Commuoversi
La commozione e la capacità di mettere tra le virgolette alcuni pensieri.
Immagini
La fotografia vera e immaginata, che coglie con commozione le cose grandi e i dettagli di alberi, istanti, fiori, tramonti, case e animali.
Memoria
I ricordi nascosti da una vita, i ricordi dell’infanzia custoditi in una parte della memoria che non si sapeva nemmeno di possedere.
Ecco qui, leggero come il vento, un pezzo di infanzia.
La memoria che dicono sia “cosa da Vecchi”.
Ma non mi sento vecchia.
Mi sento solo lieta di ritrovare questi ricordi che credevo di aver perso.
Tutta la vita e’ lì, e ne trae significato.
L’amore.
Scoprire che in uno stesso tempo molto breve si è diventati capaci di amare e non si è ancora capaci di amare abbastanza, o bene.
Le parole.
Che messe lì, tutte insieme, una dietro l’altra, con un po’ di cura e attenzione riescono a dire qualcosa e diventare una forma….
Una forma compiuta non si perde; e la parole non restano dentro, o perse o dimenticate.
Le epifanie.
I momenti in cui tutto si rimette insieme, in un unico momento, in unica forma. Dove convivono bene e male buono cattivo piacevole e spiacevole facendo percepire l’esatto profondo senso della vita. Per un secondo o due.
Capire.
Capire che si è potuti andare un pochino avanti oltre se stessi e che – comunque – non si era (e’) capito proprio tutto.
E che cadere e sbagliare talvolta ha a che fare con il saper ridere di se stessi, avendo pazienza perché c’è ancora tempo di imparare.
Posto qui una riflessione conseguente ad un post su Mammeacrobate, visto che forse quello non è il luogo dove approfondire queste riflessioni. Mi sembrava pedante ed antipatico provare a ri-tematizzare alcune riflessioni, lì. Sarà che è un contesto che non conosco affetto e no avevo voglia di rischiare di attizzare un flame inconsapevole, così riporto la riflessione nei miei confini familiari. Sperando sinceramente che possa – prima o poi – anche spostarsi ad altri contesti.
Ecco il nodo da cui partire, un articolo di Paola Liberace, che forse non abbiamo subito capito. E poi c’è il dibattito successivo.
In particolare faccio riferimento alle parole postate da una insegnante e madre, dice Serena:
“Dico solo un paio di cose che mi sono venute in mente grazie alla mia esperienza (abbastanza recente) di mamma e di insegnante. Il bisogno più grande che hanno i figli nei confronti dei genitori è quello della RELAZIONE, e non dell’accudimento, come invece pensano la maggior parte dei genitori: l’accudimento credo si possa delegare anche “massicciamente” ad altre figure (nonni, baby-sitter o nidi…), ma la relazione assolutamente no. I figli prendono da noi la loro stessa identità e se noi siamo assenti la perdono, restano smarriti.
Ma il compito “relazionale” è faticoso, molto più di quello dell’accudimento, perchè ti mette in discussione, nelle scelte, nelle posizioni, nei comporamenti, nella vita isomma. Per questo i genitori, fragili, spesso vi abdicano. Per questo i figli spesso non sanno più chi sono.”
E qui, scusate, scendo a gamba tesa nel mood più professionale che posso, e qui non mi gioco solo la mammitudine, ma forse soprattutto ciò che so come persona con una certa formazione e anni di lavoro con disabili e bimbi ….
Intanto la relazione cos’è? Wikipedia ce la illustra così, ma forse la parte che ci riguarda è questa ” L’espressione relazione interpersonale, o relazione sociale, si riferisce al rapporto che intercorre tra due o più individui. Queste relazioni si possono basare su sentimenti (come amore, simpatia, amicizia) come anche in base a passioni condivise e/o ad impegni sociali e/o professionali. le relazioni sociali hanno luogo in ogni contesto umano: dai rapporti di amicizia, alla famiglia a qualsiasi forma di aggregazione umana. Parlando di relazioni di coppia ci si riferisce spesso ad un rapporto sentimentale e/o intimo tra due persone come ad esempio nella coppia di amanti, o nella coppia genitoriale o nel rapporto genitore-figlio. (sempre Wikipedia)”.
Però lascerei a voi altri l’impegno di dipanare la faccenda cosa è “relazione”?
Mi voglio concentrare invece sulle pratiche di accudimento, che a dire di Serena, possono invece esser delegate senza problemi ad altri (nonni, babysitter etc etc).
Attendere, applicarsi a qualcosa: a. ai lavori domestici, alla bottega, al lavoro dei campi
‖ Assistere, aver cura di qualcuno: a. ai malati
B v. tr. Assistere: lo accudiva amorosamente
Ecco che appare il nodo, a mio avviso, e contraddicendo Serena:
accudire è relazionale (ed anche profondamente interazionale), occuparsi di aver cura del corpo altrui è relazionale, la relazione madre bimbo si impernia proprio nelle pratiche di cura fisica (pulizia/allattatamento/addormentamento), e la relazione padre bimbo ugualmente nasce grazie anche a quelle prassi di aver cura.
Le pratiche di accudimento del nido/dei nonni/delle babysitter stanno alla base della costruzione di necessarie relazioni affettive, che permetteranno a queste figure educative e al bimbo un clima di attenzione e fiducia, senza il quale il malessere sarebbe estremo.
Laddove appare una prevalenza delle cure fisiche, spesso, si dice che non vi sia relazione, ma parlatene ai genitori di figli con disabità o ai loro operatori. E vi sentirete dire come ogni sfumatura di cura sappia, abbia, il sapore di relazione. Le cure mutuano la relazione,le cure riguardano il corpo, e il corpo è relazionale, ed interattivo; la comunicazione/la relazione/l’interazione passa dal corpo, e quindi anche attraverso ogni prassi di accudimento. La cura è anzi la prima forma di relazione.
Altro è, invece, volere rivendicare, ribadendone la priorità, dei propri modelli educativi che – come genitori – si vogliono trasmettere ai propri figli, altro è desiderare che i figli abbiamo la propria forma, la propria impronta familiare, che sappiano e testimonino lo stile familiare.
Altro ancora è stabilire la volontà dei genitori di essere il riferimento affettivo principale.
Stabilire un ordine, una chiarezza nei termini, in quanto persone che educano, genitori, e/o professionisti dell’educazione è sostanziale, capire i sottili distinguo nelle parole che usiamo è una atto educativo, perchè ci permette di capire cosa scegliamo, cosa deleghiamo, quando possiamo/vogliamo/siamo obbligati a delegare …
Un altro punto che mi trova in disaccordo sta nel considerare come una maggiore fatica collocata nella relazione, rispetto alle prassi di accudimento. Appunto parlatene con una neo-mamma, pienamente coinvolta in una infinita sequenza di cure, chiedetele se è stanca o meno, chiedetele cosa stia facendo …