PONTITIBETANI

Zone Temporaneamente Autonome


8 commenti

Furie o Erinni, Parche o Moire, Gorgoni, Ananke (Piccole premesse concettuali) Violenza sulle donne 2:5

Questa riflessione scaturisce dalla lettura di un post ospitato da Donne Pensanti, il progetto di Panzallaria e non solo, che prova ad aprire spazi di pensiero sulle donne pensanti e non solo donne, di cui vi consiglio di prendere visione se interessate/i.

L’aver letto e scritto sul tema della violenza e nello specifico della violenza domestica, mi aveva lasciate aperte alcune porte di riflessione che sono rimaste a giacere latenti, in qualche angolo della testa.

Finchè in qualche modo si sono riconcretizzate, trovando nuovi collegamenti che potevano permettermi di andare avanti. Ma poichè non vorrei che il tutto si trasformasse in un pensiero autonomo e solipsistico sto cercando di dare al post un maggiore respiro di tempo e concettualizzazione, e spero che arrivino osservazioni, scambi di link, confutazioni, aperture e spunti da renderlo in qualche modo più adulto e complesso, trasformato e fruibile.


1. Prima di arrivare al nucleo della questione violenza passo dal altre cose; la prima è nostro background collettivo di narrazioni sulle figure femminili …  cioè parlo delle storie e le fiabe che narriamo ai nostri bimbi, e che ci indicano i modelli collettivi dell’essere donne e uomini. Altrove si potrebbero definire gli archetipi. Il genere femminile è rappresentato da eroine spesso passive, o se sono attive lo sono essendo buonissime e aiutate sempre da oggetti magici che ne compensino la fragilità femminea.

Una digressione mammesca sulle eroine dei cartoni animati walt disney …
c’è voluta Mulan per disancorare finalmente una figura di donna coraggiosa, impetuosa,
testarda, che sfida le convenzioni sulle solite eroine, e sulle donne.
Finalmente quando uscì al cinema, pensai, che pure nei limiti disneyani
potevo mostrare alla figlia più grande una donna molto più simile a me
e alle mie coetanee, di quanto non fossero biancaneve o la bella addormentata nel bosco.

2. Le figure mitologiche/epiche che stanno alla base del nostro pensiero arrivano dalla nostra cultura romana e quindi di fatto dall’antica grecia; insomma il nostro bacino di figure femminili base arriva dal pantheon greco, e direttamente giù dall’olimpo.

Mi sembra che abbiamo trattenuto, di quel pantheon molteplice, fatto di innumerevoli figure femminili molto interessanti e significative, soprattutto quelle connotate dall’essere perdenti o vittime, anche quando sono carnefici. Una per tutte: la bellissima e spaventosa figura di Medea, carnefice dei propri figli, spesso citata per spiegare o giustificare, o accusare le “cattive madri” … o Circe la seduttrice sedotta ed abbandonata. O Cassandra veggente e sempre inascoltata.

Insomma ci siamo trovati a privilegiare solo alcuni modelli. O a riceverli acriticamente. Insomma donne che sono più vittime, fragili, oggetto di passioni, o violenze, poco padrone del proprio destino.

C’è un libro interessante di Jean Bolen Le dee dentro la donna che parla proprio di dee/figure femminili come suddivise in due grande categorie, quelle violate dagli uomini e quelle non violate. Insomma l’essere violate diventa una delle due grandi categorie possibili per il femminile, quelle che ci dividono in vittime o non vittime.

3. Mi sembra importante anche cominciare a capire se è possibile non esser vittime, prima ancora della sicurezza delle strade, dei decreti di urgenza, di provvedimenti che tutelino diritti, opportunità, ancora prima che “qualcuno” faccia “qualcosa” per difenderci. Iniziando da noi e dal significato dell’essere vittime e ancor prima indifese.

4. Donna indifesa o IN difesa? Siamo davvero indifese? Possiamo imparare a difenderci?  E, al di là di ogni corso che ci insegna difesa personale, possiamo cominciare a pensarci non come donne indifese ma che si vivono nella dimensione dell’essere in-difesa, cioè pronte alla difesa e pronte a non cedere al ruolo di vittime, con legittimità e dignità?

Non cedo che solo questo possa fermare la violenza di genere in se, e non nell’immediato.

Ma mi chiedo se questo sia uno dei primi di paradigmi da smontare quello di:

vivere non nella paura della violenza,

vivere senza credere di vivere nel mondo di cenerentola,

vivere consapevoli che esistono i rischi ed essere pronte alla autotutela senza aspettare che arrivi l’uomo azzurro sul cavallo bianco a svegliarci con un bacio da un incubo reale …


6 commenti

Furie o Erinni, Parche o Moire, Gorgoni, Ananke (INTRO) Violenza sulle donne 1:5

Introduzione - Primo post di cinque.
Inquadramento alle figure femminili mitologiche che rappresentano femminilità forte e non violata.
Un modo di trovare nuovi riferimenti culturali, narrativi, storici che permettano di vedere in sè stesse
la possibilità di essere IN difesa e non donne indifese. Così le parche, le furie e le figure mitologiche, 
citate nel primo dei 5 post, prendono la loro collocazione ... nell'essere spesso implacabili ed ineluttabili, 
e possono entrare nell'immaginario come riferimenti positivi).
Vai al secondo post 
Vai al terzo post
Vai al quarto post
Vai al quinto post
LE FURIE O ERINNI Le Erinni (in greco: Ερινύες) sono, nella mitologia greca, le personificazioni femminili della vendetta (Furie nella mitologia romana).

Secondo la leggenda esse nacquero dal sangue di Urano, fuoriuscito quando Crono lo evirò, mentre un’altra tradizione le dice figlie della Notte.

Erano tre sorelle demoniache abitatrici degli inferi: Aletto, Megera e Tisifone. Secondo la più accreditata interpretazione, esse rappresentavano il lancinante rimorso che scaturiva dai fatti di sangue più efferati.

Al fine di placarle, vennero chiamate anche Eumenidi (ossia, le “benevole”), si porgevano loro varie offerte e ad esse si sacrificavano le pecore nere. Le Erinni erano anche indicate con altri epiteti, come SemnaiPotnie (“venerabili”), Manie (“folli”) e Ablabie (“senza colpa”).

Venivano rappresentate come geni alati, i capelli formati da serpenti, recanti in mano torce o fruste.

Il loro compito era quello di vendicare i delitti, soprattutto quelli compiuti contro la propria famiglia, torturando l’assassino fino a farlo impazzire.

Esse sono chiamate anche Dire da Virgilio

Spesso presenti nella cultura classica – emblematico, in proposito, il ruolo che assumono nell’Orestea di Eschilo – ritornarono sovente, come riferimento colto, tanto nella cultura medievale – Dante le indica come le custodi della città infernale di Dite [2] – quanto in quella moderna e contemporanea, pur se, in quest’ultima, in modo abbastanza sporadico. Le si trovano anche nel romanzo “Le Benevole” di Jonathan Littell.

Nella Medea di Euripide il coro invoca il raggio divino affinché fermi, ad evitare l’incombente duplice infanticidio, la mano di Medea, posseduta dalla sanguinaria Erinni, che le infonde lo spirito di vendetta.

LE PARCHE O MOIRE

«Ma perché lei che dì e notte fila,
non gli aveva tratta ancora la canocchia,
che Cloto impone a ciascuno e compila…»

(Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27)

Le Parche (in latino Parcae), nella mitologia romana, sono il corrispettivo delle Moire greche.

In origine si trattava di una divinità singola, Parca, dea tutelare della nascita. Successivamente le furono aggiunte Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi di gravidanza.

Figlie di Zeus e Temi, la Giustizia. Esse stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.

In un secondo momento furono assimilate alle Moire (Cloto, Lachesi ed Atropo) e divennero le divinità che presiedono al destino dell’uomo. La prima filava il tessuto della vita, la seconda dispensava i destini, assegnandone uno ad ogni individuo stabilendone anche la durata, e la terza, l’inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dei potevano cambiarle.

Venivano chiamate anche Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato (dal latino Fatum ovvero “destino”).

Nel Foro, in loro onore, erano state realizzate tre statue, chiamate tria Fata (“i tre destini”).

MOIRE

« Notte poi partorì l’odioso Moros e Ker nera
e Thanatos (morte, generò il Sonno, generò la stirpe dei Sogni;
non giacendo con alcuno li generò la dea Notte oscura;
e le Esperidi che, al di là dell’inclito Oceano, dei pomi
aurei e belli hanno cura e degli alberi che il frutto ne portano;
e le Moire e le Kere generò spietate nel dar le pene:
Cloto e Lachesi e Atropo, che ai mortali
quando son nati danno da avere il bene e il male,
che di uomini e dei i delitti perseguono;
né mai le dee cessano dalla terribile ira
prima d’aver inflitto terribile pena, a chiunque abbia peccato.
»(Teogonia di Esiodo, vv. 211-222)

Le Moire è il nome dato alle figlie di Zeus e di Temi o secondo altri di Ananke[1]. Ad esse era connessa l’esecuzione del destino assegnato a ciascuna persona e quindi erano la personificazione del destino ineluttabile.

Erano tre: Cloto, che filava lo stame della vita; Lachesi, che lo svolgeva sul fuso e Atropo che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. La lunghezza dei fili prodotti può variare, esattamente come quella della vita degli uomini. A fili cortissimi corrisponderà una vita assai breve, come quella di un neonato, e viceversa. Si pensava ad esempio che Sofocle, uno dei più longevi autori greci (90 anni), avesse avuto in sorte un filo assai lungo.

Si tratta di tre donne dall’anziano aspetto che servono il regno dei morti, l’Ade.
Il sensibile distacco che si avverte da parte di queste figure e la loro totale indifferenza per la vita degli uomini accentuano e rappresentano perfettamente la mentalità fatalistica degli antichi greci.

Pindaro, in epoca più tarda, le indicò invece come le ancelle di Temi, al suo matrimonio con Zeus.

Esse agivano spesso contro la volontà di Zeus. Ma tutti gli dei erano tenuti all’obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l’ordine dell’universo, al quale anche gli dei erano soggetti.

Si dice anche che avessero un solo occhio grazie al quale potevano vedere nel futuro e che spartivano a turno tra loro.


LE GORGONI

Le Gorgoni sono figure della mitologia greca, erano figlie di Forco e di Ceto.

Erano tre sorelle, Steno, Euriale e Medusa. Di aspetto mostruoso, avevano ali d’oro, mani con artigli di bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei capelli e la loro bruttezza era tale da impietrire chiunque le guardasse. La gorgone per antonomasia era Medusa, la più famosa delle tre e loro regina, che, per volere di Persefone, era la custode degli Inferi.

A differenza delle sorelle era mortale. Il mito narra che Perseo, avendo ricevuto l’ordine di consegnare la testa di Medusa a Polidette, signore dell’isola di Serifo, si recò prima presso le Graie, sorelle delle Gorgoni, costringendole a indicargli la via per raggiungere le Ninfe. Da queste ricevette sandali alati, una bisaccia e un elmo che rendeva invisibili, doni ai quali si aggiunsero, uno specchio da parte di Atena e un falcetto da parte di Ermes.

Così armato, Perseo volò contro le Gorgoni e, mentre erano addormentate, guardandone l’immagine nello specchio divino di Atena per evitare di rimanere pietrificato, tagliò la testa a Medusa e la chiuse subito nella bisaccia delle Graie. Dal tronco decapitato di Medusa uscirono, insieme ai fiotti di sangue, il cavallo alato Pegaso e Crisaore, padre di Gerione.

Perseo donò la testa della gorgone alla dea Atena, la quale la fissò al centro del proprio scudo per terrorizzare i nemici.

ANANKE

Nella mitologia greca, Ananke (o Ananche) (greco Ἀνάγκη) era la personificazione del destino, della necessità inalterabile e del fato.

Ella era anche la madre di Adrastea e delle Moire[1]. Inizialmente era identificata con Adrastea stessa. Per Omero ed Esiodo appare come la forza che regola tutte le cose, dal moto degli astri ai fatti particolari dei singoli uomini.

Veniva adorata raramente ma aveva una certa importanza nei culti misterici come nell’ Orfismo.

Nella mitologia romana, venne chiamata Necessitas (“necessità”) ma rimase sempre un’allegoria poetica priva di un vero culto. Qualche volta è stata identificata con Dike, la giustizia e come opposto aveva Tyche, la fortuna. A Corinto condivideva un tempio con Bia la violenza.

I poeti sono concordi nel descriverla come un essere inflessibile e duro.

fonte WIKIPEDIA