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P come possibilità o come problema

Flame in rete.  Incendi e distinguo. Discussioni improbabili. Il giusto è quà e non di là, io sono buono e tu no.

Non dissimilmente a quanto accade in politica, (anche se lì, ne son certa, c’è chi gioca ad un altro gioco … sporco) si finisce per dicotomizzare le posizioni.

Per quanto posso, mi voglio tenere lo sguardo del possibile, del complesso, dell’incasinato, del contraddittorio e del paradosso. Un pò taoista come posizione, nevvero?

Soprattutto nei luoghi del web 2.0, delle conversazioni e dei confronti, ci sta l’incontro, anche teso, per ridefinir ruoli e posizioni; ma senza dimenticare che nessuno inventa niente davvero. Impariamo, ridefiniamo, siamo dei formidabili elaboratori di saperi, li riadattiamo e contestualizziamo, forse è una abilità frattale umana (che bello! chissa se si può dire??), creiamo nessi e poi  nemmeno più ci ricordiamo da dove siamo partiti.

La rete è un emulatore del nostro cervello? Se lo è almeno in parte, significa mld di conessioni possibili, interpretazioni e nessi che nemmeno sappiamo da dove partano.

Una mia amica (la mia oracola) parlava di questa cose – rete intrenet etc- almeno 12 anni fa e si sentiva già un brontosauro! (vabbè l’abilità femminea alla non autostima è potente, per me resta l’oracola!!)

Insomma oggi non c’è nulla di quanto non abbia nessi con ciò che si faceva anni fa e se la rete è (o se fosse) una emulazione “nuronale” si capirebbe subito come diventi difficile dire chi ha iniziato …

Allora il problema, la questione sta dove indica A. Einstein: “La formulazione di un problema è spesso molto più importante della sua soluzione”, sta nella “necessità” di formulazione, e anche di complessificazione,  sta nel leggere e complessificare il problema e non nell’individuare soluzioni semplificate, che si traducono in tu sei cattivo io sono buono.

Sta nella possibilità di stare e contemplare la complessità, di coglierne i nessi, gli scarti e le possibilità e poi scegliere, sapendo che ogni scelta opera selezioni, e che ci farà perdere qualcosa a favore di qualcosa di altro…

 

 


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strani ospedali

Si vede che quest’anno, se lo guardiamo usando le stagioni e non il calendario ovverosia l’anno che comincia in autunno e finisce d’estate (2010), non è partito con i migliori presupposti …

Così mi trovavo in ospedale a trovare una persona vicina.

L’ospedale di una cittadina medio piccola assomiglia di più alla dependance di una RSA che non ad un ospedale, per via dei numerosissimi “grandi anziani” ricoverati, diciamo più del 60 % dei pazienti del reparto medicina.

I ritmi sono lenti, scivolati, le regole un pò lasse.

La vicina di letto, della persona che andavo a trovare, era una vecchina un pò persa in un mondo ovattato da una certa sordità e da un pensiero ormai insicuro e ripetitivo, continuava a dire e chiedere le stesse cose: dov’è mio figlio? vado a casa?

Ogni rassicurazione sembrava calmarla e poi di nuovo la domanda si rinnovava ad ogni ingresso si trattasse di un visitatore, di un paziente, del personale sanitario.

Ma insomma  … la domanda non era importante e nemmeno la risposta,  … è stato sufficiente accarezzarle piano le dita della mano e stropicciarle delicatamente la testa arruffata per fare l’unica cosa sensata, farsi sentire e sentirla, aver un contatto, un sorriso, un piccolo scambio. Non grandi cose ma sufficienti, ci sei, ci sono, non sei sola e non sono sola. Per un attimo, per un incontro breve.

Dopo qualche gg la signora è morta.

Ma in ospedale non c’è una stanza pensata per ospitare la morte ed il lutto di eventuali parenti; hanno sgomberato la sala tv e hanno deposto lì la signora.

E’ strano che non sia stata pensata una stanza così, non ci sia un luogo pensato per accogliere gli ultimi momenti e i primi saluti prima che arrivino i tecnici del funerale …

Come se la morte non avesse posto in ospedale, come se fosse una sorpresa, in evento imprevedibile ed eccezionale, sorprendente.