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Calcare o granito (dell’arrampicare)

calcare o granito – postato originariamente su facebook in data 18/8/2015

Questo glielo devo, un grazie, dico; mi aveva detto tanto sei una psicomotricista.
Evidentemente ai non addetti ai lavori tanto basta, un titolo di studio, che rammenti vagamente la possibilità di muoversi.
Così mi ha portanto ad arrampicare, nei due anni seguenti; non è accaduto tanto spesso ma abbastanza da gustare il piacere e la paura che si presentava, ogni volta, davanti alla parete.
Per la cronaca, mi sono scoperta abbastanza pigra da preferire gli appigli del calcare (la roccia vicino al mare e al sole), a quelli metaforici del granito, per quanto (lo ammetto) siano questi ad essere rimasti nei miei pensieri; pochi centimetri di roccia, stupefacenti nella loro capacità di sostenermi in una dimensione infinitesimale e microscopica.

In realtà sarebbe al (mio) corpo che va tributato un altro grazie, alla possibilità di scoprirsi potenzialmente capace di gesti – per me sino ad allora – inimmaginabili; ben diversi da quelli esperiti in altri sport sperimentati (tutto sommato pochini, eh); capace di vivere fino in fondo il rapporto con la paura, e con quel coraggio che c’è nel coraggio, ben oltre la pigrizia.

Così, in questo che definire “annus horribilis” è ben poca cosa, alla mattina penso, quasi come in un esercizio di disciplina interiore, che quella cosa, quell’arrampicarsi, quello scoprire risorse insperate e mai utilizzate, fidandomi fin delle sensazioni più sottili, l’ho fatto.

Certo allora è stato un percorso fatto fidandomi di un “altro”, della sua abilità di “far sicurezza”, di gestire rinvii e corde, di spiegare, di fidarsi, di accompagnare, condividere, viaggiare insieme. E’ un bel debito da portarsi addosso, e forse un lascito da utilizzare.
Perché quella cosa incredibile, l’ho fatta io, non un’altra me, lo stesso corpo, le stesse emozioni, (solo un tot più giovane).
Ma è una buona base di partenza.

grazie Tze ovunque tu sia e cosa faccia, grazie di cuore

sull’insegnare ai figli l’esperienza o dell’incontrare la paura di arrampicare


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Bicicletta: variazioni in Corsica

In Corsica, in bici, mi ci ha portata il moroso del tempo, lo stesso che convinto dal lavoro che facevo, mi aveva portato ad arrampicare: “Tu sei una psicomotricista quindi puoi arrampicare”.

Assiomatico, no?

Forse no.

Ma aveva ragione lui, avevo arrampicato, la prima volta sul calcare ligure, vivendo una delle più straordinarie esperienze della vita.

Incollata come una statuina sul duomo di Milano, sulla parete, faccia a faccia con la (mia) paura vera e pulita.
Aver paura e aver coraggio è diventata quella sensazione lì, netta e precisissima, con quell’odore del corpo e la scoperta di chi sei o chi potresti essere.

Dopo il calcare ne era conseguita la vacanza in Corsica in bici, partendo senza preparazione alcuna, nemmeno fosse l’Olanda.

Che é notoriamente piatta.

La Corsica no, è tutta monti. Soprattutto se la prendi partendo da Bastia e la percorri verso “il dito” e poi oltre verso lìil cuore ombroso della Castagniccia.
10 giorni su ruote!  Abbronzatura da ciclista, gambe nere davanti e pallide dietro, i quadricipiti come Tyson.

Ma ce l’ho fatta. Probabilmente sempre per via della psicomotricità …

E anche qui, con il senno di poi, aveva ragione lui.

All’inizio ero furibonda.

Tutta quella fatica, per cosa? Per la sete, i muscoli sfiniti, la fame tra un paesino e l’altro.

Le scorte di cibo risicate, e il campeggiare sotto le stelle, l’assenza di docce e comfort.

Ah gia’ le stelle.
L’ultima notte con aghi di pino abbiamo fatto un enorme nido, morbido e odoroso di resina. E guardato la luna, sorgere dal crinale, assieme al cielo stellato.

Sotto i castagni ho letto Castaneda, senza sapere che anche il mio viaggio sarebbe stato di consapevolezza.

L’entrata nella castagniccia, un tuffo incredibile nel verde dei castagni, è stato preceduto dal viaggio in una terra desolata e fumigante dall’ incendio dei giorni precedenti.

Una notte stanchissimi abbiamo dormito sulla sabbia soffice e quella seguente sotto una croce, svegliati all’alba dal raglio degli asini e dai grugniti dei maiali selvatici. Roba da incubo!

Ho iniziato a parlare finalmente in francese, superando la timidezza, non appena siamo entrati a Corte, ovviamente nel posto meno indicato. Un vecchietto, mentre ci dissetavamo alla fontana, mi ha dolcementa redarguita. In francese no, non si parla! Si parla in italiano!!

Si dice buon giorno e non bonjour”!!

E poi siamo stati accolti come “fratelli” italiani.

Un tenerissimo vitellino, che volevo avvicinare, (un realta’ un torello) ha preso il mio zaino rosso per una muleta, e ovviamente ho sperimentato il piacere di una partenza a velocità imprevedibile ..
Cos’altro!? Almeno altri 19 post servirebbero raccontare per quella vacanza, meravigliosa, irritante e viva.

Attimo per attimo, sudore dopo sudore, muscolo dopo muscolo.

 

 

Grazie a chi, oggi, ha aggiunto sapore e nitidezza a questo ricordo.