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fase di disintossicazione ormonale … punk mother

Punto 1.

Piscina (o ingresso a scuola), tanto c’est la meme chose, le madri indipendentemente dal fisico che indossano si comportano come gli hall black sul campo da rugby, che si tratti di “docciare” il pupo o accompagnarlo sino alla scuola media, sono pronte a scannarsi acciocché il pupo non debba: aspettare, aspettare, aspettare, aspettare (il proprio turno).

Punto 3. (il punto 2 è alla fine e leggendo se ne capisce il perché)

(Si … son reduce dalla mattinata in piscina dove vedo il peggio della maternità…).
Madre e’ una buona cosa SE .. diventa sentimento collettivo e cura, se aiuta a pensare che il bambino e’ tuo, e  del tuo compagno/marito, e dei suoi fratelli o sorelle, e dei nonni e dei suoi amici, e della scuola, se ti decentra da te stessa e da lui, per guardarlo come parte del mondo, e se l’incontro con le altre donne non si fa in base ai figli avuti, ma ai figli pensati o alle maternita’ e alle cure che si offrono al mondo …

Se sei pronta a non prendere a borsate una altra donna che sta finendo di lavare suo figlio, nelle docce della piscina, ma riesci a sorriderle, o se le lasci il posto.

Se esser madre ti rende piu’ gentile verso il mondo e non piu’ egoista. Altrimenti hai solo replicato la specie, senza dare un contributo minimo all’evoluzione qualitativa della specie, ma solo a quella quantitativa. Comunque anche questo e’ anche maternita’ ..

Non ci vuole grande scienza a concepire e generare, e tantomeno rinnovare il patto naturale con le caratteristiche speciespecifiche del genere umano: cura e attaccamento e allevamento di un cucciolo che resta a lungo infante, prima di saper sopravvivere in autonomia.

Abbiamo tutte, o quasi, attraversato la fase gloriosa della maternità, e del viversi come uniche ed illuminate, gioiose e pacifiche, beate dall’ossitocina e dalla gioia infinita di aver generato, e da un intero background culturale ci induce alla mistica della maternità. A distanza di tempo, sembra persin surreale, quel tempo.

Solo che fare i figli non è solo naturale, ma anche normale.

E dopo cinque anni dalla nascita della figlia n°2  si vive il risveglio dal bagno ormonale, e si guarda la maternità con disincanto.

Sono io? Sono io anche e non solo come madre, ma cittadina, donna, individuo, essere senziente, sociale, lavorativo, politico e culturale, progettuale di altri mille progetti, che comprendono e non solo l’essere genitore.

Vedi la maternità nascenti passare dallo stesso gioco (giogo) di viversi all’apoteosi di se stesse, salvo crollare per l’astinenza da sonno o altre bazzecole simili, baby blues, lavoro, vita di coppia, crisi economica, mutui etc etc…. Vedi che manca, come ti è mancato, il basso profilo e l’understatement. Come se essere incinte fosse un dato divino, e non capace di accomunarci ad ogni specie che si replica allo stesso modo, gravidanza, parto, accudimento della prole.

Punto 4.

C’è allora un valore aggiunto all’essere madri?

Si  … quello della protezione della specie, anche quella altrui. Anche nelle piccole cose.

Immaginando che i cuccioli siano un bene comune, e non che il proprio cucciolo meriti di più degli altri, in quanto figlio della nostra eccezionale gravidanza. Immaginando che la maternità serva esattamente a questo a fare crescere la nostra etica verso la specie intera, a trasmettere la nostra cultura dell’accudire e accogliere, insegnando ai (anche ai nostri) piccoli il nostro essere persone e il nostro sapere.

Diventa così piacevole essere madri un pò più punk, meno perfettine, un pò meno esclusive, meno mistiche, scelte per la santa chiamata e straordinarie, insomma madri qualunque. Umane. Smettendo di coltivare quell’eccezionalità che ci impedisce di essere come gli altri, e di stare lorovicini.

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Punto 2.

E questa è una altra visione dell’essere madri …..
(tratto e tradotto da “Chicken Soup for the Women”s Soul”) 
“Il tempo sta scadendo per la mia amica. Siamo sedute a pranzo quando casualmente mi dice che lei e suo marito stanno pensando di “cominciare una famiglia”. Quello che intende è che il suo orologio biologico ha cominciato il conto alla rovescia e la sta costringendo a considerare la prospettiva della maternità. “Stiamo facendo un sondaggio” dice, quasi scherzando. “Pensi che dovrei avere un bambino?” “Ti cambierà la vita” dico con attenzione, mantenendo un tono neutrale. “Lo so” dice. “Niente più dormite fino a tardi il sabato, niente più vacanze improvvisate…” Ma questo non è proprio ciò che intendo.Guardo la mia amica, cercando di decidere cosa dirle. Voglio farle sapere ciò che non imparerà mai ai corsi preparto. Voglio dirle che le ferite fisiche di una gravidanza guariscono, ma che diventare madre la lascerà con una ferita emotiva così profonda che la renderà per sempre vulnerabile. Considero l’idea di avvertirla che non leggerà mai più un giornale senza chiedersi “E se si fosse trattato di mio figlio?”. 
Che ogni disastro aereo, ogni incendio la tormenterà. Che quando vedrà le foto di bambini ridotti alla fame, si chiederà se possa esistere cosa peggiore del veder morire il proprio figlio. Osservo le sue unghie laccate con cura e il suo completo alla moda e penso che non importa quanto possa essere sofisticata, diventare madre la ridurrà allo stato primitivo di un’orsa che protegge il suo cucciolo. Che all’urlo di “Mamma!” farà cadere il soufflè o il suo cristallo più bello senza un momento di esitazione. Sento che dovrei avvertirla che indipendentemente da quanti anni abbia investito nella sua carriera, verrà professionalmente dirottata dalla maternità. Potrebbe lasciare suo figlio alle cure di qualcuno, ma un giorno andrà ad un’importante riunione di affari e penserà al dolce odore del suo bambino. Dovrà usare ogni grammo di disciplina per trattenersi dal correre a casa solo per assicurarsi che suo figlio stia bene. Vorrei che sapesse che le decisioni quotidiane non saranno più semplice routine. Che il desiderio di un bambino di cinque anni di andare nel bagno degli uomini del McDonald’s piuttosto che in quello delle donne si trasformerà in un gran dilemma. Che proprio là, nel mezzo del rumore di vassoi accatastati e delle urla dei bambini, le questioni di indipendenza e di identità di genere verranno valutate contro la prospettiva che un pedofilo possa nascondersi in bagno. Per quanto sicura di sè possa essere in ufficio, come madre tirerà sempre a indovinare. Nel vedere la mia amica così attraente, vorrei assicurarle che alla fine butterà giù i chili della gravidanza, ma che non si sentirà mai più la stessa. Che la sua vita, ora così importante, avrà minore valore ai suoi occhi quando avrà un figlio.Che la darebbe in un istante per salvare la sua prole, ma che comincerà anche a sperare di poter vivere più anni, non per realizzare i propri sogni, ma per vedere suo figlio realizzare i suoi. Desidero farle sapere che la cicatrice di un cesareo o una smagliatura lucida diventeranno distintivi d’onore. La relazione con suo marito cambierà, ma non come pensa. Vorrei che potesse capire quanto di più si possa amare un uomo che cosparge di talco un bambino con tanta cura o che non esita mai a giocare con suo figlio o sua figlia. Vorrei che sapesse che si innamorerà di nuovo di suo marito per motivi che ora troverebbe tutt’altro che romantici. Vorrei che la mia amica potesse percepire il legame che sentirà con tutte le donne che attraverso la storia hanno tentato disperatamente di metter fine alla guerra, ai pregiudizi e alla guida in stato di ebrezza. Spero che capirà come io possa pensare razionalmente alla maggior parte delle cose, ma possa perdere temporaneamente la ragione quando discuto della minaccia della guerra nucleare nel futuro dei miei figli. Vorrei descriverle l’euforia nel vedere tuo figlio imparare a colpire una palla da baseball. Vorrei immortalare per lei la grassa risata di un bambino che tocca per la prima volta il soffice pelo di un cane. Voglio che provi la felicità così reale che fa male. Lo sguardo interrogativo della mia amica mi fa realizzare che mi sono venute le lacrime agli occhi. “Non te ne pentirai mai”, dico alla fine. Poi allungo la mano sul tavolo verso la sua, gliela stringo e prego per lei e per me e per tutte le altri semplici donne mortali che nel loro cammino inciampano nella più santa delle chiamate.”

La santità invece tiene lontani …..


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#donnexdonne scrivono al direttore di Vanity Fair

Il dibattito nel gruppo Facebook è davvero intenso e fertile, i link permettono discussioni, che diventano idee e azioni. Magari sono davvero piccole cose ma, come mi ha suggerito F., “a volte il problema sono proprio le sfumature. Così il post del direttore di Vanity Fair su “Donne che odiano le mamme” ci ha ingaggiato e fatta venire voglia di dire qualcosa, che riassume la voce di molte, ed è parte di una riflessione importante.

Eccola qui.

Gentile direttore,

questa lettera arriva dalla lettura del suo post sul blog, relativa al tema “donne contro donne”.

Sul nostro gruppo Facebook, che al contrario si chiama Donne PER Donne (di cui il link in calce), e  il suo post  ci ha offerto molti spunti di discussione, che vorremmo condividere con lei, e i suoi lettori/lettrici.

Mettiamola così, noi donne non abbiamo un problema. Il problema lo abbiamo tutte e tutti, uomini e donne.

Il risentimento delle donne contro le donne potrebbe avere svariati perché, sui quali spendere qualche articolo davvero interessante:

quando le donne fanno la guerra tra loro, e quando no? In che contesti, situazioni, momenti storici, politici o culturali?

Insomma sarebbe molto più stimolante provare a smontare questo luogo comune, fino ad intravverderne il senso.

Poi lasciare, come sempre, che chi ama la vis polemica per sentirsi viva/o continui liberamente la sua strada.

Restiamo convinte che, tra donne, troveremmo meno inimicizie del previsto.

Certo nessuno si immagina un Eden al femminile, ma pare plausibile che una atmosfera lavorativa piacevole, eppure capace di dialettica resti un punto a favore dei luoghi di lavoro, e del lavoro stesso.

Detto ciò le inoltro, dal nostro spazio di riflessione collettiva, un pò di pensieri sparsi, nati dalla lettura della sua mail, frutto discussione animata, ricca e variegata.

(Il gruppo è nato proprio dalla voglia iniziale di ragionare sullo stereotipo delle donne nemiche delle donne, e poi dalla voglia di cercare tutte quelle prassi che dimostrino la possibilità di allearsi e innovare: cultura, lavoro, ricerca, famiglia …)

Alcuni partecipanti hanno trovato limitante il parlare solo di maternita’:

 1 – “tutto giusto, ma vi rendete conto che stiamo ancora parlando di maternità? Invece dovremmo ormai discutere di genitorialità e di supporto alle famiglie. Perché i figli non nascono per gemmazione dalla madre, ma sono anche di un padre, maschio, lavoratore.”

2 – “secondo me in Italia manca totalmente la cultura della genitorialità  … Non c’è cultura della genitorialità sul posto di lavoro, vacanza, vita quotidiana, conciliazione e nemmeno in società: i figli sono percepiti come qualcosa di esterno alla realtà degli adulti, un ostacolo per la carriera, qualcosa di cui non ci si deve lamentare. Hai voluto la bicicletta? Ora pedala. Solo che troppo spesso si dimentica che i figli non sono biciclette ma esseri umani, gli adulti e genitori di domani. La nostra società sta avvizzendo sotto il peso della mancanza di questa cultura, secondo me”

Altri hanno puntato il riflettore sulle pratiche e prassi del mondo del lavoro

3 –  “di una cosa sono comunque certa, in un posto di lavoro dove non viene adeguatamente perseguita la pronta sostituzione di una lavoratrice in gravidanza o un sostegno all’unità operativa dove accadono astensioni dal lavoro per malattia dei familiari (e non vorrei allargare il dibattito, anche malattia del lavoratore) si innescano con più facilità meccanismi ‘espulsivi’ della collega che viene percepita come un peso. questo però non toglie responsabilità a quelle persone che si comportano con ostilità più o meno diretta nei confronti delle colleghe ‘mammine’.”

4 –  “E’ evidente che in vanity Fair la cultura del lavoro è che la maternità è una fase di interruzione dal lavoro, che comporta inevitabili inconvenienti, ma se accolta con intelligenza garantisce alla redattrici di tornare al lavoro motivate. La mia domanda inevitabile è cosa garantisce, e permette per una azienda, e par chi lavora di vedere maternità e anche genitorialità come risorse in prospettiva e non solo come fonte di fastidio?”

Altri ancora hanno ritenuto tutto sommato obsoleta la visione conflittuale fra donne, e vorrebbero leggere di nuove prospettive …

5 – ” Continuare a calcare la mano su questa questione delle donne che non si amano e che si fanno guerra per ogni cosa mi sembra quasi strumentale. E’ la ripetizione di un messaggio che diventa sempre più reale perchè viene ripetuto n volte. Non ho neanche più tanta voglia di ripeterlo. Io non ci sto ad essere raffigurata così!”

6 – “non mi piace pensare a schieramenti “contro” (che poi sono alla base anche delle logiche del “donne contro donne,come nell’articolo madri contro non-madri) Sono d’accordo che si debba ripensare ad aspetti culturali legati alla maternità e alla paternità, ma partendo dalla costruzione di alleanze, dal partire dal vedere che una buona legge sulla maternità vada in primo luogo fatta applicare perchè permette qualcosa di importante per tutti (datori di lavoro compresi).”

Chiudiamo quindi con una domanda e una riflessione, che affidiamo a lei, alla sua redazione, alle lettrici …

Se nella sua (o in un’altra) azienda azienda/redazione la maternità/genitorialità diventa assunta come un diritto, un valore, un bene sociale collettivo di cui – tutti – beneficeremo in futuro … la domanda minima e indispensabile è:

come ci si è arrivati?

Si è trovato tutto già fatto, c’erano persone (uomini/donne)  già sensibilizzate, è il boss/il direttore/il capo (lei singolo direttore) che ha portato questa cultura e questo valore? E se lo ha fatto,  in che modo si è mosso per arrivarci?

Analizzare e identificare questi elementi  permetterebbe di non mitizzare e non cadere nel gioco del paternalismo (il direttore che è stato bravo), o dell’ammirazione incondizionata (spesso evidente nelle lettere delle lettrici). Aspetti forse marginali ma a volte il problema sono proprio le sfumature.

Forse risulta difficile credere che un cambiamento importante sia frutto solo del caso o della super-competenza di una sola persona, (sorry); spesso invece risulta frutto di un lungo lavoro di introduzione di buone pratiche (anche non sempre consapevoli).

Comunque se questo cambiamento fosse merito del suo approccio al lavoro, o frutto di uno stile singolare, di un processo di cambiamento o di una consapevolezza significativa, questo ci interessa davvero molto. E interesserebbe anche dal punto di vista culturale tutti, uomini e donne, perchè sarebbe davvero un approccio al lavoro inconsueto, in Italia e in questi giorni.

Diventa quindi molto importante  non solo che quest’atmosfera esiste, ma come si e’ determinata, (e quindi se l’effetto è replicabile).

Grazie

#donnexdonne sui socialnetwork alla ricerca di buone prassi al femminile

su Facebook http://it-it.facebook.com/groups/247304405285767?ap=1

su twitter con l’hashtag #donnexdonne

e il 21 luglio saremo in rete a parlarne

(info) http://www.facebook.com/groups/247304405285767?view=doc&id=247307698618771


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Per mamme 2.0: una tribù web e il corpo dilaniato

Partiamo dal link seguendolo potrete accedere ad un articolo e quindi alla intera ricerca sulle mamme 2.0. E comincio io condividendo parte del testo. Lascio a voi capire e  lasciarvi spazio per dire qualcosa in proposito …

a voi …..

 


 

Dice Etnografia Digitale

“Come si è visto attraverso le loro conversazioni attorno ai prodotti e ai Brand per l’infanzia la web tribe delle Mamme 2.0 da corpo ad un’intensa e peculiare attività di produzione culturale. Attraverso tale produzione culturale le Mamme 2.0 riescono ad ingaggiare, in maniera implicita, un’azione di resistenza simbolica nei confronti del contesto sociale che le circonda, e soprattutto verso gli stereotipi e le forme di dominio prodotte ed imposte dal suddetto contesto. Nello specifico possiamo affermare che la web tribe delle Mamme 2.0 pone in essere due strategie di resistenza culturale: una di chiusura e l’altra di apertura.

Da un lato la web tribe si chiude su se stessa, in maniera quasi settaria, dando vita, grazie a e tramite i forum online, ad una sorta di società segreta, dotata linguaggi e“codici iniziatici”propri, all’interno della quale le mamme/utenti si riappropriano del loro diritto di narrazione su se stesse e sulla maternità. Questa chiusura si attua sia nei confronti della “petulante società degli esperti” che della “sorda società dei mariti”; “società” che, parimenti, negano alla madre il diritto di parola: la prima sovrapponendo la propria parola a quella delle mamme, la seconda non facendosi carico di ascoltarla. In entrambi i casi, dunque, entrambe le “società” oppongono degli ostacoli alla piena espressione di sé della madre, ostacoli che le Mamme 2.0 riescono a valicare grazie alle loro arene simboliche di produzione e resistenza culturale.

Dall’altro lato, invece, la web tribe opera una strategia di apertura, per così dire, totale. Infatti decostruendo, “dilaniando” il corpo femminile nella sua totalità, la tribe priva il potere sociale del sostrato su cui esercitare il proprio potere manipolatorio. Le Mamme 2.0 cioè elidono, occultano il corpo femminile, ovvero la materia grezza su cui una società di esperti (che si declina principalmente al maschile) cerca di inscrivere dispoticamente le proprie narrazioni sulla maternità. Tramite questo processo di elisione ed occultamento la web tribe delle Mamme 2.0 riesce, de facto, a riappropriarsi del suo di dritto di narrazione su se stessa e sulla maternità. Infatti, in ultima analisi, possiamo constatare come, attraverso il suddetto processo di decostruzione del corpo femminile, ci ritroviamo in presenza di due tipi di corpo materno: un corpo“dato in pasto”alla società ed un corpo“dato in pasto”al gruppo tribale. Il“corpo sociale”è un corpo in decomposizione, morto, privo di quella vita che costituisce l’oggetto privilegiato dell’esercizio del potere. Il“corpo tribale”, invece, è un corpo riportato a vita nuova, ovvero ad una vita declinata secondo modalità di costruzione culturale sancite egualitariamente dalle sue legittime proprietarie: le mamme.

http://www.etnografiadigitale.it

CONCLUSIONI RIASSUNTIVE

In conclusione riassumiamo per punti tutte le considerazioni fatte fin’ora sulla web tribe delle Mamme 2.0, di cui compendiamo di seguito tutti i tratti identitari e i codici culturali distintivi:

Le Mamme 2.0 sono giovani mamme (tra i 14 e 33 anni) che hanno dimestichezza con le nuove tecnologie della comunicazione e che sanno integrarle efficacemente nella loro vita quotidiana.

Le Mamme 2.0 amano rappresentarsi come esperte e “scienziate” della maternità. Questo consente loro di ri-appropriarsi di quel diritto di parola in campo di maternità che la società tende a negare loro.

Grazie ai prodotti e ai Brand per l’infanzia le Mamme 2.0 danno voce a quello che abbiamo chiamato the dark side of motherhood: l’esperienza del dolore fisico e della solitudine morale che spesso caratterizza la pre-neo-maternità.

Grazie ai prodotti e ai Brand per l’infanzia le Mamme 2.0 danno voce a quello che abbiamo chiamato the bright side of motherhood: la gioia di consacrarsi alla maternità e al benessere dei propri figli che prende corpo in un desiderio di acquisto compulsivo di prodotti per l’infanzia.

Nelle loro narrazioni di sé le Mamme 2.0 costruiscono delle figure maritali particolarmente negative: i mariti sottomessi, i mariti disattenti e i mariti riottosi. Ponendosi come nemici esterni, queste figure svolgono la cruciale funzione antropologica di rafforzare i confini interni della web tribe delle Mamme 2.0.

Grazie alle arene simboliche di discussione che si creano attorno ai Brand e ai prodotti per l’infanzia le Mamme 2.0 riescono a smantellare gli stereotipi culturali tradizionali della mamma passiva e remissiva.

Le arene simboliche di discussione che le Mamme 2.0 costruiscono attorno ai prodotti e ai Brand per l’infanzia favoriscono il trascendimento delle contraddizioni contenute nello stereotipo post-moderno della “madre indipendente”. Infatti offrendo uno spazio libero ed immediatamente accessibile di riflessione su di sé, di confronto e di sostegno reciproco, le suddette arene permettono alle Mamme 2.0 di essere autocoscienti ed autonome senza per questo essere sole.

I processi di produzione culturale articolarti dalle Mamme 2.0 assumono delle forme di resistenza estrema che si esprimono in un’operazione di decostruzione del corpo femminile: rappresentando il loro corpo di madri come un corpo sfigurato che va in pezzi le Mamme 2.0, da un lato, “denunciano” la condizione di dolore e solitudine a cui la maternità le costringe e a cui l’ambiente sociale che le circonda sembra disinteressarsi; dall’altro sottraggono al potere degli esperti (che spesso parla al maschile) quel supporto di base (il corpo appunto) su cui esso tende ad inscrivere dispoticamente e fraudolentemente le proprie“verità”sulla maternità.”