C’era una volta …
credo che una svolta importante nella mia vita sia stata il passaggio dalla psicologia alla pedagogia. Inteso come paradigma formativo che riverbera nella propria esistenza.
Un re-incontro quasi fortuito, visto che in effetti di 4 anni di università dediti – o quasi – allo studio della pedagogia e degli esami (circa metà) … non era rimasto nulla. Abbandonata la facoltà e pure ciò che aveva riempito 4 anni di vita: studio ed esami volatilizzati.. o quasi. Rimaneva il ricordo di qualche originalità professorale e la sensazione che la pedagogia e l’educazione nulla avessero a che fare con me, tanto meno lo studio e la riflessione teorica.
E vabbè ci si sbaglia a 24 anni.
In cambio ho approfittato del tempo per poi buttarmi e per anni nella lettura di testi e mattoni (in ogni senso) della psicologia, seguendo il mio istinto bibliofilo a spasso tra feltrinelli ed hoepli (intese come librerie a milano) e facendo crescere la mia biblioteca.
Mentre nel frattempo il lavoro mi spingeva costantemente verso l’educazione!
Così interpretavo la mia vita e la mia storia in termini psicologici, leggendo le incrinature inevitabili che accadono ed erano accadute, come frutto di aspetti psicologici e (come è quasi inevitabile) anche patologici.
Al solito era la mia famiglia a (dover) farsi carico della responsabilità delle mie sofferenze, del carattere e della fatica del crescere e diventare adulta. O almeno così ritenevo di dover leggere la mia vita e le sue pieghe.
Infine l’incontro (recente) con una riflessione pedagogica, visto che per scelta, necessità o passione m’è toccato in sorte di cercare la formazione permanente (e cioè continuare a leggere e studiare, ma anche teorizzare, cercare, astrarre, ricercare, argomentare, confutare, discutere, progettare etc ), scelta che ha rimescolato le idee e le carte in tavola, e in fondo anche il peso delle responsabilità reciproche.
E’ stata la parola chiave che mi ha permesso di disancorare idee muffe e stantie, e abbandonare lo stagno psicologico in cui mi ero impelagata.
Crescere è la storia dei segni che, chi mi è stato attorno, ha impresso nella mia storia, segni lasciati volendo o meno, a volte colti e raccolti, a volte abbandonati lì.
A volte sono stati segni frutto di forte intenzione che ho ignorato e rigettato e poi – o magari – recuperato, segni fatti diversi e nuovi, in età matura.
“Cose” (concetti, idee, indicazioni, regole) che qualcuno aveva voluto insegnarmi ed ho imparato, o non imparato, mio malgrado e/o suo malgrado; o che ho imparato e tradotto divresamente, facendole innegabilmente mie e completamente diverse da ciò che mi era stato detto o dato; usandole per crescere e vivere.
Ho imparato anche ciò che nessuno pensava avrei imparato, o che non avrebbe voluto insegnarmi, o che non sapeva avrei imparato.
Il risultato è stato liberatorio, di molte energie mentali, e mi sono trovata ad avere in sorte i segni lasciati, che non potevo più chiamare traumi o ferite, ma materia – impressa da altri – che potevo usare, trasformare, conoscere, plasmare, comunicare senza esserne vittima. Molti ricordi si sono riattivati piacevolmente ricordandomi la possibilità e la potenzialità contenuta dall’imparare, insegnare, imparare ad imparare, imparare ad insegnare, insegnare ad imparare e via discorrendo.
Dei segni ringrazio maria grazia franco claudia claudio luciana lucrezia mario anna dario lalla margherita franco eliana natalia e gli eterni amici di famiglia, e pure un paio di professoresse alle medie, e una certa infermiera che ha imbrogliato i mie 4 anni, la presidente della commissione della maturità 1982 (e l’italia vincente dei mondiali), una prof di lettere e una di filosofia, alcuni colleghi, un paio di psicologi che hanno attraversato la mia strada.
e gli ultimi maestri che hanno intrecciato la loro storia con la mia: igor e rosa …