Stamattina, dopo una settimana di malattia, la minina è tornata alla scuola dell’infanzia. Cioè noi ce la abbiamo riaccompagnata.
Ha protestato il giusto al momento della sveglia, della colazione, della svestizione dal pigiamino.
Poi arrivata lì è andata volentieri nelle braccia della maestra M., mentre il compagno A. cercava di regalarle una micro racchetta da tennis, rosa.
Però oggi mi sono sentita una mamma-mamma, alla faccia della razionalità che mi consiglia quanto sia “sano” per E. andare a giocare tra i bimbi, per quelle 4 ore al giorno, mangiare con i coetanei, cantare e saltare … (l’attività didattica della sezione “primavera” è ancora piuttosto soft).
E “so” quanto questo le offra qualcosa in più dello stare in casa con me, alle prese con il lavoro su pc, o con le nonne. Anche perché lei comunque fa questa esperienza con mamme e vari nonni in altri giorni e altri momenti della giornata.
Eppure, eppure, eppure come faccio, io pure assidua assertrice del valore dei nidi (anche se in dosi omeopatiche) e della scuola materna, a sentire stonare qualche nota …?
Oggi sentivo come pesante la nostra vita istituzionalizzata, si va a scuola dai due anni ai 25 circa, con casi di persone che studiano ancora a 44 anni (io e un paio di amiche) e anche oltre.
Oggi avrei voluto per E. una vita più antica fatta di prati e cortile, di amici e ore annoiate, di corse e campi, di mille età mescolate con allegria e dispetti, fastidi, liti e amicizie …
Oggi forse è un problema solo mio. Ed è un problema non risolvibile. Non ci sono alternative, questo è lo spazio che le spetta. Starà poi a lei e a noi, riempirlo più creativamente ….