Trasloco: ultimo giorno, ultime ore.
Ok. Sono stata operativa, compito: selezionare 15 raccoglitori, una trentina di quadernoni maxi, 10 piccoli, gli appunti di un trienno di studi, 10 vecchie agende (!) e materiali vari esuli di una altra manciata di corsi di formazione. I listini degli stipendi, le lettere, i contratti, e ogni tanto una foto, una cartolina, una lettera privata. Persino una limetta da unghie negli appunti di una formazione.
Ma quanto ho scritto in questi anni, 14 c.a.?
Appunti, riunioni, supervisioni attraverso i lavori da psicomotricista, da educatore professionale, da coordinatore, e quelli relativi ai vari ruoli della cooperativa. Tantissimo. E altro resta al “sicuro” nella casa nuova.
Ma quanta roba ho tenuto e quanta devo distruggere (non si sa mai, la privacy di qualcuno va sempre tutelata).
Alla fine sento che questo post deve essere scritto, magari non letto, ma scritto si.
E’ necessario.
E’ necessario che io faccia/costruisca ponti tibetani, al solito, tra me stessa e le cose che faccio, e la mia storia; trovando e evidenziando i nessi tra le cose. Sono io.
Stamattina, tra nuvole di polvere, trovavo che metter o buttare via quelle carte significava qualcosa, e si connetteva al blog, anzi ai blog, e a ciò che racconto – qui – da due anni circa.
Buttare via le carte che parlano di un lavoro che si occupa di storie altrui, di altri che hanno una sofferenza o un handicap, o che hanno faticato a crescere …
Buttare via la carta, e tenere i ricordi, alle volte pochi o lontani nella mia frammentata memoria,è difficile. Com’è difficile non sapere se la strada che abbiamo fatto insieme, io e loro, se resta, se è restata, cosa ricordano, o sanno, o hanno utilizzato per andare avanti.
Affiorano le facce, i nomi, i disegni dei ragazzini, le parole dette ai colleghi che coordinavo. Avranno tenuto qualcosa di buono, sono stata utile, sono servita a comprendere qualche nodo nella vita personale o professionale? E’ questo lavoro che non ha certezze, attraversare la crescita altrui (oltre che la prossima) lasciando tracce e segni, senza sapere se tracce e segni resteranno. O quali resteranno. Eppure so che anche questo è importante, anche solo nel ri- narrarlo in un blog.
E’ il fascino antico della pedagogia, che ho ri-trovato scritto in scritti che non conserverò, pedagogia che non è guarigione/terapia, ma attraversamento, insegnamento, apprendimento. Qualcosa che travalica e scavalca ciò che ho detto in quegli incontri o ho appuntato in quelle carte, perciò e’ bello e possibile buttarle via. E’ quasi necessario, così come invece non è necessario creare cloni delle mie “belle” idee. Educare è dare possibilità o creare la possibilità di vederle, ad altri.
Ciò che ho imparato io non è nelle carte (in quelle carte) , ma nella mia pratica quotidiana, lavorativa e personale, sta persino in questo blog. Sta nelle nuove forme che ho dato a ciò che ho imparato, imparato facendo, imparato insegnando.
Alla faccia del buttare le carte ….