispetto.

E la testa, troppo pensosa di mamma, si è fatta un viaggio sul bisogno di cura che ha il mondo, e sulla ovvia necessità che un posto civile ha cura per chi è piccolo, o fragile, i cuccioli, i disabili, i vecchi.

(sottofondo di improperi, tanto la cucciola li censura)

Certo nulla è successo, ma la noncuranza dei guidatore, mi ha ricordato sin troppo da vicino al disinteresse per una necessità che è dell’umanità/essere umani: il diritto/dovere alla tutela di chi è in svantaggio. Fair play e non solo.

Cura, attenzione, protezione, un giusto dosaggio di cura e possibilità che vanno concesse.

In Syria, o a Gaza, o in Ucraina, o ai cuccioli di orso.

Tanto per dire.

Che farsene, altrimenti, delle viscere che si contraggono davanti al dolore altrui, o quando si vede bene nemmeno più la vita di un bimbo vale? E’ talmente ovvio che come specie dovremmo avere cura dei cuccioli. Lo sanno le orse e le elefantesse.

Gli umani se ne dimenticano, dentro le camice a quadrettino, gli occhiali neri da sole, e le macchinone.

(Cretini!)

Stay human voi che potete.


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La “malefica” rivincita del vero amore.

Da madre di una piccolina di quasi sei anni mi devo tenere aggiornata sulle tendenze di tendenza. e quindi il cinema è una palestra di saperi e culture che rivisito puntualmente.

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Orbene la fata/strega Malefica ” Maleficent” non solo scopre il suo istinto alla cura e all’amore, e lo fa senza diventare necessariamente una causa di diabete per tutte noi, ma è l’unica che sa/riesce dare il bacio di vero amore che scioglie l’incantesimo, dai lei,  gettato sulla principessa Aurora.

Un bell’endorsment per la famiglia non tradizionale, e una bella scossa per chi crede che l’amore abbia a che vedere con il sangue e il dna.

Il principe c’è, è un tenero amore, ma alla fine non va e non funziona. Non salva, soprattutto.

Il re e il padre è governato dalla legge dell’odio e del possesso. Insomma gli uomini non hanno il tradizionale ruolo salvifico.

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C’è poi “Brave” dove la madre salva la figlia e la figlia salva la madre.

La madre riscopre la sua natura selvaggia e non domata ma anche più autentica. Per chi ha letto “donne che corrono con i lupi” il nesso appare immediatamente.

E la figlia cresce salvando e imparando ad amare sua madre, come primo oggetto di amore e riconoscibilità di/per se stessa e dell’altro/alterità, e poi imparando a mediare e ad aver cura.

Gli uomini fan da simpatico corollario, anche qui non sono protagonisti, sono un po’ caciaroni e simpatici, e di fondo leali; ma sono uomini non ancora “pronti” e in ciò ricordano a tutti che il tempo dell’amore arriva al momento giusto, quando ci si è salvate, quando si è intere.

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E poi s arriva a “Frozen”. Dove ancora una volta l’amore protagonista e che salva è quello … tra le due sorelle; non salvano gli uomini, non lo riesce a fare il principe (che è pure traditore), e nemmeno il simpatico tagliatore di ghiaccio.

L’amore c’è., ma è quello tra le sorelle; che rappresenta un altro livello di rapporto affettivo capace di salvare; e con questo sbaragliamo anche la tradizionale leggenda dell’invidia tra sorellastre di Biancaneve, e ci riappropriamo della lealtà fraterna di Hansel e Gretel o Pollicino .

Non manca l’amore tra uomo e donna, non preoccupiamoci, ma resta nello sfondo, non è salvifico. Resta una potenzialità che si realizzerà, certamente, è ovvio, quasi ancora scontato, ma non immediato.

Insomma l’amore e il lieto fine sono cambiati, non è il principe che porta via dai nani una stordita Biancaneve, insomma prima della coppia arriva qualcosa di altro, serve altro.

Arriva il salvarsi, il ritrovare l’amore che c’è, in un femminile complice e non nemico, non competitivo, e che risponde alla legge dell’amore, della cura, dell’imparare a proteggere, superando odi e vendette, affrontando paure, fasi di crescita, anche usando proprio dono di “fare male” in modo positivo, (il dono del ghiaccio in Frozen), o gestendo con cura il proprio “potere”.

E gli uomini?

Ci sono e, io credo, possano grazie a questo femminile che ci viene riconsegnato de-bandalizzato e autentico, cimentarsi nella stessa prova straordinaria.

Le donne si salvano da sole, imparano ad amare, aspettandosi la reciprocità.

Mi immagino come un processo bello, per gli uomini, questo mirato a cercare o ritrovare la propria interezza, i propri codici di amore e cura, insomma la propria strada che incontri quella delle donne, che decideranno di amare.