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Furie o Erinni, Parche o Moire, Gorgoni, Ananke (Piccole premesse concettuali) Violenza sulle donne 2:5

Questa riflessione scaturisce dalla lettura di un post ospitato da Donne Pensanti, il progetto di Panzallaria e non solo, che prova ad aprire spazi di pensiero sulle donne pensanti e non solo donne, di cui vi consiglio di prendere visione se interessate/i.

L’aver letto e scritto sul tema della violenza e nello specifico della violenza domestica, mi aveva lasciate aperte alcune porte di riflessione che sono rimaste a giacere latenti, in qualche angolo della testa.

Finchè in qualche modo si sono riconcretizzate, trovando nuovi collegamenti che potevano permettermi di andare avanti. Ma poichè non vorrei che il tutto si trasformasse in un pensiero autonomo e solipsistico sto cercando di dare al post un maggiore respiro di tempo e concettualizzazione, e spero che arrivino osservazioni, scambi di link, confutazioni, aperture e spunti da renderlo in qualche modo più adulto e complesso, trasformato e fruibile.


1. Prima di arrivare al nucleo della questione violenza passo dal altre cose; la prima è nostro background collettivo di narrazioni sulle figure femminili …  cioè parlo delle storie e le fiabe che narriamo ai nostri bimbi, e che ci indicano i modelli collettivi dell’essere donne e uomini. Altrove si potrebbero definire gli archetipi. Il genere femminile è rappresentato da eroine spesso passive, o se sono attive lo sono essendo buonissime e aiutate sempre da oggetti magici che ne compensino la fragilità femminea.

Una digressione mammesca sulle eroine dei cartoni animati walt disney …
c’è voluta Mulan per disancorare finalmente una figura di donna coraggiosa, impetuosa,
testarda, che sfida le convenzioni sulle solite eroine, e sulle donne.
Finalmente quando uscì al cinema, pensai, che pure nei limiti disneyani
potevo mostrare alla figlia più grande una donna molto più simile a me
e alle mie coetanee, di quanto non fossero biancaneve o la bella addormentata nel bosco.

2. Le figure mitologiche/epiche che stanno alla base del nostro pensiero arrivano dalla nostra cultura romana e quindi di fatto dall’antica grecia; insomma il nostro bacino di figure femminili base arriva dal pantheon greco, e direttamente giù dall’olimpo.

Mi sembra che abbiamo trattenuto, di quel pantheon molteplice, fatto di innumerevoli figure femminili molto interessanti e significative, soprattutto quelle connotate dall’essere perdenti o vittime, anche quando sono carnefici. Una per tutte: la bellissima e spaventosa figura di Medea, carnefice dei propri figli, spesso citata per spiegare o giustificare, o accusare le “cattive madri” … o Circe la seduttrice sedotta ed abbandonata. O Cassandra veggente e sempre inascoltata.

Insomma ci siamo trovati a privilegiare solo alcuni modelli. O a riceverli acriticamente. Insomma donne che sono più vittime, fragili, oggetto di passioni, o violenze, poco padrone del proprio destino.

C’è un libro interessante di Jean Bolen Le dee dentro la donna che parla proprio di dee/figure femminili come suddivise in due grande categorie, quelle violate dagli uomini e quelle non violate. Insomma l’essere violate diventa una delle due grandi categorie possibili per il femminile, quelle che ci dividono in vittime o non vittime.

3. Mi sembra importante anche cominciare a capire se è possibile non esser vittime, prima ancora della sicurezza delle strade, dei decreti di urgenza, di provvedimenti che tutelino diritti, opportunità, ancora prima che “qualcuno” faccia “qualcosa” per difenderci. Iniziando da noi e dal significato dell’essere vittime e ancor prima indifese.

4. Donna indifesa o IN difesa? Siamo davvero indifese? Possiamo imparare a difenderci?  E, al di là di ogni corso che ci insegna difesa personale, possiamo cominciare a pensarci non come donne indifese ma che si vivono nella dimensione dell’essere in-difesa, cioè pronte alla difesa e pronte a non cedere al ruolo di vittime, con legittimità e dignità?

Non cedo che solo questo possa fermare la violenza di genere in se, e non nell’immediato.

Ma mi chiedo se questo sia uno dei primi di paradigmi da smontare quello di:

vivere non nella paura della violenza,

vivere senza credere di vivere nel mondo di cenerentola,

vivere consapevoli che esistono i rischi ed essere pronte alla autotutela senza aspettare che arrivi l’uomo azzurro sul cavallo bianco a svegliarci con un bacio da un incubo reale …


3 commenti

ancora sulla solitudine delle madri …

lo so e in parte me ne scuso, il tema è decisamente ridondante, ma fare finta che quando un fatto di cronaca ha fatto notizia il problema si sia risolto è oggettivamente un atteggiamento idiota.

non possiamo continuare a vivere costantemente erotizzati dalla notizia esplosiva e sentire il problema nell’urgenza impellente e non procrastinabile dettata dai media, e poi lasciarlo sparire come bolla di sapone. pouf!

così ne parla L’orma e qui ripubblico il mio commento al suo post, non me ne voglia ma mi sembra importante amplificare la cassa di risonanza…..

concordo con tutte sulla faccenda della solitudine delle madri, che secondo me, riflette le molte responsabilità che in molti non si assumono. (anche se resta il fatto che non va dimenticato che attimi di follia materna esistono da sempre, a partire dal mito di medea). e forse non è solo la depressione post partum, non quando la madre uccide un bimbo che ha più di un anno. ci sono respinsabilità piccole e grandi, l’assenza di informazione vera e propria sulla reale fatica di crescer un figlio, le mamme che ci mostrano non sono mai stanche, mai arrabbiate, con case perfette e mariti amorevoli …
è la realtà questa? no, è ovvio.
i mariti /compagni possono essere disattenti, gelosi, egoisti (togli qualcosa a me per darlo al bimbo), immaturi e pretendere dalla moglie o compagna energie che lei ha già visto limare via dall’assenza di sonno. ed è disperante ricevere rimbrotti quando si vorrebbero sorrisi…. o dover litigare quando si avrebbe bisogno di attenzioni.
perchè i giornali femminili alla fine ci dicono che le donne tolgono attenzione agli uomini … poverini??
ma la cura di un figlio fa crescere una coppia se c’è davvero aiuto e sostegno … e la sessualità trova spazio comune se c’è incontro, sostegno, e magari quando si è dormito un pò.
Oppure si vuole la mamma perfetta e la moglie gheisha/puttana a letto, la casa pulita e il 2 stipendio in casa…
ma quando sembra che all’uomo non spetti che di pretedere la gheisha … qualcosa non gira… il lavoro poi, dove lo mettiamo: precario, insicuro, spesso malretribuito che non permette di pagare il nido, o la scelta di qualche anno di part time (che ti salva la vita davvero, se c’è più di un figlio).
altre forme di sostegno economico alla maternità ce ne sono poche, ancor meno di forme di altro sostegno.
una volta qualche struttura faceva corsi di accompagnamento durante il primo anno di vita del bimbo (colloqui con psicologi, incontri di automutuoaiuto, corsi di baby massage), ma oggi in assenza di soldi per tutti, credete che sia ancora una priorità … la prevenzione… ? in fine – vera propria ciliegina sulla torta – c’è una società sempre più disgregata, disomogenea, che accoglie sempre più con i distinguo, alla ricerca del vicino perfetto, dove alcuna differenza ci deve turbare (no al bimbo disabile, non al meridionale, non al bimbo povero, no al bimbo di separati, no al bimbo nero e via dicendo …) E’ facile essere madre a queste condizioni???

il privilegio di avere un blog, di essere donne che hanno superato il proprio digital divide, permette in parte di condividere la fatica, comunicarla, incontrarla nei post, nelle complicità con le altre donne, nel saper dei loro scleri e delle loro fatiche, le paure, dei giorni no e dei giorni si.
ma non basta.
ovviamente.
non basta in assoluto, perchè non toglie agli altri il dovere di assumersi le responsabilità che spettano loro, perchè non tutte le donne possono o vogliono avreea un blog, perchè ci si può confidare ma poi se lo stipendio non arriva .. il problema è tuo.
la blogosfera può attivare il confronto, una parte di sostegno, è certo.
ma poi occorre altro.

ma, per ora, assopiamo il tutto.
fino alla prossima madre che uccide, fino a che la cronaca nera che potrà finalmente ri-pascersene e bearsene.

(ragionamento che varrebbe anche per le morti sul lavoro, ad esempio. anche se lì qualcosa a livello legislativo s’era fatto qualcosa in più, vabbè lo si è anche smontato)


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la mancanza di miti …

medea:

 

“credo che sapessimo entrambi che ero in trappola.
anche lissa lo spaveva.
mi ha congedato stamattina presto con un viso bagnato di lacrime, irato, non era bene che salutassi i bambini.”

medea – c. wolf  – e/o ediz. –

ci mancano i miti che predicono il destino di alcune delle madri.
di quei miti, ne abbiamo perso le voci narranti, quel dire sottovoce l’indicibile delle madri folli, che inquietano e costruiscono paure. e pure il carattere universale, che ad ognuno raccontava una sfaccettatura e a tutti apparteneva …

ci restano le franzoni, nude nella loro povertà televisiva, che nulla insegna della follia.

non del timore di ognuno di avere in sè quella mostruosità tanto umana, tanto indicibile.

manca chi insegni e trasmetta, narrando, mostrando, sollevando appena il velo e aiutando ognuna, nella solitudine delle madri, a non aver timore del mostro, a blandirlo, scacciarlo, vederlo, evitarlo, ignorarlo, combatterlo, sfuggirlo, evitarlo, distruggerlo con una profonda ironia ….
anche in ciò la televisione è cattiva maestra. si finge un tribunale che giudica e non insegna, che oscenamente mostra ciò che non va mostrato e non narra ciò che deve esser narrato.

medea di euripide 
CORO:    M'addentrai fra sottili argomenti    
bene spesso, fra dispute gravi,    
piú di quanto convien che ne cerchi    
donnesca progenie.    
Ché abbiamo una Musa anche noi,    
che vive con noi, che c'ispira    saggezza. 
Non tutte; ma pure    
talune (forse una fra molte    
trovarne potresti)    
non sono di senno inesperte