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La seconda volta

Come leggo da fillerouge http://fillerouge.blogspot.com/2010/06/pianti-di-notte.html (e scusate ma i link dall’iphone non li inserisce bene o meglio non riescoancira capire il trucco) guardare alle altrui mammitudini e’ sempre dannatamente difficile. C’è un fille rouge (bizzarro gioco di parole) che ci lega tutte e che ci estranea dalle altrui scelte.
Se avete presente le discussioni, a volte financo offensive,  tra tetta millenaria o biberon, tra lettini o lettoni … e via dicendo.
E’ difficile non giudicare e non fare una scelta di campo elettiva ed empatica al tempo stesso; si finisce per scegliere e sentire/empatizzare meglio con il bimbo (spesso) oppure con la mamma, mai con i due – insieme. Eppure questo e’ uno snodo: quel bimbo e quella mamma, che sono ed esistono, in quel momento storico di quella famiglia,in quel qui ed ora che cambia al secondo e al terzo figlio.

Per starci dentro occorre, come dicevano i nativi americani, avere camminato 7 lune nei mocassini di in altro…

Così mi ritrovo, nei miei viaggi tra i blog e i socialnetwork, a leggere posizioni estreme e dicotomiche – a volte –  o di scelte radicali ed esclusive che escludono altre possibilità oppure leggo il bisogno di sentire che il meglio avviene nelle proprie scelte..
Già …

Ma non che io ne sia fuori… Intendo dalla routine di giudizi e pregiudizi, pensieri pensati prima di conoscere e capire, utili certo alla precognizione del mondo, a pensarsi una mappa  … che andrà riscritta a seconda delle strade e delle incognite.

Eccomi. Una figlia e poi un altra.

Ma la seconda volta e’ diverso. E’ diverso con la seconda figlia, come ho già scritto più volte.
Un secondo figlio e’ una seconda vita, una seconda opportunità di capire di nuovo il proprio essere madri e genitori, insomma e’ rifare tutto come se fosse la Prima volta, con una consapevolezza in più.

Anche io ricordo che con la bimba grande, prima figlia = prima maternità = primo sapere … avevo più idee chiare su ciò che era giusto/sbagliato, su come dove quando volevo partorire (e per estensione come si doveva partorire) … ..allattare, nutrire, coccolare, far dormire, addormentare, fare visitare, fare educare mia figlia dagli altri….

E avevo in testa tutti i ” io non faro’ mai”: ora questo, ora quello.
Beate quelle mamme che non partono così con la lancia in resta nel sapere il giusto e lo sbagliato, proprio o altrui.

Ma la seconda figlia e’ stata quella che mi ha obbligato a fare il passo successivo.. Cioe’ un passo indietro!

Non solo dal punto di vista fisico mio e della gravidanza, tutto più medicalizzato della prima volta e della mia voglia, ma anche psicologicamente sono stata molto più fragile nel post partum e al tempo stesso più attiva, più forte e più debole al tempo stesso.

E la piccolina, al contrario della figlia grande che e’ sempre stata calma ubbidiente quieta tranquilla, e’ il suo esatto contrario vivacissima testarda curiosissima esplorativa …
Con lei quello che so o che credevo di sapere sui bimbi, non funziona allo stesso modo. Per fortuna, e con fatica ( com’è ovvio).

Eppure ciò che a volte emerge e prevale, quando attraverso il mondo della maternita’ e’ la scelta di campo verso MODELLO, un modello di mamma, fatte salvo alcune esperienze più luminose. Oppure c’è un mare vasto di narrazioni, che si intrecciano a patchwork, che sottendono, accomapagnano e rassicurano, pure restando teorie deboli. Mai “elevate” a saperi forti: psicologici, pediatrici, sociologici…

Le storie i saperi e le mamme e i modelli educativi, le teorie si disperdono e identificano i mille rivoli diversi… Anche nel mondo ‘magico’ = complesso, omnicomprensivo e molteplice della rete.

E’ vero quello che mi diceva e sottolineava la stessa fillerouge.. Quando parla del fatto che mancano i servizi di sostegno e di rete alla maternità; manca una nuova forma culturale e sociale di elaborazione sui nuovi nodi del essere e diventate madre. Basta leggere l’ultimo tema del mese di Genitori Crescono, http://genitoricrescono.com/tema-del-mese-nascite-non-nascite/ che parla del dolore di bimbi non nati (per itv, per aborti spontanei o per morte dopo la nascita), in cui spesso emerge la non capacita’ dei sanitari di parlare e elaborare anche questi lutti..

Per ora abbiamo le culture della maternità. Per fortuna cominciano ad avere voce grazie alla rete e alle mamme che sanno uscirne grazie a testi e libri, certo per ora si tratta di narrazioni, e non sono ancora saggi e/o studi. Ma e’ un inizio, questo  narrare storie per insegnare, per mostrare il mondo. E’ una vecchia pratica pedagogica.

Questo post e’ dedicato alla delicatezza di una blogger speciale, per ora la prima e unica che ho conosciuto extra rete: extrammamma. Appunto una che ha narrato …

http://www.extramamma.net/blog/2010/06/stasera.html


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imperativi e allergie …

premetto che l’idea del

Fa’ la cosa giusta!

mi piace davvero e spero di riuscire a farci un salto, quest’anno.

Ma proprio quel “fà”  appiccicato a “giusta” …  mi sta dando noia.

Lo sento troppo imperativo, troppo impegnativo quel:” tu fai”, ma chi io? ma non faccio abbastanza, non faccio “giusto” ?…

Perchè quest’anno (crisi economica docet) quel fare non è sempre così facile, e molto relativo a possibilità limitate e vincolate.

Vale a dire non ci si permette più l’intera spesa al supermercato del biologico, per esempio.

Ma poi ci si dice che quaggiù al paesello la (non) connessione tra mezzi pubblici trasforma pochi  km in una epopea da far west se non ci si muove in auto. Vi fugurate arrivare a Milano?

Così usi l’auto e non fai la cosa giusta.

Le verdure bio ce le dà la suocera. Faccio la cosa giusta.

Uso l’auto a gpl, mezzo punto scarso per il gpl e 10 punti meno per l’auto. Faccio una cosa quasi giusta.

Siamo vegetariani, 2 punti a favore. Faccio una cosa giusta.

Compero gli abiti ai centri commerciali (costano meno), 2 o tre punti meno. Non è la cosa giusta.

(non proseguo a fare lo scanning della mia vita ma si capisce subito che qui la coerenza assoluta fatica a uscirne sana).

Siamo un pò ciatroni, noi, non facciamo la cosa giusta!!

‘azz.

E’ una vita che tento di capire cosa sia questo aggettivo “giusto” che mi perseguita.

In ogni caso perchè non dire “facciamo la cosa giusta”, collettivizzando questo impegno, rendendolo un dovere collettivo, un imperativo collettivo.