Se non ora, quando … è il carpe diem che risuona nei social, rimbalzando dalla quotidianità, dai media, dal lavoro, dalle pratiche familiari e dai pensieri che si stanno muovendo ….
Insomma il nostro tempo di attesa è scaduto, sembra che sia ora di fare le cose, e non solo – da un osservatorio tutto femminile – iniziare a raccontare, mostrare, spiegare, professare ciò che già facciamo …..
Una delle critiche più tristi – umanamente triste – che ho ascoltato, e fatta da parte da molte parlamentari Pdl, è quella che per loro la lotta per la dignità femminile è ciò fanno ogni giorno.
La prima osservazione, ovvia, che pongo è: e allora? Non è ciò che facciamo un pò tutte? E allora perchè lo raccontano come si trattasse di un mero ed insindacabile fatto personale, unico, irripetibile e strordinario?
Eppure ricordo momenti in cui le donne in parlamento hanno saputo essere trasversali in un paio di occasioni. Ma sembra appartenere ad un altra storia.
Mi dispiace perchè la dignità, come i grandi temi non è mai individuale, o meglio si può concretizzare nella propria quotidianità; fa parte delle scelte personali e insindacabili, fa parte della capacità di assumersi le proprie responsabilità ma resta – anche – un fatto collettivo, civile, sociale e politico.
Inoltre una donna politica, come una professionista, rende pubblico e “professa” inevitabilmente le proprie scelte anche in termini di visibilità.
Può “dire” che i suoi comportamenti pubblici e privati sono scissi.
Può dirlo.
Ma come donne (eppure so che vale anche per gli uomini, ma posso parlare e guardare dal mio specifico sguardo femminile, mi riesce più facilmente) sappiamo che le scissioni non sono così facili. Siamo dannatamente complessi e stratificati, sappiamo che il nostro sguardo risente dei nostri percorsi di vita, delle scelte, e di molti altri aspetti; possiamo cercare la coerenza, possiamo imparare a distinguere meglio tra pubblico e privati (anzi dobbiamo farlo). Ma la nostra vita resta anche un fatto pubblico.
Questa è una ambivalenza, credo, irrisolvibile. Si può cercare una vita segreta e lontana dalla quotidianità, magari in un eremo. Ma a quel punto si sceglie altrimenti, no?
Allora la dignità ci appartiene e riguarda come fatto pubblico, fatto di cui trattare, senza sfuggire al necessario ingaggio: se non ora, quando?
Di mio faccio questo: sto cercando – ogni giorno – e con immensa fatica di staccare il pensiero dal “berlusconismo” e pensare alla questione femminile e alla questione italiana staccandola dai reati, dai moralismi, dalla lotta aspererrima, sul lancio di alcune lordure . Ciò che accade è la punta di un iceberg di una società che è in crisi, che segmenta il paese in buoni e cattivi, maschi e femmine, furbi e tonti, santi e reprobi.
Incapace di integrare e guardare la propria complessità….
Ma sottotraccia le donne stanno facendo tantissimo, e da un bel pò di tempo, è ora di professarlo, esporlo, dichiarare le proprie buone prassi.
E qui le donne dei social network (nella dichiarazione esplicita di alcune questioni o nell’uso di una strumento che elabora, facendolo, pubblico e privato) sono spesso piuttosto avanti, ammettiamolo…
Non per dire che femminile è meglio, ma per dire che il 50% di un paese fa e sa fare bene. Partiamo da qui: 50% che (può) fare impresa, che espone professionalità alte e alte dignità (dignus – meritevole > merito), che lotta per figli&lavoro&famiglia&propria professione e che ha un reddito iniquo rispetto alle abilità professate.
Insomma è cosa degna di essere narrata, e pretesa e rivendicata laddove esempio le donne hanno meno accessi a certe zone del mondo del lavoro …
La dignità è ancora un fatto – solo – personale?
Si, ma anche no.

Non se ne potrebbe parlare?
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