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L’hashtag #, la formazione e la rete

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Da tempo, avevo bisogno di focalizzare il web, osservato con gli occhi di chi si occupa di educazione e di corporeità, come nel mio caso; e dire come sia è uno straodinario (fuori dall’ordinario) luogo di apprendimento e formazione.

Premetto che devo prima metter a tema la relatività del mio sguardo, che nasce osservando il mio stesso attarversare ed imparare, trasformando per ora queste riflessioni in una forma ibrida qual è la narrazione di una storia di apprendimento. Insomma sono appunti di viaggio cercando di non perdere la rotta pedagogica.

Il mio viaggio inizia due anni e mezzo fa, come blogger e, più sporadica attraversatrice dei alcuni socialnetwork, e recentemente sto letteramente scoprendo, con grande stupore twitter. Questo forse non mi rende una “esperta”, ma mi lascia ampio spazio come viaggiatrice appassionata e narratrice. E una parte dell’educazione passa dalla narrazione di ciò che si impara, facendolo.

il resto è qui.

il post originario è sul pontiederive ma mi sembrava “buona prassi” che stesse anche nel sul alveo originario

 


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Gdo e pedagogia

Ieri, a Milano.
Siamo, con un paio di colleghe, intente a costruire un percorso educativo.
Una collega segnala la letterale “scomparsa” (in un certo territorio di una cittadina lombarda) di una tipologia di utenza, ossia gli adolescenti che una volta gironzolavano, più o meno “proficuamente” in città.
Spariti, volatilizzati e scomparsi.
Pare fagocitati di Internet, o dai megacentri commerciali che oramai punteggiano tutte le città.

En passant, penso che anche qui, (nel pavese) tra mini paesi e città appena un poco più grandi, i ragazzi sono spariti dalle strade, e a volte anche gli adulti, inghiottiti da un nulla aspecifico e inspiegabile: sembra morta la socialità per strada.
Tanto più che spesso i territori comunali non fanno nulla per riaggregare il “loro” tessuto sociale; sembra prevalere l’inazione.

Ma torniamo ai ragazzini e alla loro scomparsa, e ai nostri ragionamenti da operatori del sociale.
La quesstione della massiccia e capillare diffusione della gdo, dei grandi centri commerciali fa paura, perché ha snaturato la natura, che è pure sociale e interazionale, della vendita, per collocarla nel circuito chiuso di vendita/consumo/consumatore/prodotti di immediata fruizione/e di nuovo vendita.
Quindi appare snaturata la relazione umana, e la dimensione comunicativa, e il senso della merce stessa, e quindi ed infine del/dei bisogno/i sottostante/i.
Bisogna consumare, tutto, subito e fin da piccoli.

Va da se che il senso di chi educa si interroga, con preccupazione, sul tempo trascorso in un centro commerciale.

Un non luogo per eccellenza.

Se gli adulti snaturano, così tanto, la loro capacita’ di interagire con gli altri, a favore di acquisti compulsivi; se gli adetti sono così alieni e alienati, ed incapaci di “stare con”, di creare possibilità umane (in primis per se stessi, avete mai più trovato commessi gentili e dispinibili alla chiacchera?), cassiere algide o furiose, vendeuse rampanti che ti offrono 40 paia di mutande con un fantastico sconto del 19,9%…. che ne sarà dei loro e nostri figli?

Una collega ci domanda, anche più inquietata, quale poi sia il senso dei baby parking dove i più piccoli vengono depositati: si tratta di un altro modo di liberare gli adulti dal peso dei figli, per affrontare “meglio” il ciclo dei consumi? Bimbi affidati a emeriti sconosciuti, mentre i grandi fuorisamente comprano?

Sono domande impegnative e legittime, soprattutto sottendono la domanda: l’educazione può essere strumentalizzata alla vendita? Oppure c’è un intento di tutela dei piccoli, lasciati lontano dallo stordirsi adulto tra carrelli e scaffali, ridondanti di colori, forme, prodotti, desideri n scatola??

Ma, sento che resta senti altrettanto potente una latra domanda: che incontro possiamo progettare in questi luoghi?

Essi sono solo l’inferno del 3 millennio, il tormento e l’estasi di una umanità di consumatori, oppure i giovani spesso più “native” e forse più scafati di noi adulti sanno invece sfruttare questi luoghi, come luoghi di inconti – più certi e sicuri  – di certe città desolate e tristi, di paesi svuotati??

Non possono l’educazione e la cultura, smettere di annusare disgustate il consumo, e provare a progettare, a contendere i territori gli spazi alla vendita, chissà mai che questo possa anche renderle un favore, quello di tornare più social …

In fondo uno dei tentativi più curiosi del marketing, dove non è solo una prassi strumentale, è quello di restituire alle aziende la capacità “social”, di comunicare, comunicare con le persone, da persona a persona, a creare un modo diverso di intendere vendita e consumo. E’ una operazione che potrebbe, immaginando futuri piacevoli, permettere che Roma, conquistando la Grecia, “capta est”.

Ma quali energie sarà necessario mettere in campo, saprà l’educazione farsi ingaggaire in una sfida decisamente improbabile??


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Emanuele … papà ed educatore … su cura e ralazione

Copio ed incollo -pari pari – le riflessioni di Emanuele, collega di studio, educatore, consulente pedagogico, bis-papà sul tema accudimento, cura, relazione.

Il perchè lo si capisce leggendo …

“Io non parlerei di relazione come contrapposizione all’accudimento o, comunque, come qualcosa d’altro, di diverso. Userei il termine comunicazione come manifestazione verbale della relazione e di accudimento come della sua manifestazione non verbale.

Credo anche che non sia tanto una questione di differenziare questi due aspetti nell’intento di definire una relazione genitore-figlio universalmente riconosciuta come “migliore” ma che, piuttosto, il problema sia chiedersi come questi due aspetti si intreccino nella costruzione di tale rapporto.

Una delle cose che mi incuriosisce, ad esempio, è l’ambivalenza di ruolo che queste due manifestazioni rivestono a seconda dell’età.

Mi spiego: quando il figlio è in fasce e l’accudimento rappresenta l’unico modo di relazione, la comunicazione viene vista come il miraggio capace di salvarci e farci sentire GENITORI e non operai specializzati nel cambio pannolini, nella somministrazione di pappe…
Quando i figli crescono?

La difficoltà dell’interazione spesso spinge al rimpianto verso quella fase della vita nella quale i nostri figli erano totalmente dipendenti da noi…

Ed ora ci manca!

Ci manca tutto: pannolini, pappe e notti insonni, per tornare a sentirici GENITORI utili e capaci e magari anche non contestabili…
Per questo credo che l’accento vada posto su come si attraversano questi aspetti della relazione, sulle fatiche che ci comportano e sulle capacità che sappiamo dimostrare.

Troppo facile disimpegnarsi rispetto alla fatica che si sta facendo nel presente dando valore solo a ciò che si farà in futuro (comunicare) o a ciò che si è fatto in passato (accudire).

Tutto ciò con la volontà di valorizzare la dimensione estremamente soggettiva della relazione genitoriale e del processo che porta alla sua costruzione e ne governa la gestione.

Ognuno vive meglio una modalità di relazione rispetto ad altre, in base ai suoi vissuti, al suo carattere ma entrambe (comunicazione e accudimento) sono due facce della stessa medaglia.

Sta noi decidere quale delle due facce mostrare o guardare di volta in volta..

L’importante è aver chiaro che esiste sempre anche l’altra faccia e che non si tratta di un’altra medaglia!”