PONTITIBETANI

Zone Temporaneamente Autonome


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Childfreezone or not childfreezone: questo è il problema?

Commento già postato su 42 (la variante italiana di Reddit). qui con qualche aggiunta.

http://www.repubblica.it/cronaca/2014/01/27/news/childfree_no_kids_luoghi_vietati_ai_bambini-77023074/ Ristoranti, hotel, voli aerei, stabilimenti balneari: la nuova tendenza è l’ambiente “childfree”. Nato in Usa ed esportato in Europa, il fenomeno ha contagiato anche i Paesi del nord, notoriamente molto attenti alle esigenze della famiglia. E in Italia sono sempre più numerosi i luoghi che sposano questa idea

Per ora le argomentazioni portate a favore di questa scelta, da parte di alcuni genitori con cui ho discusso su Facebook, sono:

  • evitare di dover cenare con i bambini maleducati, invadenti, troppo agitati e “ululanti”;
  • i bambini italiani sono più maleducati perché i genitori non li educano;
  • gli adulti hanno bisogno di spazi per adulti (magari raffinati, esclusivi, dove godere di cene squisite);
  • gli adulti italiani (?) non sono capaci, una volta diventati genitori, di uscire da una logica “bambinocentrica”, cui consegue la maleducazione già citata, e si collega ad un bisogno inespresso di uscite senza figli.I genitori non escono senza bebè, e quando lo fanno non sanno gestire l’uscita;
  • i bambini sono maleducati anche in treno (dove gli adulti devono lavorare in santa pace) o in aereo;
  • la maleducazione permea la vita di tutti, e l’insofferenza cresce, e la voglia di azzerare il disturbo.

Ergo un problema educativo, diciamo che lo sia, si risolve togliendo l’elemento di disturbo. In questo caso i bambini. Ovvero i bambini resteranno maleducati, ma lontano dalla “mia” cena raffinata, o romantica.

Eppure io continuo ad immaginare che la soluzione non sia mai nascondere il problema sotto il tappeto, ma affrontarlo differenziando e complessificando la questione.

Se penso ad un locale pubblico, immagino alla politica commerciale del noto magazzino di mobili svedese, capace di immaginare una esperienza per tutti, creando: spazi diversi, luoghi pensati ad hoc (per bambini e piccoli), una accurata definizione del tempo (i bambini possono stare senza gli adulti ma per un tempo limitato) e in una fascia di età ben definita con precisione “svizzera”, menù differenziati, adulti che possono procedere con gli acquisti o meglio la progettazione degli acquisti anche senza bebè, salvo poi ritrovarli. E stanchezza a parte l’esperienza si rivela meno pesante e stressante, grazie a questi accorgimenti. E’ possibile che una pratica commerciale generi comportamenti più educati? Forse si.

Anche i musei si stanno attrezzando per rendere le mostre accessibili per tutti, adulti, amanti dell’arte, persino disabili – vedi museisenzabarriere.org – e quindi anche ai bambini. Tralasciando i veri musei per bambini, posso citare la mostra Van Gogh Alive – alla fabbrica del Vapore a Milano, una esperienza a misura anche di bambino.

Insomma ancora una volta si immagina di rendere diversamente accessibile una esperienza, stratificandola, riconfigurandone spazi e tempi, semplificandone alcune parti, e complessificandone altre.

Ma perché deve essere etico escludere qualcuno?

E perché non si immagina che ci si possa invece, assumere la responsabilità di fare il ristoratore, ribadendo ai genitori che alcuni comportamenti non valgono, non funzionano, non facilitano il lavoro del personale, e quindi il lavoro complessivo e l’esito finale = godersi una buona cena.

Perché non creare zone familyfriendly, allestite con giochi e mobili, cibi, e orari adatti ai bambini, che facilitino le famiglie a stare, anziché escluderle?

Il cambiamento arriva proprio offrendo una qualità maggiore e complessificata, creata ad hoc, per facilitare la presenza di tutti in un certo luogo.

Questa è una riflessione che prende dentro, a volerlo fare, tutti i temi dell’inclusione, dell’educazione sociale, collettiva e condivisa.

Educazione al vivere civile che impone che vi sia una fatica collettiva, individuale, necessaria per assumersi tutte le responsabilità del caso.

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Sarà il lavoro che svolgo, ma un mondo pieno di luoghi esclusivi e non meticci, non mi convince.

E non solo per i bambini. I luoghi umani, per loro natura hanno il potenziale di assolvere a più funzioni, che sia lecito o meno, che sia estetico o meno.

Al lavoro nascono amori e tradimenti, il mondo è anche dei disabili, i vecchi frequentano luoghi da giovani; c’è un elenco infinito di cose che non dovrebbero ma … Ma ovviamente non si tratta di immaginare che non possano esserci luoghi esclusivi, e vincolati da impedimenti e regole rigidissime (la camera iperbolica, il laboratorio di virologia, una centrale nucleare), ma per il mille locali pubblici varrà sempre la pena di chiedersi cosa significhi vietare l’ingresso a qualcuno, in nome del fastidio di qualcun’altro.

Questa non sarà mai una domanda banale.

al solito

Stay human


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Reti e buchi neri (creative commons)

Alcune azioni sarebbero da stupidario se non fossero così irritanti. Almeno per me.

Parlo dell’inveterata abitudine di travestirsi con la pelle dell’orso e poi ringhiare.

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O ancor più, andando nel dettaglio, mi riferisco a quelli che si prendono il merito delle idee altrui, quando non le copiano spudoratamente ….
Nessun creative commons ci salva da questi buchi neri..

Diceva un mio vecchio docente che la creatività nasce guardando le opere altrui, la natura, il mondo, i dettagli.
E poi rinventandoli.
Bello e anche vero.

Quindi le idee nascono per contagio, per mescolanza, per sinergia.
Che male ci può essere ne prendere qui e rimescolare, rimettendo di la’?
Nessuno o molto, dipende.

Lasciamo perdere il dettaglio del possibile transito di soldi, aver una idea buona e venderla e’ redditizio, c’e’ chi non si fa scrupoli si usare le idee altrui, per guadagnare o cercare fama. C’e’ una inveterata pratica universitaria dei docenti che usano i tesisti per far fare ricerca e poi ci scrivono un testo proprio. Nulla di nuovo.
Un collega si prese il merito di una progettazione pluriennale, in una struttura residenziale per disabili, senza averla quasi nemmeno vista, tra lo sconforto di quanti ci avevamo messo corpo e pensieri.

Ma la rete, il web, in una delle sue possibili derive positive, ci insegna e rinnova il valore possibile dello scambio, del saggio uso dei link, della creazione degli degli snodi del sapere, e dei luoghi che generano conoscenza, e dell’incontro con persone o gruppi che la producono. Permette con facilità la pratica della citazione, dello scambio, e talvolta della ricerca possibile e congiunta, dell’ampliamento della rete di significati cui accedere.

E’ anche una questione di netiquette, che si deve presidiare, ricordandosi ogni volta di rendere “merito” a chi ci offre una conoscenza. Come quei libri generosi in bibliografie che ci aprono nuovi filoni di esplorazione, di sapere, di curiosità.
Ma anche di struttura penso alle mille app che permettono di condividere – in tempo reale – immagini sui luoghi da visitare, o dove sostare, sui musei, perfino sul tempo in un certo posto.

E’ recente e rinnovata la visione, triste, di persone che sui social giocano … all’indossatore della pelle dell’orso.

Non per ignoranza ma per un bisogno tracotante di uscire dalla massa.
Negando ogni doveroso credito del proprio sapere, ai libri letti, ai siti visitati, ai propri mentori, alle parole fatte, alle persone stimate.

Personalmente trovo e(ste)ticamente piacevole poter esprimere l’entusiasmo verso una persona che mi stimola la curiosità e il pensiero, così come verso le cose che amo e mi “insegnano”.
Mi permette di scambiare e “cedere” quello che so, di essere una parte vibrante della rete e non un buco nero che assorbe tutta la luce attorno a se.

La rete per fortuna aiuta anche a vedere questi tristi buchi neri e poterli evitare, e nella sua parte migliore permettendo trovare spazi creativi, costruttivi e perché no anche remunerativi.

La rete può essere qualità collettiva, e individuale insieme e luogo capace di insegnare il rispetto per la (possibilità di) ricerca o di buone idee & prassi e il rispetto per ciò che e’ “altro” da noi.

Ps. Come gia’ scritto errori e refusi verranno ricontrollati nel post vacanza, grazie ad una connessione piu’ decente.


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I figli di chi sono?

Ogni volta quando leggo le notizie sulle contese di figli tra un Tribunale dei Minorenni e i genitori, dopo un allontanamento, mi viene in mente il lavoro che ho fatto, la conoscenza dei servizi, le modalità operative, e se mi capita di commentare in qualche blog in genere lo faccio per dire che non ho mai assistito a lapalissiani errori nei casi di allontanamento o affidamento.
Ho in mente il lavoro difficile di chi deve capire se una famiglia è dannosa o peggio per un bimbo, e so che spesso gli interventi lungheggiano perchè è difficile decidere.

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