PONTITIBETANI

Zone Temporaneamente Autonome


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Illuminazioni, memorie e dispiaceri

La prima illuminazione arriva con le parole di una mia docente di danzaterapia: “siamo state tutte anoressiche”, seguite da una altro bruciante “gli egocentrici muoiono soli”.

E ancora un’altra offerta, volontariamente o meno, da una cara amica: “anoressia per controllarsi, laddove il mondo adulto non ti controlla. Così ti controlli da solo”.

Poi quell’altra  frase di una collega psicologa che spiega qualcosa, che ti consente di accettare di provare dolore per un lutto e una morte, che la logica dice non appartenerti.

Insomma il dolore, per ognuno,  prende le forme meno probabili.

Anzi ognuno cerca di dare al proprio dolore una forma.

Perché non resti solo devastazione, e diventi accettabile, ma non banale.

Img credits Carlos Bravo 2006

Img credits Carlos Bravo 2006

Il dolore potrebbe essere quella cosa che ci accomuna, e ci assimila, se non nella forma  … nella sostanza.

Invece diventa il catalogo esibito del dolore migliore, quello che legittimamente fa soffrire di più, degli altri.

Un dolore che (egocentricamente) ti rende esclusivo/a ed escluso/a dall’umanità, dolente per cause sue, ancorchè improbabili.

Conoscevo due o tre persone che esibivano un catalogo di dolori/sfortune/malanno tali da renderle, quasi disumanamente, inavvicinabili; e che in virtù della loro (oggettivamente) massiccia sofferenza, stavano 10 metri sopra agli altri.

Soli.

Aveva ragione la mia prof! Abbiamo tutti qualcosa che ci accomuna, e rende umani, vicini all’umano. E ci tocca pure cercarcelo meticolosamente dentro, smitizzarlo, rimestando nel nostro torbido, trovare quel qualcosa per prendercene cura; per scoprirci meno soli e  più vicini agli altri.

Per non morire (dentro) soli.

Alè.

Stay human


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Spiriti natalizi

Ognuno si tiene il natale che si sceglie, quello da vero cinico, quello da simil cinico, quello che sbeffeggia, quello che argomenta, quello che confuta, quello che metaforizza, dissimula, decostruisce, abbatte, annulla.

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Sembra che la scelta più cool vada nella direzione dello sdrammatizzare e demitizzare qualsiasi cosa, sia esso babbo natale, l’albero, le lucette dell’albero e dei balconi, le tavole imbandite, il tovagliame, i piatti e le posate, le mode e le scelte, i regali, i biglietti, i pensieri, le frasi e i film. Tutti aspettano questa fase dell’anno, con un indefesso bisogno di alcuni di smontarla e sparigliarci le carte.

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Insomma come per i bimbi che vanno svezzati dalla magia di babbo natale, anche noi grandi ci dobbiamo ricordare che la realtà è nuda e cruda, che la crisi è tra noi e tanto per non perdere nemmeno un grammo di realismo appuntiamoci in agenda, sia voi che io che “dobbiamo morire”*.

Ma io no. Mi sento profusa di spirito natalizio (ahimè non solo a natale) e di quell’ottimismo onnipresente che mi spinge a progettare e proiettarmi in futuri possibili, e stanze intelligenti, a trovare il bello nel bello e il bello nell’umano. A godermi babbo natale per le mie figlie, e la stufa che scalda la casa, e il solstizio d’inverno che cuce insieme tradizioni, astronomia, paure, speranze, filosofie e religioni, bisogni irrazionali e anticipazioni sulla ricchezza della natura nella bella stagione.

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Posso commuovermi davanti ad un film spudoratamente pacchiano e natalizio, pieno di buoni sentimenti e lieti fini, sapendo che nelle zone temporaneamente autonome della nostra vita, piccoli momenti di lieto fine ci sono, ci sono stati e ci saranno. Istanti di gioia e allegria, attimi di luce.

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Frammenti sparsi a casaccio tra preoccupazioni, dolori, assenze e delusioni. Sapendo che vivere è vivere nell’inconsapevolezza totale di quello che potrebbe accadere, (anche di faticoso e doloroso) nella prontezza di r-accogliere qualche gioia, una emozione straniante, o la meraviglia di una mattina all’alba. Non so cosa potrò scoprire di bello e quando qualcosa mi farà felice. Quanti tracce di amore scorreranno nella mia quotidianità, o in che forma.

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Grosso modo so che ci saranno tutte. In ordine sparso. Crisi e paure, e ansie, tutto compreso, senza sconti.

Tanto basta. Buon Natale

___________________

* “mo me lo segno”  .. non vi preoccupate! Segnatevelo anche voi.

cit: Non ci resta che piangere Ita 1985 Regia M.Troisi – R. Beningni 

  • Santissimo Savonarola quanto ci piaci a noi due! Scusa le volgarità eventuali. Santissimo, potresti lasciar vivere Vitellozzo, se puoi? Eh? Savonarola, e che è? Oh! Diamoci una calmata, eh! Oh! E che è? Qua pare che ogni cosa, ogni cosa uno non si può muovere che, questo e quello, pure per te! Oh! Noi siamo due personcine perbene, che non farebbero male nemmeno a una mosca, figuriamoci a un santone come te. Anzi, varrai più di una mosca, no?
    Noi ti salutiamo con la nostra faccia sotto i tuoi piedi, senza chiederti nemmeno di stare fermo, puoi muoverti quanto ti pare e piace e noi zitti sotto. Scusa per il paragone tra la mosca e il frate, non volevamo minimamente offendere.
    I tuoi peccatori di prima, con la faccia dove sappiamo, sempre zitti, sotto. [testo della celebre lettera al Savonarola]
  • Predicatore: Ricordati che devi morire!
    Mario: Come?
    Predicatore: Ricordati… che devi morire!
    Mario: Va bene…
    Predicatore: Ricordati che devi morire!
    Mario: Sì, sì… no… mo’ me lo segno…


11 commenti

prove tecniche di trasmissione – da #donnexdonne a “le nuove professioni delle donne” …. e poi?

da #donnexdonne, passando per il mom camp …  fino “le nuove professioni delle donne” e poi?

UNO

E’ una domanda cui sono stata condotta e dallo sviluppo del gruppo, e da quel suo ostinato non cessare, dal suo continuare a produrre idee e progetti … ma arriva anche da alcune questioni dubbiose, impertinenti, ostinate che “insistono” a sottolineare come la questione femminile non rischia di non andare da alcuna parte se non diventa questione di genere,  abbattimento degli stereotipi, siano quelli si più pelesemente offensivi del corpo delle donne, come quelli altrettanto svilenti dell’intelligenza o dell’indentiità maschile, (cosa che avviene in modo più delicato o subdolo).

Il problema si fa tanto più evidente ragionando in termini educativi, e io lo faccio. Un pò anche solo perché mi “tocca” come operatore, e come madre o perché il mio compagno – maschio – me lo fa notare!

E quindi come si può continuare a dire che i modelli femminili sono sviliti e svuotati di senso, reificati e insipiditi senza – prima o poi – arrivare a riflettere sul fatto che avviene lo stesso per quelli maschili?

Mi sembra che certa comunicazione televisiva, pubblicitaria, politica, lo mostri esponenzialmente, dove l’appiattimento genera “mostri” esattamente come succede il vuoto della ragione. Uomini – diventano – bamboccioni (belli, sexi, scemi), politici – diventano – facilmente corruttibili, latinlover restano annegati nei profumi ma innamorati di un auto. Diventa poi difficile andare oltre, vedere altro, cercare ancora.

Non è inevitabile pensare a cosa succederà con i bambini (maschi), gli adolescenti, i ragazzi, cioè con i maschi che staranno di fianco alle nostre figlie femmine, che magari saranno state sensibilizzate o educate alla dignità di genere?

Come facciamo se il dialogo tra i generi non inizia oggi guardando un oggetto comune, seppure da visuali diverse che possono anche – in alcuni punti o in molto intenti -corrispondere?

DUE

Allora che ne è del senso di donnexdonne .. se l’oggetto sono i generi (per non dire delle buone prassi)?

Forse il bello, e bello lo è per me, del movimento web (siano essi i blog, i social etc) è osservare l’uscita delle donne dalla privatezza di alcune questioni, cercando una possibilità di incontri allargati, un contagio di idee, una capacità (in via di maturazione) nel riconoscere quei bisogni sempre più comuni, e che impongono la ricerca di risposte.

Trovo stimolante l’allenamento alla discussione, che risponde ad una pluralità di possibilità: impegno civile per alcune, politico per altre, più riflessivo per altre ancora. Insomma web come “buona” prassi per allenarsi ad una comunicazione che non è privata, ma pubblica, che non è figlia del parchetto sotto casa, che non è la lamentazione tormentosa di genere.

Ma questo solo è un passo, le varie primavere arabe hanno mostrato in modo davvero potente l’impatto comunicativo di uno strumento mediatico “debole”, (twitter/fecebook etc) anche se usato da soggetti apparentemente deboli, senza voce, o con una voce economicamente meno potente.

La domanda successiva che resta è: e poi, cosa fare poi, dove guardare, verso quali orizzonti?

TRE

Allora andremo a Bologna (con Stefania Boleso), come voce del gruppo #donnexdonne, e forse racconteremo della possibilità comunicativa dei socialnetwork che abbiamo sperimentato, delle donne, delle buone prassi che si cercano, ed è faticoso trovare.

Qualche riflesso di questi pensieri credo sia stato collocati anche nell’intervista che Mara Cinquepalmi ci ha fatto.