INTRO
Ieri sentivo una nuova accentazione di un termine abusatissimo “territorio”: rapporto con il territorio, il mio territorio, la politica deve ricominciare dal territorio.
Poi qualcuno ha detto magicamente qualcosa di nuovo :
“terreno” …. già la terra, l’humus, il luogo delle radici, del contatto con ciò che è fertile e ci fertilizza…
AUSMERZEN
Scalzare è un termine pertinente con il terreno.
L’handicap è il mio terreno da quasi trent’anni.
A 18 anni non sapevo proprio cosa farmene di me, così ho provato a lavorare nel luogo più vicino a casa e segnalato come, luogo / lavoro, importante da mio padre.
Un Istituto che ospitava 1000 disabili e 1000 operatori che ne avevano cura.
Un città, cintata e chiusa, nella piccola città dove vivevo.
A diciotto anni alle volte si è proprio piccoli.
Feci il corso di ASA, iniziai il tirocinio.
Delle prime cose che vidi riesco a raccontarle solo in prima persona, cioè de visu.. Mi par “roba” un pò difficile da narrare in un blog, e che merita molto corpo e molta parola, e guardarsi negli occhi per trasmettere quella difficoltà senza banalizzarla, senza frane trash, senza creare inutile pathos.
So che di quelle 7 tirocinanti entrate, il primo giorno, in un reparto di bambini, reggemmo in due.
Sei mesi dopo, al termine del primo contratto, lasciai la partita per tornare a studiare all’università.
Sono tornata a lavorare lì alla soglia dei 26 anni, appena un poco più adulta e più formata.
Ma oramai sono trent’anni, oramai ne ho 47 , che l’handicap è il mio terreno, nel mio “dna visrtuale”.
Non so perchè, non è un esercizio di bravura, o di pietà, o di lavoro. O nemmeno figlio della professionalità.
E’ un terreno dell’umano, in cui siamo uomini e donne, giovani e vecchi, corpi alla ricerca di parola o comunicazione, di espressione di sè. Mi appartiene sempre più, anno dopo anno, come donna, persona, madre, professionista.
Le sintonia con qualcosa che senti pertinente a te, cui appartieni, che ti appartiene, è sempre più facile.
Ieri sera dopo avere visto Ausmerzen ovviamente mi sono sentita molto toccata.
Stavo li a guardare cosa succedeva in un terreno dove oggi mi muovo e che sento inevitabile, normale, quotidiano, non certo alieno o alienato. Ieri mtttina stavo facendo un laboratorio con persone disabili.
E allora io sono tra “i buoni” i sani, i salvi, “i giusti “?
Non necessariamente, perchè per me vedere quella dimensione dell’umano è oramai una prassi,
ma sempre accade che dove fai luce su una dimensione ne lasci in ombra un altra.
Questo mi ha lasciato, fra le altre cose, lo spettacolo di Paolini; cioè questa domanda:
quanti e quali altri sradicamenti non vedo io personalmente, e non vediamo collettivamente, quale callo stiamo coltivando per non sentire “se questo è un uomo”…
E son cazzi (ecco un francesismo necessario)