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Comunicazione senza genere

Un quadro in cui la sfida della cultura della complessità ha giocato un ruolo naturalmete centrale, prima di tutto proponendosi come area di convergenza, più che interdisciplinare, transdisciplinare, di cooperazione si ma “de-generativa” nel senso di superamento tra i generi, e di creazione tra generi nuovi, tra scienziati dei territori più differenti: ingegneri, matematici, filosofi, antropologi, linguisti, informatici, biologi, economisti, sociologi, ecc.

Da La COMUNICAZIONE GENERATIVA di Luca Toschi –  Apogeo ed. – pg. 15

il Wordle di questo articolo

Sto leggendo questo libro: bella lettura,  piuttosto impegnativa.

Arrivata a questo brano mi è venuta in mente una delle riflessioni che avevo condiviso (chissà dove) in questi giorni in cui abbiamo scritto tanto di e per #donnexdonne.

Il pensiero, se riesco a dargli una soddisfacemente forma chiara, è questo:

l’uso dei nuovi media, della comunicazione testuale, sta permettendo una nuova forma di conoscenza/consapevolezza del “femminile”.

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Corpi, arene simboliche e mamme (ancora 2.0) – adesso decostruiamo noi –

Cito la ricerca ANTROPOLOGIA E WEB MARKETING LE RAPPRESENTAZIONI CULTURALI DELLE MAMME 2.0 : CONSUMO, IDENTITÀ E RESISTENZA

“Le arene simboliche di discussione che le Mamme 2.0 costruiscono attorno ai prodotti e ai Brand per l’infanzia favoriscono il trascendimento delle contraddizioni contenute nello stereotipo post-moderno della “madre indipendente”. Infatti offrendo uno spazio libero ed immediatamente accessibile di riflessione su di sé, di confronto e di sostegno reciproco, le suddette arene permettono alle Mamme 2.0 di essere autocoscienti ed autonome senza per questo essere sole.

I processi di produzione culturale articolarti dalle Mamme 2.0 assumono delle forme di resistenza estrema che si esprimono in un’operazione di decostruzione del corpo femminile: rappresentando il loro corpo di madri come un corpo sfigurato che va in pezzi le Mamme 2.0, da un lato, “denunciano” la condizione di dolore e solitudine a cui la maternità le costringe e a cui l’ambiente sociale che le circonda sembra disinteressarsi; dall’altro sottraggono al potere degli esperti (che spesso parla al maschile) quel supporto di base (il corpo appunto) su cui esso tende ad inscrivere dispoticamente e fraudolentemente le proprie“verità”sulla maternità.”

Nello specifico possiamo affermare che la web tribe delle Mamme 2.0 pone in essere due strategie di resistenza culturale: una di chiusura e l’altra di apertura.

Da un lato la web tribe si chiude su se stessa, in maniera quasi settaria, dando vita, grazie a e tramite i forum online, ad una sorta di società segreta, dotata linguaggi e“codici iniziatici”propri, all’interno della quale le mamme/utenti si riappropriano del loro diritto di narrazione su se stesse e sulla maternità. Questa chiusura si attua sia nei confronti della “petulante società degli esperti” che della “sorda società dei mariti”; “società” che, parimenti, negano alla madre il diritto di parola: la prima sovrapponendo la propria parola a quella delle mamme, la seconda non facendosi carico di ascoltarla. In entrambi i casi, dunque, entrambe le “società” oppongono degli ostacoli alla piena espressione di sé della madre, ostacoli che le Mamme 2.0 riescono a valicare grazie alle loro arene simboliche di produzione e resistenza culturale.

Dall’altro lato, invece, la web tribe opera una strategia di apertura, per così dire, totale. Infatti decostruendo, “dilaniando” il corpo femminile nella sua totalità, la tribe priva il potere sociale del sostrato su cui esercitare il proprio potere manipolatorio. Le Mamme 2.0 cioè elidono, occultano il corpo femminile, ovvero la materia grezza su cui una società di esperti (che si declina principalmente al maschile) cerca di inscrivere dispoticamente le proprie narrazioni sulla maternità. Tramite questo processo di elisione ed occultamento la web tribe delle Mamme 2.0 riesce, de facto, a riappropriarsi del suo di dritto di narrazione su se stessa e sulla maternità. Infatti, in ultima analisi, possiamo constatare come, attraverso il suddetto processo di decostruzione del corpo femminile, ci ritroviamo in presenza di due tipi di corpo materno: un corpo“dato in pasto”alla società ed un corpo“dato in pasto”al gruppo tribale. Il“corpo sociale”è un corpo in decomposizione, morto, privo di quella vita che costituisce l’oggetto privilegiato dell’esercizio del potere. Il“corpo tribale”, invece, è un corpo riportato a vita nuova, ovvero ad una vita declinata secondo modalità di costruzione culturale sancite egualitariamente dalle sue legittime proprietarie: le mamme.

(i sottolineati sono miei)

 

La prima questione che vorrei mettere in luce è la tesi che vuole siano i prodotti e i Brand per l’infanzia che  …. aprono  lo spazio di riflessione materno … Certo, si,  ma anche no.

La ricerca non dice solo cavolate; è evidente che esistono luoghi dove accade che il prodotto e il brand  siano il fulcro del discorso, e da cui possono  fortuitamente o coartatamente diramano riflessioni sul “materno” ma sono parte dei luoghi possibili, rappresentano una tra le varie possibilità. Non fatico ad immaginare luoghi dove si resti fermi al brand/prodotto, senza fare alcun “trascendimento delle contraddizioni contenute nelle stereotipo post-moderno della “madre indipendente”.

Mentre mi sembra più esperibile l’attraversamento di luoghi/temi che (ci) permettono la co-costruzione  e la metariflessione sulle possibili sinergie tra essere madri ed essere  altro (donne-lavoratrici-mogli etc etc), essere genitore, essere “social”.

Altrettanto pertinente invece sento la possibilità di sfondare il muro di vetro di una maternità (e una genitorialità) a rischio sociale e culturale  di solitudine, di fragilità, e di vuoti legati alla riduzione delle reti familiari e amicali, di sostegno.

Ebbene si, essere mamma blogger o che usa i vari luoghi di incontro digitali, può anche voler dire meno solitudine, lo si capisce sperimentandolo.

Ma io proprio non comprendo perché il corpo dalle mamme del Web debba pensato come un corpo “sfigurato” e che perde pezzi, e non al suo contrario “reintegrato” e complessificato. La trovo  una interpretazione voluttuaria  e non spiegata  con sufficiente chiarezza.

Non capisco la presunta perdita del contatto con il corpo, la sottrazione alla narrazione degli esperti e la sottrazione alla narrazione maschile. Al limite, la narrazione che è stata piuttosto caratterizzata dalla scissione madri buoni e madri cattive (la madre buona “Maria”, la madre cattiva “Medea”, nella nuova forma comunicativa materna prova a ricostituirne e a restituirne ,ad un mondo “social” (sociale, narrativo, culturale, fatto di tecnici, esperti), la propria impronta, dimensione e riflessione. tanto più che la rete non riesce proprio ad evitare la sua natura di fonte informativa aperta, collettiva, molteplice e complessa.

Sembra verosimile il rigetto femminile e non solo materno davanti all’idea di essere nuovamente  oggetto di narrazioni semplificanti ed altrui, quindi anche degli esperti. Ma ciò non significa che le mamme cosiddette due punto zero rifiutino parere degli esperti anzi direi che sia esattamente il contrario, alcune anzi lo integrano, e ricostruiscono in un panorama più complesso di informazioni raccolte tra pari e tra “esperti”.

Mi sembra che gli autori facciano alcune interessanti  aperture e salvo poi costringere  i contenuti a re-implodere su se stessi. Non è chiaro se il corpo è ritrovato o perduto, e sembra che la posizione rivoluzionaria delle madri sia capace “solo ” di stare contro, di controdipendenze un pò infantili.Un elemento questo che preso così, sembra terribilmente riduttivo.

Una 2.0 magari cercherà le mamme on line, ma anche gli esperti, ma anche i padri, i pochi e interessanti esempi di narrazione al maschile. Ma forse non fanno target per il pannolino???

In alcuni casi invece mi sembra esserci luna certa capacità di provare a fare evolvere le prassi culturali sulla genitorialità (eh già essere madri rende colpevolmente parte di una coppia, una famglia, una rete, una società).

Va da se che questa antrolopologia, osservata tramite la lente “gioiosa” della madre iperconsumatrice, o della tribù elitaria, (mi) sembra capace di rispondere soprattutto alla necessità di studiare un target di vendita, che non una complessità, o ad un fenomeno nuovo.

By the way io continuo a prefererire le TAZ alle tribù  … volessesero mai prenderene nota!

Dal testo di Bruce Sterling «Isole nella rete», il salto dalle isole nella realtà è breve. Secondo Bey, in un mondo interamente occupato dai confini degli stati-nazione, il potere ha bisogno di «cartografare» il territorio, di tracciare delle mappe per esercitare il suo dominio. Ma le mappe, per quanto esatte non sono mai perfette. Tra queste e la realtà si aprono così dei buchi, delle falle, dei quid-spazio temporali incontrollati in cui le Taz possono fiorire. Sono questi momenti di festa, di gioiosa convivialità, in cui riscoprire il gusto della gratuità e del dono reciproco, ma anche azioni improvvise di rottura e sabotaggio. Per questo la Taz è sempre in movimento e scompare con la stessa facilità con cui appare, prima di essere tracciata dagli apparati psico-polizieschi. Accanto e intrecciata a questo tipo di riflessione, scorre la critica del Media, come strumento che oggettivizza la realtà, e la costruisce su una sola dimensione, impedendo un accesso diretto all’esperienza e alla comunicazione interpersonale. Alla comunicazione verticale, Media-ta e alienata, Bey soprattutto nei Saggi sull’immediatismo contrappone una comunicazione orizzontale, immediata, basata sul contatto fisico diretto. La chiave della creazione di una TAZ è ciò che Bey chiama terrorismo poetico. Una azione non violenta comparabile al potere di un atto terroristico, con l’eccezione che un atto di terrorismo poetico comporta solo un cambiamento nella coscienza delle persone ….

🙂

hihihi

n.b.

ho fatto del mio meglio…

ma vaste dosi di tachipirina e la ricaduta influenzale hanno fatto un pò la loro parte. sorry

 


3 commenti

Un titolo fuorviante: “Latte materno = forza + intelligenza potenziata”

Vabbè si vede che bisogna sempre togliersi qualche sassolino dalle scarpe, e provare a dire la propria. Il silenzio rischia di legittimare uno stile brutto,  fuorviante e  poco chiaro nel dire le cose.

Uno:

fare la madre è una faticaccia. Una bellissima fatica. Una fatica moltiplicata da titoli cretini come questo (l’articolo NON dice ciò che il titolo promette), e per fortuna. E’ faticoso saper scegliere, orientarsi e alle volte capire cosa è importante.

E sul latte materno si giocano guerre atroci  e scorrette:

da un lato le aziende che producono i latti in polvere che pompano i propri interessi, a volte come nel famoso caso della Nestlè , e per le quali fare i propri interessi diventa quasi doloso.

da un lato la rivendicazione dell’allattamento materno come migliore alimento nella primissima fase della vita finisce per essere giocato sulla pelle delle madri che a seconda del punto di vista scelto diventano moderne Crudelie de Mon opposte a “sante subito” che allattano fino ai 3 anni del pupone. O madri cattive o madri perdutamente mucche.

E in piena tempesta ormonale post partum non è facile sentirsi subito competenti.

Due

questo è un buon modo di parlare di allattamento al seno:

L’allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. Dichiarazione congiunta OMS/UNICEF

L’allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. L’importanza del ruolo dei servizi per la maternità.

OMS, Ginevra, 1989

Strategia globale alimentazione neonati e bambini OMS/UNICEF

 

Tre

Sicuramente ci sono le madri che non allattano al seno per vezzo, fastidio, fissa, lavoro, per motivi futili, per motivi estetici, per motivi gravi e seri.

Ma su tutte spesso si stende la patina di madri cattive, anaffettive, che vogliono il loro bene in modo egoistico e non pensano al bene del proprio bimbo … (e di ciò avrei anche un paio di aneddoti personali, molto sgradevoli).

La rete ci consente di narrare la maternità da un punto di vista nuovo (il famoso 2.0): il nostro. E dove gli esperti possono aiutare ad orientare, scegliere, pensare, rassicurando, sostenendo, insegnando…. senza pretese di essere gli unici depositari del sapere sulla maternità.

 

Per chiudere, un titolo così, illude di trovare la magia per “avere”  figli più  intelligenti e forti; cosa che l’articolo non dice. L’articolo, con un titolo così, fa un cattivo servizio alle madri, all’allattamento, alle madri che tentano precari equilibri, e ad ogni  una riflessione seria sull’alimentazione.

Smettiamola di farci parlare addosso.

 

Oggi è la giornata in cui pensare come diffondere la cultura della prevenzione di tutte le forme di violenza ed abuso sui bambini, in Italia e nel mondo, e spingere le istituzioni e governi a rafforzare le misure per la protezione dei minori.