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Tra SNOQ e #donnexdonne

A Siena c’erano twittamiche vecchie e nuove conoscenze. L’evento l’ho seguito così, ritwittando come potevo, tra le incombenze del week end, tra una occhiata saltuaria alla Timeline e  le faccende della mia allegra famigliola in giardino.

Poi ieri in rete ho trovato qualche retropensiero interessante che provo, in breve ad intrecciare qui, con le mie sensazioni.

E link quindi :

Giovanna Cosenza

Francesca Sanzo

Ipazia(è)vviva

Voci diverse, è indubbio. Inoltre aspetto altre riflessioni che arriveranno da altre amiche, che troverete già forse oggi o nei prossimi giorni (gruppo facebook #donnexdonne) …

La mia sensazione, che corrisponde anche ad una restituzione che spesso mi arriva dalla compagine maschile persone stimate per intelligenza e capacità di analisi critica, è quella che spesso vede le donne a raccontarsi della rete che stanno facendo, ma non riuscire a delineare le prassi che emergono nel costruire rete. E invece è proprio questo lo snodo, raccontare come si progetta, cosa si progetta, quando lo si agisce, lo si verifica .. rende questo modo di fare le cose la possibilità di mostrarla, di proporla, e implementarla anche in altre realtà. Se è vero, e non ho dubbio, che le donne fanno (e non solo sanno fare) è ora che si cimentino anche nel mostrare e insegnare come si fa.

Per questo la rete è sostanziale, tanto per il potenziale di diffusione che rappresenta, quanto per essere un luogo di possibile co-progettazione, di condivisione di informazioni/saperi/progetti.

Ho saputo, via twitter, da due amici: “una direttrice di banca che ha raccontato che le agenzie dirette da donne siano statisticamente più attive/ricche”, e non appena riesco cerco di pubblicare i dati (che uno dei due forse riuscirà a estrapolare e fornire); questo è un modi di capire qual’è lo stile femminile che determina alcuni modi diversi di agire, e diversi esiti. Quali culture soggiaciono, nei luoghi, in cui le donne riescono a portare un diverso contributo al lavoro, alle politiche, alla cultura, agli stili familiari.

Mi sento di condividere una riflessione con Giovanna Cosenza, come nel post citato, “Che molti discorsi – troppi, per i miei gusti – contenessero tante dichiarazioni di principio, slogan, racconti personali e collettivi, ma tutto sommato poche proposte concrete, liste di cose da fare, obiettivi da raggiungere a breve, medio e lungo termine. Negli anni Settanta il movimento femminista italiano vinse – non da solo, assieme ai partiti e agli uomini – su obiettivi concreti come l’aborto e il divorzio. Poi svaporò. Per non fare la stessa fine ci vuole un’agenda di obiettivi precisi e concreti, subito.”

Quindi pensieri e prassi, e condivisione, sono il primo passo.

Aggiungo solo due/tre altre considerazioni, davvero a pelle, sul SNOQSiena mentre seguivo la giornata via twitter ho sentito fastidio quando sono apparse le solite voci della politica (pure apprezzando le singole voci di destra e di sinistra, e l’organizzazione che ha saputo contenere tutti gli interventi entro i 3 minuti; scelta che sento come molto democratica). Ma resta il (mio) bisogno che a raccontare siano ora altre voci, non le stesse, non le solite, che le voci siano più polifoniche; sarà che oramai la rete mi ha abituato/insegnato che il valore delle persone è molto più diffuso, e non sempre corrisponde con i centri di potere.

Infine resta, grazie anche agli articoli citati, la sensazione di una pluralità di voci, che sembra concentrarsi su un punto: occorre passare ad azioni plurali, piccole e grandi, condivise (se non nelle logiche nella capacità di accogliere in un comune orizzonte di senso), in rete e nella propria vita, in piccoli gesti, o nelle manifestazioni, nel lavoro. Qualcosa che non è sempre necessariamente figlio di una regia dall’alto, ma sembra comunque funzionare in modo coordinato, auto organizzato.

E questo “occorre” non indica più qualcosa che si farà, ma qualcosa che è già in azione.

Almeno questo è il mio pensiero.


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Nel mondo delle iene

Buongiorno nuovo anno …!!!

ma perchè al terzo giorno mi rovesci addosso un bel pò di porcate???

 

Così il secondo o terzo post dell’anno inizia con un giramento di scatole  di tipo lavorativo … di portata epica.

Non entro nel dettaglio.Ma lo tocco tangenzialmente.

Ho lavorato per un cospicuo numero di anni in una cooperativa sociale che opera nel terzo settore, in cui ho attrarversato un pò di ruoli, sia quelli di tipo strettamente educativo che quelli più tipici del “governo” di una struttura simile (lavoratore, socio, c.d.a., gestione risorse umane, etc), un paio di anni fa ne parlavo così,  e anche così.

Nelle vacanze di natale sono tornata a trovare i miei colleghi, soci storici, amministratori, coordinatori. Un nucleo antico di amici e sodali che sono sempre felice di ri-trovare. Persone “per bene” che rendono il lavoro cooperativo, l’impresa cooperativa, qualcosa di significativo e collettivo. Stop.

E ci sono altre cooperative così, quelle vere fatte da veri soci, veri bilanci sociali, vere scelte etiche, vere scelte di amministrazione … tutte costruite con il senso di un lavoro (che è) comune, fatto di scelte che vanno condivise e a volte co-costruite,  caratterizzato di una responsabilità individuale ma diffusa. (Magari è eccessiva l’enfasi sul termine vero, magari è pure ridondante ma intendo sottolineare la congruità tra la mission e la pulsione alla sua realizzazione).  E’ un modo di essere impresa.*

 

Poi ci sono le iene, cooperative nate per fruire di quelle che erano agevolazioni varie, e che di cooperativa e sociale mantengono solo un nome.

Per il resto sono come le imprese profit, con i classici megapresidenti, gli amministratori che (pur nel piccolo) si giovano di bonus faraonici, se rapportati agli stipendi previsti dal Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali. Cooperative in cui l’assemblea dei soci ha il medesimo valore del due di picche; e in cui esiste il triangolo verticistico ineludibile e inamovibile, come nelle PMI del padroncino. Realtà a volte prive di ogni dinamismo progettuale, democratico e condiviso, e caratterizzate dalla incapacità di interagire in modo comunicativo al proprio interno e al proprio esterno.

Insomma si tratta di “fuffa”, non in termini produttivi, aziendali o economici, ma in termini di mission. I soci (quindi in teoria i primi partecipanti/responsabili/costituenti dell’impresa cooperativa) hanno la stessa possibilità dialogica/contrattuale, con i vertici, del neo assunto alla fiat con Marchionne.

E in questo periodo di crisi economico la fuffa, le finte cooperative sociali ( … lo ascoltavo qualche giorno fa alla radio, lavoratori soci trattati come bestie) sembrano piu pervicacemente decise a escludere il proprio mandato iniziale, almeno quello connesso al nome di cooperativa e di sociale.

 

Non si tratta di stabilire se la cooperativa sociale sia migliore o peggiore di una impresa profit, ma capirne il significato, il contesto e ciò che si può fare in una cornice imprenditoriale dell’uno o dell’altro tipo. E penso quanta fatica costi essere cooperativa in quel modo, che impegno anche in termini  di pensiero costante, di tempo, di sforzo di chiarezza, di formazione, di comunicazione, perchè poi le persone e i soci, cresciuti diventano più attenti, accorti, richiedenti, più adulti, maturi … e aumentano la fatica. Ma solo così la qualità dell’impresa si “raffina” e diventa una dimensione di cultura diffusa, che si riflette nei servizi, nei rapporti con il territorio, nelle prassi educative con gli utenti dei servizi, nella competenza comunicativa; solo in questo modo emerge la qualità aggiunta che crea una impresa di questo genere. Peraltro un gemellaggio tra profit e no profit avrebbe un notevole valore aggiunto, in termini di scambio.

Una cooperativa sociale non può, per mandato, produrre una ricchezza economica e monetizzabile, può produrre invece una ricchezza culturale che emerge nella cura che offre nei suoi servizi e al proprio interno, insegnando che quel lavoro condiviso ha un valore aggiunto alto (che pure non può  e non è  – purtroppo – riconosciuto in termini economici).

Insegnando e imparando (mentre lo fa) un diverso concetto del lavoro, e di rispetto che è ad esso dovuto; rispetto reciproco da parte di chi lo organizza e lo attua concretamente.  del senso che ha il lavoro, e di come il “rispetto”, la correttezza, l’etica interna diventa uno stile di azione che inevitabilmente si concretizza nelle forme del lavoro esterno.

Ecco perchè le cooperative “fuffa” mi causano tanta insofferenza …

 

E io vorrei tanto che ci fosse un bollino che riconosce alle “vere” cooperative sociali il grande lavoro che fanno a partire da quel nome.

 

n.d.t.

* Capitava di sentirmi dire, quasi con sgomento “ma lavori in una cooperativa sociale???”, come se si trattasse di una scelta improponibile. La fama negativa di queste imprese è data non tanto dalla struttura ma dal fatto che alcune appiaono come un modo di sfruttare i lavoratori, oppure dal fatto che non pagano, oppure dal fatto che così “eludono le tasse”. Credo che la differenza si palesi nel mio discorso. E immagino che la cattiva fama arrivi da chi opera scorrettamente. Un pò come dire che tutti i liberi professionisti evadono le tasse, e così come immagino che non tutti lo facciano.


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donne sociali -donne e lavoro


vorrei iniziare una serie di post sul tema donne e ….

la voglia mi è venuta a furia di leggere sugli altri blog tutte le sfumature del mondo femminile.
ovvio che mi attraggono anche i blog al maschile, ma sono – per me – di più difficile esplorazione, stante la mia condizione di donna.
devo la voglia al blog di silvia (lo stuzzicamente – lo trovate nei link ai blog come “strumento flessibile per l’igiene mentale”) che trovo estremamente ricco di spunti, info e collegamenti.
ho letto molto anche sulla fatica delle donne a stare, inserirsi, fare carriera e venire remunerate in modo decoroso – nel mondo del lavoro … così ho ripensato al mio minuscolo pezzetto di mondo del lavoro in cui essere donna è un valore.
cooperativa sociale – settore no profit (quella dove lavoro da 12 anni)
da anni il consiglio di amministrazione è composto da donne (presidente e vice comprese)
su sette consiglieri la proporzione attuale è 1:6 – un uomo e sei donne. nella media la proporzione è stata 2 uomini:5 donne.
gli amministratori sono donne.
diciamo che i ruoli di vertice sono femminili.
una buona parte di lavoratori sono donne.
l’organizzazione è improntata per quanto possibile, ad una gestione democratica, partecipata e collettiva attenta a dare a tutti la possibilità di partecipare, di esprimere opinioni e criticità, attraverso i vari strumenti di governo che esistono nel mondo della cooperazione sociale.

è un mondo, al cui interno le criticità sono usate il più possibile come strumenti di crescita, in cui la competitività è spesso molto bassa a favore di una forte spinta a favore della cooperazione interna ed esterna.
c’è una grossa attenzione alla sostenibilità amministrativa e alla eticità economica.
i vantaggi di questo modello?
apparentemente i vantaggi coincidono con gli svantaggi, ma sono una caratteristica del mondo dei “servizi”,  stipendi irrisori rispetto alle competenze (ma è così da contratto), utili altrettanto irrisori che vengono reinvestiti nei servizi erogati ma questa è un’altra tipicità del mondo della vera cooperazione sociale.
insomma, diciamolo chiaramente, non ci sono fiumi di utili da dividere e se ci fossero non verrebbero suddivisi come in genere avviene nel mondo profit.
chi ha ruoli di responsabilità non percepisce per questo alcun benefit, ma nemmeno gode di particolari scatti di carriera.
la logica vuole che il bene comune e collettivo sia a favore di tutti e non dell’interesse di qualcuno.

il poco che so di alcune altre cooperative sociale, a conduzione più maschile, vede:
o un maggiore sviluppo nella gestione dell’organizzazione di tipo verticistico
oppure i vertici vengon retribuiti “meglio”. (sarei lieta anche di sapere info contrastanti)
ora veniamo alla mia domanda:
dipende dal fatto che le donne hanno di fondo una idea di economia sostenibile, in cui è meglio un pochino per tutti che una distribuzione disomogenea delle finanze?
i vertici guadagnano tanto, gli altri molto meno.
questo è peraltro è il modello che “funziona” in economia … su scala globale.

dipende dal fatto che una donna sa che tutti devono mangiare, e quindi genera forme di governo delle organizzazioni in cui viene evidenziata la sostenibilità economica? (per via di quella banale cosa che si chiamava economia domestica e che oggi le donne che governano – se possono – applicano nel mondo del lavoro)

questo significa che le donne quando governano (in questo caso una micro realtà) si pagano meno di quanto non farebbero gli uomini, anche se rivestono loro stesse ruoli di alto livello?

se la teoria fosse valida aprirebbe scenari davvero interessanti …