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del defolloware

Pazienza, om, calma e pace interiore.

Mi dico  che se altri sopportano i miei deliri in forma blogger, le campagne ossessionanti via twitter, i materiali sull’ambiente e sull’amianto … e che la rete prevede che la libertà di pubblicazione sia un valore e una virtù ..

Ma la voglia di chiudere la bacheca con chi (soprattutto tra i contatti facebook) deve usare lo splatter, la violenza esposta come massima capacità comunicativa, il sangue, i bambini morti, i cani sbudellati e non …. il dialogo, la confutazione, l’argomentazione, il confronto civile, il tentativo anche nobile di perorare la propria causa (e spesso sono cause condivisibili).. si fa grande. Sarà il caldo che rende intolleranti.

Eppure a me è chiaro che ogni bimbo morto in un teatro di guerra è umanamente straziante, o un uomo che muore di fame, così come un cane usato per esperimenti scientifici, o semplicemente per “ripulire un paese”, così come ogni morte,  colpisce e tocca. Da qualche parte, è quasi certo, che qualcuno ne soffrirà o ne piangerà. Insomma non sento il bisogno di vedere ossessivamente il dolore, e lo strazio per comprenderlo. E questo” vedere” non mi induce ad agire, non è logicamente  e metodologicamente possibile che una persona o un utente medio si attivino per ogni causa al mondo. Sono troppe, purtroppo. Vederne solo gli esiti più splatter, la macelleria, le frattaglie non (mi) convince. Anzi alza il tesso di intolleranza e nausea,  non verso la causa ma … verso il suo propugnatore o propugnatrice.

E mi chiedo se non sia un bisogno proprio, malsano e morboso di pubblicare morte e dolore, per turbarsi e turbare, per violare gli occhi altrui (che potrebbero peraltro avere chiarissimo il senso del dolore che arriva non esclusivamente dalla vista ma dall’interezza del corpo e del sentire), per scatenare “impressione” e non pensiero, dolore e non compartecipazione e azione.

Inoltre a questo spesso si aggiunge la sgradevole pressione per generare un forte senso di colpa  e complementare che incita a soffrire, illegittimando altrui piaceri e passioni  (sopratutto se innocui) … Propugnando la causa di una umanità monocromatica, pricva di contraddizioni, ipersemplificata alla luce della propria visione, tutta asservita ad una unica e migliore causa, … che è sempre e solo la propria.

Proprio per questo non defollowo queste persone dalla bacheca, .. pure nella sgradevolezza del loro agire. Al limite elimino le notifiche degli aggiornamenti.

stay human …

La più grande debolezza della violenza è l’essere una spirale discendente che dà vita proprio alle cose che cerca di distruggere. Invece di diminuire il male, lo moltiplica. 
Martin Luther King


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mortacci

Fate vobis … ma ci si è sfrantumati gli zebedei delle autopsie giornalistiche.

Che sia il corpo dei santi, ostensi, che dei dittatori trucidati.

Solo questo ci sono necessità umane che chiedono pudore, il corpo dei morti antropologicamente lo richiede.

I giornali e i giornalisti che non sanno farne a meno, con la scusa che così si fa notizia, si assumono una responsabilità impegnativa, quella dell’incapacità di trattenersi sulla soglia.

Si può esser indignati anche di questo.

 


1 Commento

Segnalibro da Ave Mary

Tratti da Ave Mary di Michela Murgia

Essere identificati come vittime è una condizione che dovrebbe essere transitoria per chiunque, legata a precise circostanze. Non si è vittime per il solo fatto di esistere come femmine invece che come maschi, ma lo si è sempre di qualcosa o di qualcuno. Il tentativo di trasformare le persone in vittime permanenti a prescindere dalle circostanze costringe la vittima al ruolo di vittimizzata, che è un’altra forma di violenza, piú sottile e pervasiva, perché impone una condizione di passività che preclude la facoltà di riscattarsi.

[…]

Qualunque sia la variante, la trama del racconto della morte femminile non cambia: con la morte la donna non è mai in un rapporto di protagonismo, ma sempre in quello di passiva conseguenza.
Mi colpí molto il modo in cui venne raccontata sui media popolari la doppia morte a breve distanza di due figure molto note del piccolo schermo italiano: Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. È noto che il popolare presentatore e attore sia morto per un blocco renale; ma quando cinque mesi dopo è morta anche la sua altrettanto nota vedova, i media hanno raccontato il suo decesso come se fosse una conseguenza diretta di quel lutto. «È morta di dolore», hanno scritto le riviste ad alta tiratura. «Senza Raimondo, stroncata dal dolore», titolò ancora piú esplicitamente un quotidiano, fornendo una interpretazione da romanzo d’appendice di una morte da crisi respiratoria. Lo stesso meccanismo mediatico aveva investito qualche anno prima un’altra doppia morte del mondo dello spettacolo, quella del regista Federico Fellini e dell’attrice Giulietta Masina: il primo è morto di ictus e cosí è stata data la notizia; invece la morte della consorte è stata annunciata dai quotidiani con lo stesso sobrio titolo che sarebbe toccato poi alla Mondaini: «È morta la Masina, stroncata dal dolore». Il fatto che l’attrice fosse da tempo in cura per un tumore non era evidentemente funzionale al quadro tragiromantico di una vita spezzata dalla scomparsa dell’amato.
Questi due esempi non fanno statistica, ma bastano a mettere a fuoco la tendenza mediatica a rappresentare l’uomo che muore come un dignitoso protagonista attivo del suo ultimo istante, lasciando alla donna il compito di morire passivamente (e spesso in modo scomposto, «distrutta, stroncata, annientata, devastata, uccisa» dal dolore), nel ruolo di vittima o al massimo di macabra comprimaria.

Amazzone ferita - Fritz von Stuck, 1903

Amazzone ferita - Fritz von Stuck, 1903

In questo orizzonte solo l’uomo può «morire», la donna invece «viene uccisa». Perché questo squilibrio costante tra soggetto attivo e soggetto passivo sia possibile, spesso occorre che la narrazione neghi le evidenze contrarie, per giungere fino a mistificare la realtà, secondo un meccanismo che non è certo un brevetto dei media italiani.

Oppure:
Guerriere, una riflessione di Monica Simionato
Furie Erinni &co