La mia bacheca facebook e’ un pezzetto di Italia, quella che leggo fuori dai giornali e conosco lontano dalla quotidianità’. Bacheca che si rivela straordinariamente piena, a mio avviso, anche di grilletti e grillini. Vedo svolgersi una battaglia a distanza, che si realizza sottile a suon di commenti e link. Ovviamente trattandosi di contatti facebook non sempre c’è una interazione tra gli stessi, e io sono l’osservatrice basita da un’irrealistica battaglia involontaria, che si snoda tra diversi piani astrali! Continua a leggere
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Indignazione light
(un post brutto e cattivo)
Ci sono state cose dette/scritte che sono completamente inascoltabili, afferibili alla solita imbecillità e alla sua sorella maggiore (non più intelligenza) – la generalizzazione. I giornali non hanno fatto nulla di meglio, e non hanno detto nulla di meglio.
Non si tratta di dire che la violenza è buona o cattiva, ma guardare lo scenario complessivo.
Chi sono le anime nere dei black blok? Che cosa incarnano, che forma incorporano?
Non la nostra, non quella dei manifestanti, tutti pacificati e soddisfatti dall’idea di manifestare la loro indignazione tardiva. Mi correggo, non loro ma noi, la nostra indignazione italiana è tardiva, lenta e banale. Si è aspettata l’organizzazione, e che qualcuno ci dicesse indignatevi, che si indignassero anche a Wall Street. Prima tutti stesi sui divani (una allegoria che ritorna ricorsivamente nelle riflessioni del nostro gruppo #donnexdonne) a smanettare tra i link e gli “i like” … e poi? Poi … in piazza.
Ma le manifestazioni sono come feste, come pronuncia, come aggregazione che non sembrano sortire alcun esito, se non quello di vedere/vedersi massa, sentirsi uniti ed aggregati, capaci di identificarsi in un numero massiccio di corpi. Alla politica, è evidente, che questo incontro di corpi numerosi e rumoreggianti non interessa (più). Ma nemmeno credo interessi la violenza delle schegge, se non per potersi permettere i ridondanti atteggiamenti di indignazione e la roboante promessa di azioni restrittive e che garantiscano la sicurezza. Fingendo che quello sia il problema e non la crisi. Ad esempio.
Chi sono (o meglio cosa è) la parte nera, a parte l’evidenza violenta e concreta degli scontri, cioè le persone fisiche che hanno violentato la manifestazione? La parte nera non è la nostra? Non è metaforicamente una nostra parte con cui dobbiamo fare i conti, perché il divano perda attrattiva, e anche l'”I like” diventi solo una forma, ma che poi ci “sbatta” fuori di casa, lontano dalla rete di indignazione virtuale, dalla manifestazione grandiosa e ci tenga ancorati nella vita di ogni giorno, a fare da sbarramento alla incongruenze della nostra società, a smantellarne a partire dal piccolo, gli sprechi, i diritti inevasi, le ingiustizie reali, le politiche faziose e scorrette, i piccoli ladrocinii quotidiani?
Indignati per gli uomini e le donne di serie b se migranti, indignati con noi stessi quando vediamo la fila sempre più lunga davanti alla mensa dei poveri, quando ci impegniamo per la difesa dei diritti più facili da dire, quando la raccolta differenziata si fa pigramente, quando i supermercati ci garantiscono il caldo tropicale a febbraio, e ad agosto l’aria condizionata del cinema ci obbliga alla giacca di lana (chi paga questi sprechi?).
Che altre forme di lotta ci possono impegnare capillarmente, essere diffuse e condivise, anche attraverso la rete che come in molti sappiamo può essere un ottimo veicolo di informazione e condivisione. Chi si preoccupa di insegnarlo ai figli nostri ed altrui? (allora si che saranno buone prassi, esempi efficaci da imitare, buone idee per dimostrare che la casta non sono io, non siamo noi).
Come imbrogliamo noi stessi, le nostre parti buie, che diventano davvero black, se non le sveliamo e le sbugiadiamo a noi stessi, e fingiamo che solo i 100 o 1000 black blok in caso nero e felpa con cappuccio siano il vero problema?
Linkografia ragionata o ragionabile
Bomba o non Bomba #15o di Giuliana Laurita
La “democrazia” e la trasparenza dell’anatomopatologo
.. Scrive Vittorio Zucconi, oggi su Repubblica.it:
“Nella civiltà della immagini, non si può restare senza immagini senza generare mostri, sapendo che comunque potranno affiorare o, peggio, essere falsificate da mani interessate a screditarlo. La trasparenza è il prezzo durissimo che le democrazie vere pagano a se stesse, per restare tali. ” Il resto è qui.
L’articolo, ascoltato in radio, mi ha convinto. Almeno per un pò.
La tesi è che alle democrazie serve la trasparenza; e quindi immagino che anche i vari “wikileaks” e la rete abbiano, in questo senso, un ruolo potente. Tesi condivisibile e attraente.
Resta la domanda che mi tormenta: fino a che punto la trasparenza della democrazia ha solo diritti?
La trasparenza s-vela, denuda, denuncia, mostra, evidenzia – con apparente pudore – ciò che si vede attra-verso. Ma la trasparenza delle immagini, immagini da anatomopatologo sono ciò che davvero ci occorre?
I morti, anche simbolicamente, da sempre sono coperti, velati, chiusi, nascosti e protetti. Noi siamo protetti dalla vista della morte.
Anche se è certo che i vari CSI e Criminalminds e Dexter dovrebbero avere guidato i nostri occhi a osservare il fondo oscuro della morte, dei corpi frammentati.
Non ho una risposta di alcun genere. Mi basta sapere che Bin Laden è morto, sento che è importante anche il come; non in un processo e nemmeno armato (se questo sarà appurato). Ragioneremo su questo.
Non mi pare (ci) serva lo strazio svelato dei corpi, il dettaglio che sono il patologo dovrebbe vedere e tradurre in un rapporto. Al limite solo la voce potrebbe narrare, elencare come solo una voce può fare. Non è vero che la vista e le immagini sono la “verità”, possono mentire, almeno come la voce.
In più la vista è molto più intrusiva, penetrante, invadente.
Infine culturalmente l’esposizione dei corpi trucidati è un ricordo di una barbarie antica.
Davvero vogliamo che sia questa la democrazia moderna in cui ci riconosciamo.