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la misura di un corpo #restoumana (dare rifugio alla comune umanità)

mareI corpi dei bambini li riconosco dalla misura.

Li conosco ogni giorno, quando  la figlia piccola confronta il suo con il mio, chiedendo dove arrivava l’anno prima, e ora è già quasi all’altezza seno.

Li riconosco per le notti in cui la piccola si dispone nel lettone, dicendomi “mi abbracci?”, e cercando quella scomoda comodità che mescola affetto e sonno. Ma è la misura che conta, quell’abbraccio a lei che è piccolina, e si accoccola, cercando accoglienza (sicurezza?) nel mio corpo più grande.

Lo faceva anche sua sorella, da piccola.

Li riconosco per i laboratori di psicomotricità che ho fatto, i bimbi che ti soffocano di abbracci grati dopo un gioco vissuto con intensità e stupore oppure quelli che ti offrono tutta la loro irruenza o scontrosità; la scontrosità di chi – all’adulto – non vorrebbe concedere molte. Li riconosco per i percorsi che vanno predisposti (cubi di gomma piuma, tappeti elastici, materassoni) pensando alla misura, all’età ai pericoli da dosare, alle “imprese” che vanno predisposte, da affrontare e scoprire. Talvolta mettendosi disposizione come cavallo, lupo, sostegno, scala, punching ball. E ogni volta so dove arrivano, le loro altezze; e quando crescono, allora, bisogna cambiare i giochi/i percorsi perché sono diventati più grandi, coraggiosi.

Pertanto so la misura di quei corpi, di bimbi, affogati nel mare. Non c’è verso di dire questa cosa con delicatezza e non ci son parole che sostituiscano la crudezza di questa realtà.

Avranno la stessa stessa età di mia figlia piccola, la misura è quella (sotto i 7 anni) e mostrano la sottile linea che può esistere tra il sonno e la morte. Questo rende le immagini annichilenti: le ho viste, e non per scelta di sguardi morbosi sull’eterna tragedia umana, ma in quanto copiosamente sparse sulla mia bacheca Facebook, pubblicate anche da chi  – in altri momenti – avrebbe scelto di non farlo.

L’ora della cena, e la serata hanno avuto quella sensazione li.

Dolore. Immedesimazione. Fratellanza. Pietà.

Corpi non protetti e privi di vita, siano essi quelli dei bimbi, che degli adulti.

Una bacheca, ieri sera, piena immagini e da altri sconfortati come me. Sento di partecipare con loro, allo sconforto, di condividere con alcuni il dolore, e con altri la rabbia e l’impotenza. Ho sentito il pianto che saliva, un nodo alla gola, e lo stomaco aggrovigliato.
E’ comunque non descrivibile bene l’emozione che ho sentito e che sento, anche stamane.

Sento come vivrei la sofferenza legata a quelle morti se io fossi stata madre e se quelli fossero state le mie figlie, anche se fossi morta con loro.

Sento che quei corpi “ci” appartengono, come “mi” appartengono i corpi delle mie figlie, quando so a quale altezza sotto il seno si fermerebbe la loro altezza, mentre chiedono se sono cresciute.

Lo fanno tutti i figli, questa la misura la conoscono tutti i genitori, e chi si occupa di educazione. Sono corpi che si incontrano, che sono affini, che necessitano di cure, abbracci, accompagnamento, affiancamento. Fanno parte della stessa umanità che ci è data da ascoltare e praticare.

E quando i morti lo sono in modo crudele, il lutto è comune, l’offesa ai corpi è una offesa a tutti i nostri corpi, che sempre sono chiamati ad aver cura, essere responsabili, attenti, civili, rispettosi, appartenenti ad una stessa cultura umana, una stessa specie, una stessa collettività.

C’è un nucleo di dolore che ci appartiene, se solo riusciamo a sentirlo, se non facciamo finta che non c’appartenga, se non facciamo finta che gli smartphone non ci rendano assai più simili e più vicini (conosciuti) di quanto potremmo. Conosciuti perché stiamo osservando l’altrui umanità  … e il dolore è come (il) nostro; ci appartiene, nel momento in cui vediamo che non esistono differenze così sostanziali; a meno di non volerle trovare ad ogni costo, perché si intende vivere come una stupida testa di cazzo (Excusez-moi  ma qui il francesismo ci sta bene)

Bimbi morti nella traversata. 
Non ho parole. 
Solo dolore e comunanza con questa umanità. 
Potremmo esser noi, i nostri figli. 
Noi siamo quelli che guardiamo da luoghi, indubbiamente, più tranquilli.
Loro muoiono.
Occorre un cambiamento politico di accoglienza.
Nel frattempo va bene che le nostre cene siano perturbate e il nostro stomaco sia aggrovigliato, davanti a dolore e morte …

Infine una sequenza di immagini, quali di esse non ci appartiene?

Una famiglia sbarcata dalla nave Etna della Marina Militare attraccata il 19 luglio 2014 al porto di Salerno con a bordo 2186 migranti tra cui molti bambini, 19 Luglio 2014, Salerno. ANSA/ CESARE ABBATE

Una famiglia sbarcata dalla nave Etna della Marina Militare attraccata il 19 luglio 2014 al porto di Salerno con a bordo 2186 migranti tra cui molti bambini, 19 Luglio 2014, Salerno. ANSA/ CESARE ABBATE

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SALVATAGGIO 4 GIUGNO 1

profughi

epa03978201 New arrivals of Syrian refugees cross from the east of Jordan border with Syria near Royashed Town, Jordan, 05 December 2013. Syrians fleeing violence in their country continue to cross into Jordan every day in search of safety. Most are exhausted and desperately in need of help. EPA/JAMAL NASRALLAH

epa03978201 New arrivals of Syrian refugees cross from the east of Jordan border with Syria near Royashed Town, Jordan, 05 December 2013. Syrians fleeing violence in their country continue to cross into Jordan every day in search of safety. Most are exhausted and desperately in need of help. EPA/JAMAL NASRALLAH

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Migrants are seen on Coast Guard rescue boat with a group that includes Syrian refugees, at Siracusa harbour on the island of Sicily September 20, 2013. The number of Syrian refugees reaching Italy has increased steadily in recent months and the United Nations estimates that 3,300 have arrived since the start of August. REUTERS/Antonio Parrinello (ITALY - Tags: CONFLICT SOCIETY IMMIGRATION POLITICS)

Migrants are seen on Coast Guard rescue boat with a group that includes Syrian refugees, at Siracusa harbour on the island of Sicily September 20, 2013. The number of Syrian refugees reaching Italy has increased steadily in recent months and the United Nations estimates that 3,300 have arrived since the start of August. REUTERS/Antonio Parrinello (ITALY – Tags: CONFLICT SOCIETY IMMIGRATION POLITICS)


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neg_azioni – epigrafe in memoria

E’ quasi un anno che una persona non c’è più, la sua vita è stata usurpata da un cancro. Una fine peggiore non riesco a figurarmela, e i dettagli non servono. Resta un dolore privato, poco esprimibile.

Ma, come accade in Italia, talvolta alla persona che diventa un “malato” non è più concesso di capire e sapere, “protocolli medici” si chiamano, che assommano una sfilza di “panzane” dette a fin di bene (?), e la verità che i familiari a volte sanno, viene pietosamente celata. Non so bene se la pietà sia per se stessi, una pietosa bugia che permette al mendico di non guardare in faccia il paziente, e per il familiare non affiancare una persona amata e dirle di prepararsi alla peggiore battaglia della vita, quella più epica, che si combatte ugualmente anche la sconfitta è probabile. O se vi sia una reale pietà e se mentire non  corrisponda ad una reale necessità per il malato, dicono che a non saperlo “si combatte meglio la malattia”. Non mi è affatto chiaro perché questa teoria funzioni per il cancro e non poniamo per la Sla.

In ogni caso questa maledetta abitudine di “tutela”, si rivela nella sua peggiore falsa pietà, e nel cinismo della peggiore ipocrisia, quando una malattia ruba la vita ad una a persona giovane e con figli piccini. Togliendo quello che come madre spero non mi venga mai negato come diritto, quello di “accompagnare” i miei figli sino all’ultimo attimo concesso(mi), spendendo parole e gesti, tracciando legami e significati, lasciando segni e “salvagenti”, che prima o poi (potendolo o volendolo) essi possano utilizzare.

Un diritto (umano e civile, per me) che a questa persona, e ai suoi figli, è stato negato.

Per me voglio tutto il diritto di accompagnare i figli nonostante la fatica e la possibile sofferenza, a trovare un senso, o quantomeno una condivisione di significati, trovare saluti e ricordi che rappresentino per loro il porto certo da cui salpare, dopo. Non voglio per loro e per me il silenzio, non le falsità, e i non detti, non le pietose bugie, non le ipocrisie. Solo una verità pungente ma liberatoria di ogni sentimento che possa scaturire.

Per questo il dolore per la scomparsa di questa persona, sembra non anestetizzarsi, o trovare pace. Circondato com’è stato ed è, da una spessa coltre di spine, i non detti, le mezze verità, le volgari finte pietà, a tal punto da essere un dolore solitario per tutti, soprattutto per i piccoli/figli, che forse avrebbero avuto lo stesso diritto del genitore alle parole e ai saluti finali. E la morte sarebbe forse stata più umana e dignitosa, accompagnata e contenitiva per tutti, anche se non meno dolorosa.

Solo una piccola consolazione, che l’accompagnamento di questa persona sia stato fatto dalla madre, che all’inizio e alla fine ha potuto consolare ed accogliere.

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