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Di Eros e Thanatos (A Stefania, alle altre e a noi tutti) – parte II

No so con certezza, ma credo che alle donne sia data (perché insegnata) una maggiore possibilità di agire con “le cose” del corpo e con quelle dell’amore, del sentimento.

Un vincolo educativo e fisiologico che nasce anche nel tempo del parto e del pueperio e che pure è anche culturale; un vincolo che è dato dalla possibilità di diventare madri, virtualmente pronte ad avere cura dei corpi e delle emozioni.

Forse non è nemmeno un caso il legame fra sposo e sposa si chiami appunto matrimonio (atto, agire della madre);  quindi ciò che lega un uomo e donna arriva “voluto” e agito dalla donna, dalla maternità.

Perciò sembra che legami dell’amore siano atti/agiti/curati delle donne, mentre ai padri e agli uomini viene lasciato il compito di trasmettere il lascito dei beni, del patrimonio e i terreni. Questa estraneazione degli uomini dal dono della madre, dal dono delle “cose” (atti, sentimenti, cure) dell’amore, se non ne è la genesi può ragionevolmente essere una concausa di quel vuoto, di quella violenza, della quella morte. Un lascito che gli uomini si vedono consegnare per cultura.

Non mi piace troppo cavalcare la cronaca , ma ciò che genera questo post è l’omicidio di una giovane donna da parte del suo ex fidanzato, entrambe giovanissimi.

Stefania.

Ci sono pensieri che non tornano e che infastidiscono, non si può non notare che il giovane assassino era uno studente di psicologia. Uno che delle “cose” dell’amore ne stava facendo studio, imparando come si debba trattare e come di debba avere cura del dolore; quel dolore che se non espresso col corpo, con le parole, con le lacrime, diventa distruzione, a volte suicidio, o morte con la distruzione dell’altro. Gli uomini che si suicidano sono il triplo delle donne.

Un giovane uomo, che pure sceglie una strada, studiando all’università una materia (psicologia così ieri diceva la cronaca) che gli insegni ad aver cura, e a far crescere, e a trattare la sofferenza perché non distrugga; è lui che diventa vittima di se stesso. Non trova la capacità di elaborare e  trasforma un lutto non elaborato in un omicidio; in questo lo rende ancor più inconcepibile. Trasforma le parole, da dire – che si possono dire – che si deve imprarare a dire, quanto si è dolenti in una violenza che distrugge e non ricongiunge la vita e morte.

Questa divaricazione tra corpo, dolore e violenza sembra continuare anche in chi ha saputo scegliere un percorso di studi e che sembra andare esattamente direzione opposta,   eppure nemmeno lui non riesce a sganciarsi dal suo ruolo di assassino.

Così ci dice quanta strada sia ancora da fare, e quanto sia lunga la divaricazione. Una strada che le donne non possono compiere da sole, e non possono compiere solo indignandosi. Possiamo solo possono provare a dirci, e ad insegnare come cambiare il circuito. Donne e madri, uomini e padri, operatori dell’educazione insieme a trovare come sono cambiati, cos’è cambiato.

Le donne possono ri-guardare i loro figli maschi insegnando a piangere, insegnando il corpo che soffre, ma che esce dalla sofferenza senza costruire morte e violenza, ma ri-generandosi. Gli uomini possono raccontare quella ricongiunzione tra Eros e Thanatos, per come l’hanno fatta, e per come stanno facendola nella paternità e nella professione.

Per ora chiudo il post, e 2011 con una frase che mi suona sempre più familiare, anche se faticosa #stayhuman

(segue)