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Cara Signora Mariastella Gelmini

vorrei scriverle davvero lo sconforto davanti alla sue recente intervista in tema di maternità e lavoro.

Devo necessariamente premettere che la mia posizione politica non mi consente di apprezzare il suo operato in quanto Ministro, ma siccome lei è uno dei pochi Ministri donna del Governo di questo paese, mi ritrovo nella situazione paradossale di dover pensare che è importante che lei faccia il suo lavoro in quanto donna.

Credo sinceramente che una molteplicità e moltiplicazione dei saperi, competenze, professionalità femminili nei contesti di lavoro non possa che produrre risultati migliori.

Forse non è questo il luogo per argomentare estesamente e documentare una mia riflessione che si appoggia ad un fiorire di studi, teorie  e ricerche piuttosto importanti in materia, ma questi ci sono ed indicano che da più parti il problema è sentito e promosso.

Ma torniamo alla questione della sua intervista. In quanto donna, madre e persona sono convinta che sia importante che la maternità sia tutelata almeno tanto quanto la possibilità di manterere il lavoro, ma i dati recenti ci raccontano che in Italia, le donne quando diventano madri rischiano il posto di lavoro, se non quando addirittura terminano la loro carriera professionale dopo il parto. Sappiamo che mancano molti strumenti per facilitare e conciliare l’attuazione di questo snodo: maternità e lavoro; mancano i sostegni economici e quelli logistici.

Sono convinta della necessità che lei stessa avrebbe dovuto poter continuare a godere della sua maternità, anche in modo flessibile, perchè il mondo del lavoro “politico” dovrebbe rappresentare il mondo reale. Un mondo che è fatto da donne che lavorano e che fanno figli, e che devono attraversare al meglio i due ruoli senza essere necessariamente obbligate a fingersi dei cloni maschili. Maschi che  non devono mai attraversare la gravidanze, il parto, il puerperio, il riassetto ormonale, le notti insonni e tutta la parte pur bella,emozionante, esaltante e necessaria, ma faticosa; esperienza che molte donne conoscono nel diventare madri.

Quando sento qualche madre che descrive solo la parte esaltante della maternità mi sento dubbiosa, esattamente come mi ritraggo da una madre che descrive una maternità solo brutta … sappiamo bene che le eccezioni confermano la regola. Ma nella maggior parte dei casi come genitori finiamo per condividere una cosa dell’avere figli:  questa non è mai una esperienza unidirezionale, è complessa, emotivamente sconvolgente, ed investe di una trasformazione assai potente noi come persone. Parlando di persone intendo qui anche citare anche i padri, che con la compagne sono attraversati da questi cambiamenti epocali ma che non rischiano mai la perdita dell’identità professionale.

Data la sovraesposizione mediatica che è connessa al suo ruolo di Ministro, le sue  riflessioni rimbalzeranno di qui e di là, come palline di gomma impazzite, di nuovo a generare confusione. Confusione in chi tenta di migliorare la propria posizione lavorativa, in chi vorrebbe star con i figli e non più, in chi ha perso il lavoro perchè diventata madre, in chi vorrebbe conciliare un lavoro di prestigio con la possibilità di esser madre ma in Italia (paese piuttosto arretrato in tema di conciliazione), in chi sta decidendo se può fare il salto e diventare madre, in chi (datore di lavoro) capirà che in fondo la tutela della maternità è una fregatura e non un “bene” su cui investire e pertanto si sentirà libero di andare avanti licenziando quelle che restano “incinte”.

Il suo ruolo e anche una sua analisi delle criticità connesse ad un ruolo di grande responsabilità nazionale, come quello di Ministro, se spese con maggiore chiarezza e onestà (rispetto anche alla fatica necessaria di restare al proprio posto, alla necessità di doversi dividere tra la prima figlia e un lavoro importante) forse avrebbero avuto un valore diverso, nel risvegliare una politica troppo appiattita su se stessa, rilanciando un tema che in fondo è anche molto caro a destra, sinistra e centro.

Le sue parole invece mi sono suonate come una sorta di involontario sbeffeggio rivolto alle altre donne, non partecipe e non capace di progettazione e analisi critica.

Insieme a noi, ha perso anche lei, questa opportunità.

Come donna, come madre, come professionista.


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Dopo 8 anni … un bagno – considerazioni di inizio millennio

Esattamente sono otto anni che non faccio più un bagno in una vasca come si deve o almeno decente e a casa mia.

Dopo il faraonico locale bagno nella mia vita da ex moglie, nella vita successiva da mamma single c’era una micro vasca (di quelle a seduta) nella quale lavarsi o farsi la doccia era comunque improbabile.

Ecco perché andavo in piscina, lo capisco ora, giusto per assicurarmi un bagno e una doccia decente settimanali.

(della micro vasca faro ‘ un post a parte, s’impone).

Comunque e in sintesi:

ho richiesto ed ottenuto l’abbattimento – c.a. un mese fa – di un catacombale box doccia

quindi è riapparsa una vasca

e stasera … bimbe a nanna, compagno in uscita serale, ho finalmente fatto un sontuoso bagno! Dot!

Ma il millennio impone che io ne scriva sul blog, domandandomi a chi cavolo mai interesserà la storia di un bagno così atteso?

Nel dubbio si frappone una questione, a chi avrei mai detto – prima – di una doccia, o per estensione del mio privato, della figlia grande o delle questioni della piccola? Il confine pubblico / privato si e’ mobilizzato, e la domanda di cosa sia diventato pubblico o meno si impone. Come è cambiato il concetto di narrazione/esposizione di se, del proprio privato?

Il fatto di scriverlo intanto lo espone al divenire una forma letteraria, più o meno raffinata. Ciò che dico viene pensato per essere scritto, non è un passaggio così scontato, dovrà avere una forma leggibile e comprensibile, dovrà avere un tempo, un tono, uno stile, una forma, che riempiano diversamente il vuoto lasciato dalla parola/corpo che comunica attraverso voce, mimica, tono, postura, sguardo etc etc.

Il web lo rende un fatto collettivo, potenzialmente universale (nella misura in cui ciò sta nella potenzialità del web), lasciandolo fuoriuscire dall’area confidenziale di ciò che si racconterebbe all’amica o alla vicina, e cambiandolo irrimediabilmente.

Siamo nella civiltà della trasparenza, dei blog, dei socialnetwork, della tv dei grandi fratelli. E tanto più esponiamo il nostro privato, tanto più la nostra privacy diviene più importante e tutelata, tutelabile, oggetto di interessi, di invasioni, di attacchi, di illazioni, di sfuttamento o sfruttabilità. E’ un epoca di paradossi. Tanto liberi di dire quanto più attaccabili per questo.  E’ la dialettica privato pubblico che va ristabilita, e’ il loro rincontrarsi – rinnovati – che va proposto. E’ questo il senso che va ri-attribuito mentre spostiamo il confine, e ad occhio e croce, attribuiamo un diverso valore alla nostra intimita’.


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identità anonime

Da qualche parte e di recente su qualche blog in giro (se mi ricordassi il link lo metterei pure, vabbè …) ho letto del tema ricorrente della scelta tra blog pubblico, in cui ci espone abbastanza liberamente o un blog più anonimo in cui ci si sente liberi di dire verità occulte/importune/inopportune che pubblicamente si celerebbero.

Ma immagino che quale sia la forma di identità scelta alla fine qualcosa venga celato, alle volte mi pongo pesantemente il problema di ciò che dico di personale e non dico solo di intimo o familiare, le mie idee di loro sono già abbastanza personali, quando parlo del lavoro o dei luoghi in cui vivo o esprimo i miei furori esistenziali … eppure sono sicura che lo svelare alcune parte rende visibili altre parti e viceversa (per scelta, per necessità, per caso e involontariamente).

Si tratta quindi solo di una scelta.

Detto ciò oggi ho aperto anche il mio blog anonimo. E’ una zona beta test… e conoscendomi so che resterà, con buona probabilità, una bella scatola un pò vuota. Mica mi muovo bene nell’anonimato, o forse si (??), vedremo …

Ma insomma il bello del viaggio è anche il viaggio in se …