Parole tra le altre, una coralità di voci sulla maternità, un esperienza e una lettura emozionante.
Un grazie particolare va a Irene Auletta che mi ha coinvolta ed emozionata.
C’è stata una discussione in un gruppo – cui partecipo – fatta di incomprensioni, radicalizzazioni e molta fatica. Un vero peccato vista l’incomprensione di fondo che è rimasta.
Il tema era: i modi di partorire. La deriva: partorire con o senza dolore, come diritto e come scelta. Il rischio: cercare di individuare cosa è giusto e cosa è sbagliato per tutti.
Adesso a mente più lucida ho bisogno di mettere giù una riflessione che vada oltre alla discussione.
Confesso che fare da madre ad una preadolescente si sta facendo impegnativo.
E molto.
I soliti dubbi mammeschi, abilmente assopitisi nel corso della latenza, riappaiono rinvigoriti e puntuali … Direi in peggioramento.
Stavolta si tratta di trovarsi pronte e assertive davanti all’import-export del sapere che smuovono gli incontri tra ados, e non si tratta di gestire il problema delle all stars violaazzurreverdi che l’amica pinca pallina indossa …
No, no, ti si spiaccicano davanti al naso le capacita’ di risparmio economico della famiglia caio sempronio, le eccellenze sportive dell’ amico ciccio riccio, e si ritrovano poi, arzigogolando, nella notizia della amica che prima o poi editera’ il suo primo libro.
Ma come a 13 anni?
E allora chi sto educando, io???
Non capisco proprio, ma sembra che l’hubrys genitoriale abbia suclassato la pratica della disciplina e dell’umilta’.
Sembra che la pratica delle starlette e dei campioncini faccia parte della formazione di ognuno, si e’ chiamati a crescere i figli con la logica dell’emersione. Inevitabilmente il pargolo e’ destinato alla fama, alla visibilita’, a qualcosa di piu’ degli altri. E subito.
Bastan 4 gol per pensare al miracolo calcistico, e per impuntarsi a chiedere l’eccellenza e una panchina di platino.
Non me lo spiego, forse sono una inconsapevole cultrice dell’ozio creativo genitoriale.
Ma ancora non mi do’ pace della scomparsa di una idea:
che la gavetta sia un passo necessario per tutti.
Imparando a imparare; imparando a fare, disfare e rifare…
Imparando che esiste gente piu’ in gamba di noi, da cui imparare, emulare, e copiare.
Imparando che esiste il nostro posto al mondo, e sempre. Anche fuori da una certa visibilità. E che il valore delle persone appare nelle pieghe più inusuali dell’esistenza, e che la meta è spesso il viaggio, ciò che si raccoglie per una strada lunga che non la coppa d’oro.
Eppure ciò che la figlia mi porta a casa sono queste storie, di amichette/i, di coetanei bravi e spinti alla bravura performante.
Cui io non la sto preparando. E’ questo che mi sta chiedendo?
Di spingere anche io sull’accelleratore dell’eccellenza e di dirle che una pagella davvero ottima (tanti dieci, un pò di nove, qualche otto) quale è stata la sua significa avere in mano la carte certe della riuscita nella vita, e che per questo si merita il meglio dalla vita.
Ma il gioco non è questo, credersi più bravi, credere quando ci dicono che siamo il “più” non sempre corrisponde al vero, e rischia di impigrire il nostro vivere. Come faccio io a sapere e leggere in un figlio un destino di “migliore”? Mi basterebbe che trovasse la sua strada e non la mia.
Ma, come dice la mia amica I., sono una “strana” e forse per questo mi sento fuori tempo … Oppure no.