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La mala educazione

E’ sabato, giorno universalmente riconosciuto per contenere il relax e le attività gratificanti. A volte familiari.
Pare.

La piscina, luogo ameno dove i migliori genitori amorosi portano i loro piccoli e teneri cuccioli, nel corso del week end, per esplorare il reciproco piacere dell’acqua.
Pare. Continua a leggere


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Mā sā’Allāh

Il peasello vicino al paesello.

La signora velata e con un lungo abito, la vediamo quando andiamo o torniamo dall’accompagnamento, della minina alla scuola dell’infanzia. Spesso sono (o siamo) ancora emotivamente coinvolti dagli strascichi del rito dei saluti alla piccola, facili o difficili, a seconda del giorno; insomma la mattina ci sono un pò  i nervi scoperti.

E poi noi, io e lui, con la disabilità ci abbiamo lavorato per anni (io ancora e da 20 anni oramai), per cui  la riconosciamo quasi a naso. E quella è tosta. Il bimbo avrà 6/8 anni ed è evidentemente gravemente compromesso (movimento e cognizione).

Ogni volta mi si ritorce lo stomaco, perché quella disabilità è più disabilizzata di altre. Mediamente qui tra i paeselli si segnala la penuria di servizi, strutture, contatti, formazione, culture, associazioni, reti informali e no. C’è una assistente sociale che serve una costellazione di paeselli, e per tempo o sfortuna dicono non sia nemmeno un  granchè …. E una madre musulmana in un vuoto di relazioni, oltre che di servizi, (faccio fatica io, migrante da milano, ad integrarmi) di amicizie, senza famiglia, senza rete sembra ancora più fragile davanti alla fatica di vivere, di suo figlio. Ogni giorno la sua passeggiata da casa a scuola, mi sembra un sasso che mi porto anche io, che ci portiamo noi tutti, nell’incapacità che mostriamo qui, in questo frammento di terra nel sostenerci con gentilezza e amicizia, con solidarietà e curiosità affettuosa. Dicono che al nord siamo chiusi, e poco amichevoli, ne ho la testimonianza quotidiana. Lei come fa?

Islam e disabilità .. materiale reperito

1. handicap nella cultura islamica

2. Islam e disabilità


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Elisabetta, Ada, e il tempo dello scrivere

Elisabetta Setnikar si descrive così:

“Un marito, tre figli adolescenti, due cani. Cosa può fare una cinquantenne casalinga milanese per sfuggire ai pomeriggi di tè con le amiche o alle partite di burraco, se non scrivere ? E così, da una frase a un pensiero, da una mail a un articolo, è arrivata a scrivere libri.”

(scrive anche su news.liberoreporter.ue)

Elisabetta, l’ho conosciuta di recente, quando con una collega abbiamo preparato una serata dedicata alle maternità. Volevamo soffermarci, in una serata, a raccontare e pensare a come l’essere madri non risponda ad una unica iconografia, una unica forma, come se la maternità non sia solo un fatto di pancia e di parto, ma una espressione di ciò che le donne sono e non sono, possono essere e non essere, in virtù di quella possibilità di essere madri, di essere educate a diventarlo, anche quando scelgono di non fare un figlio, o non possono, o lo adottano, o decidono che la maternità si esterna in un lavoro o nella cura di un giardino, o nella possibilità di scrivere libri, di fare crescere un progetto …

Ecco che in tale gamma di possibilità, Elisabetta, si è stagliata dallo sfondo come una donna imprevedibilmente tradizionale, “strana” per me, che, di donne che hanno fatto la scelta consapevole di essere casalinghe e madri, ne conosco ben poche. Almeno nella mia generazione, le mia amiche, siamo tutte donne che lavorano, e che hanno espresso o voluto esprimere se stesse nella dimensione professionale ….  Continua a leggere