PONTITIBETANI

Zone Temporaneamente Autonome


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Sin tesi (siblings e altre cose)

Insomma un post senza troppo pensiero a margine, senza tesi di fondo.

Avendo un poco di tempo regalato da caso.
Un post alla vecchia maniera di Pontitibetani, in cui butto fuori gli stracci miei, che a volte fa bene.

Mi ha fatto bene per tre anni almeno.
Strappar fuori, in forma di parola, leggibile, qualche groviglio; sapendo che non sarebbe restato solo aggrovigliata dentro di me, ma sarebbe stata lasciato al pubblico sguardo.

Terapeutico, si dice.

Insomma qualcosa s’ha da fare: dopo quindici giorni di febbriciattole e emicranie furenti, di un corpo in conflitto con la testa, che quando quello dice molla, lei per opposizione tiene, e viceversa. Appunto, una lotta interiore. E la chiamano vacanza!

Allora scrivo. Non si sa mai.

Fratellanze e sorellanze
Avessi avuto un fratello.

A me manca. Figlia unica tutta la vita.
Uno di quelli che sta dalla tua parte a prescindere, e che promette cazzottoni a uomini importuni e inopportuni. Avrei avuto necessità minori di rendermi una donna adrenalinica.
Sarei stata più soft. Forse.

Vedo le mie figlie, due, con una madre e due padri. Sorelle a tutti gli effetti.
Oggi mi pare un vantaggio questo assetto sorellifero, diversi modelli educativi, impossibile esercitare le preferenze, piacciono ugualmente entrambe a signora mammà. Le differenze di base aiutano non poco a capire che hanno storie e basi diverse. i confronti sono inutili. Pertanto si va “d’affetto” e paritarie incavature dovute alle due creature dalla, di loro, madre.

Comunque le due si incastrano perfettamente nelle differenze. Uguali non so. Complementari e complici si.
Si amano.
Lo sento nella pazienza della grande mentre gioca con la piccola, lo sento dalle risate che sgorgano come da una fonte (risata argentina, si dice) dalla sua gola. La piccola ride così solo quando gioca con la grande, la emula, la imita, la segue e la adora, e ride tantissimo. La grande si dispone, a dispetto dell’età, a stare e giocare, deliziare e farsi deliziare.

Gli effetti involontari di aver fatto due figlie son questi.
E riempiono il cuore.

Dovrei scrivere un volumetto in cui sostenere questa tesi (alla fine la tesi esce, visto?): ai figli fa bene avere un solo genitore in comune, e questo fa bene anche alla maternità, presa a se stante.

Il resto dei casini (che non possono non mancare) spettano agli adulti, al senso del progetto familiare, alla sociologia delle famiglie a strati. Alle rivoluzioni del mondo liquido, e dell’individualismo globalizzato.
A loro piace esser sorelle, con un legame fatto solo per metà di sangue e per metà fatto di casualità, di scelta e di affetto.

Il che la dice lunga sulla menata dei legami di sangue, che si vede subito esser una gran fregnaccia, dacché la gente ci si innamora in assenza di legami sanguigni (che la genetica conferma la validità del procedimento di mescolanza).

Ma questa è un altra storia, giusto?
Fatto sta che questa sorellanza meticcia funziona, e son felice di averla regalata alle due figlie, per via di una sliding doors della mia vita.

Le risate di oggi, tutte quelle che ho ascoltato, mentre rimbalzavano tra stanza e stanza, rendono la vita un posto piu’ piacevole dove stare.

Nonostante le emicranie.
Nonostante le slinding doors, che spingono, in zone faticose o all’angolo.

Dietro un’altra porta ci stanno anche le mie risate, quelle che sconfiggono le emicranie.


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La visione dell’insieme Ovvero del Femminicidio

I numeri e dei dati contenuti dell’articolo della stampa che si intitola “Bimbi senza mamma e papà L’altra faccia dei femminicidi”, che immagino seriamente veritieri, sono preoccupanti.

Ma non è questo il solo nodo della questione.
E partendo dall’inizio mi pare che il nodo originario sia e resti il significato di un legame.

Non compreso, non insegnato, non pensato.

Un legame di coppia che diventa l’unico significato che si e’ capaci di comprendere:
Io e te.

Una sottile traccia che tiene insieme due persone, e che non e’ destinata a diventare parte di un sistema complessivo,  di una rete di significati, materiali, affettivi, parentali, economici.

legame chimico

Resta composto da un solo filo. Che si colloca in una scena in cui ci sono solo due parti: lui e lei; scena inizialmente molto romantica, e che diventa subito dopo desolata e desolante, se non si va a riempire di un gruppo sociale, il lavoro, e la famiglia nella sua struttura reticolare (perché negato e cancellato).

In quella scena, si vuole anche negare la presenza del tempo, e di una storicizzazione dei fatti, costituita di prima, durante e dopo.

Nemmeno i figli ci sono, e se ci sono evidentemente non sono pensati come parte della complessivita’, restano a malapena parte dello sfondo, ma inessenziali all’io/tu. Oppure valgono come accessori di conferma dell’orgoglio riproduttivo.

La parte principale resta sempre quella del legame iniziale uomo-donna, reso incapace di crescere, di essere davvero fertile, evolutivo.

Una volta la cultura di base insegnava/diceva lo “faccio per i figli”, creando azioni e progetti che traevano significati dalla necessita’ garantire un futuro possibile, reale, o sereno a questi figli.
Divenuti, ben presto, parte cospicua di una rete di affetti e significati, che venivano collocati in uno spazio affettivo in cui il legame tu ed io, era origine e genesi, senza pero’ pretendere l’eterno ruolo di protagonista assoluto.

Queste scene della violenza, degli omicidi, delle separazioni che diventano, prima di esser luoghi sanguinari, spazi di stragi emozionali, in cui si pretende di tenere sempre sulla scena solo quello unico, il primo e iniziale legame, io – tu / io = tu/ amo – non amo”.

Così se quel legame si interrompe tutto si frammenta, e ogni possibile mondo crolla, perché’ non si e’ data la possibilità di renderlo sistemico, interconnesso e “significativo”. Perché non si e’ costruita una grammatica e una sintassi relazionale che attutisse i colpi della vita.
E in cui,  un protagonista non (r)esiste la capacità di guardare la scena complessiva, la cosiddetta, figura sfondo, e quindi la rete di significati si sono costruiti o almeno avrebbero dovuto esserlo.

Se un amore non riesce ad accedere alla complessificazione della relazione,  al cambiamento, alla sua progressiva integrazione nella vita reale, ogni mutamento e’ facilmente fallimento totale, se si recide (o solo cambia configurazione nella rete) quel filo, nulla ha più senso, l’altro diventa inutile.

Concellabile con un “semplice” segno, l ‘omicidio.

Perché’ nemmeno i figli, la famiglia, il lavoro hanno un senso, sono presenze, legami che tengono. E sulla scena non riescono nemmeno ad esserci.

Se l’amore, se questa rappresentazione/interpretazione dell’amore è solo questo (un tu/io fusionale), è solo quel  primo di contesto/momento, allora abbiamo da rivedere questa visione, abbiamo da comprendere cosa sia, e insegnarla di nuovo, rispiegando/rispiegandoci la grammatica e la matematica dei sentimenti. Riflettendo sul un dato che amore, legame, relazione, non permettono rapporti di sottrazione, ma di somme e di moltiplicazioni. Talvolta son divisioni, ossia operazioni che generano un equilibrio progressivo che non è togliere ma aggiungere, ridefinire  in modo diversificato.

Femminicidio e’ uno dei prodotti di una società malata, afasica, che non è più in grado di insegnare significato dei legami reticolari e sistemici, e del loro appartenere e afferire a più livelli.
Il cui il momento di inizio (della coppia), e dell’innamoramento, e’ un istante, che cresce nella quotidianità e’ un piano complesso.

I bambini di cui all’articolo sono sinonimo di questa incapacità, non solo di chi uccide, ma di chi accompagna e ignora questa assenza sociale, queste famiglie che diventano buchi neri, che assorbono la luce e nulla mostrano di un fallimento inziale.

Quando io tu non e’ diventato noi, voi, loro, tu e lei, io e lui, io e loro e via di seguito. Quando la pretesa assoluta era io/te maschio/femmina, intessuta con uomini del tutto incapaci di resilienza, amore, capacita’ di cura e autoguarigione, affamati solo di possesso perché incapaci di costruire la propria e altrui vita.

Uomini che non hanno imparato, e a cui non e’ stato insegnato, e che nessuno ha mai guardato divenire adulti nella costruzione del buco nero, … uomini che non hanno mai imparato ad esser uomini e padri.

Di un fallimento così grande abbiamo il dovere sociale, educativo, politico, culturale e genitoriale di parlarne e spiegarlo e raccontarlo, e di significarlo con pratiche di costruzione di reti, di significati, di relazioni e di nessi; a noi stessi, ai vicini, ai figli, ai colleghi, nel lavoro .. E così’ via ..
Stay human

 altri link tematici:

http://27esimaora.corriere.it/articolo/uomini-violenti-incapaci-di-controllarsi-no-sono-lucidi-e-determinati-2/

http://27esimaora.corriere.it/articolo/noi-maschi-dovremmo-occuparci-di-piu-del-femmicidio/

TED Talks Jackson Katz: La violenza sulle donne — è una questione maschile