tratto da una intervista Maria Pia Veladiano, insegnante, laureata in filosofia e teologia
Lei è un’insegnante. Uno dei personaggi positivi de ‘La vita accanto’ è rappresentato proprio dalla maestra Albertina. In che modo è cambiato il ruolo dell’insegnante in Italia?
Nell’ultimo decennio l’insegnante è stato ed è ancora oggetto di una sistematica operazione di demolizione del riconoscimento sociale che, invece, lo aveva accompagnato nel secolo scorso e lo aveva aiutato nel suo difficile lavoro. Oggi tutto è più complesso, perché la classe è un piccolo mondo, dove le differenze sono meravigliose e faticose insieme. I confronti un po’ passatisti fra gli insegnanti di un tempo e quelli odierni non hanno senso: nelle classi, un tempo, non entravano i disabili, chi non stava al passo dei programmi veniva escluso senza appello. C’è stato un momento in cui la scuola è stata accompagnata dalla fiducia della comunità e in certa misura anche della politica, che ha creduto nella sua vocazione all’integrazione, al suo essere a servizio della cultura intesa come capacità critica di conoscere la complessità del mondo. Oggi si colpisce la scuola perché fa paura la libertà del pensare e fare l’insegnante è più difficile. Quel che resta è la possibilità di conquistarsi un prestigio personale, individuale. Ma il riconoscimento sociale non c’è più.
Giusto e vero. Tutto o quasi.
Mi assumo la voce della polemica di chi pratica l’educazione, con un ruolo professionale ancora più misconosciuto di quello dell’insegnante, a poco più di 1000 euro al mese, con altrettanta vita da stra_precario. Gli educatori professionali, misconosciuti anche dagli insegnanti stessi.
Va da se che occuparsi di disabilità, tossicodipendenza, malattia mentale, povertà, migranti, minori a rischio di devianza, carcere … rappresenta un autogol in termini di rappresentabilità sociale.
L’educatore non vale nulla socialmente, almeno quanto la sua utenza. E’ un paradosso e una provocazione si intende.
Perchè ufficialmente ci si dice che le marginalità sociali hanno un valore e sono portatrici di diritti, vanno tutelate, protette, e fatte crescere verso occasioni di vita migliore.
Ma restano ancora un pò marginali.
Socialmente depresse.
Socialmente depressi restano quindi anche gli educatori, i loro stipendi, la considerazione sociale. Anche se qualcuno ha due lauree, o le specializzazioni, i master, la formazione e anni di studio e lavoro.
Provassimo a tenere un pò di più l’asse sulla questione educativa e non sulla qualificazione dell’utenza forse troveremmo maggiore stima sociale e minore stigma.
Eppure quel lavoro sporco che s’ha da fare, quel “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”, fanno parte dell’educatore professionale, a volte insieme ai dredlock e all’abbigliamento molto “street”.
Perchè la passione educativa induce a trovare, esplorare, imparare, insegnare, scoprire, lottare … dove non si vede quasi nulla. Nel buio e nella fatica dei luoghi, delle strade, della gente.
Questo si che gli educatori potrebbero, forse dovrebbero, insegnarlo agli insegnati troppo appiattiti e addolorati.
Non è l’autostima da conquistare, non il ruolo professionale prestigioso, non è l’infausta Gelmini il nemico da combattere, ma la lotta ostinata va fatta contro le nuove forme di ignoranza, per i pensieri bambini o adolescenti da sedurre fuori dalla tv spazzatura, da stereotipi e saperi banali e ignoranti, che ottundono e chiudono. Va riconquistato il cuore e il piacere, la bellezza di strappare il sipario del banale per la meravigli che nasconde …
Vacanze natalizie, casa, discussione politicamente animata sui perchè lsd, dagli anni 70, non sia stata più studiata nonostante i promettenti risultati in campo medico.
Una ricerca bloccata, non più finanziata, per il timore che una droga così potente …. (??)
Insomma questione non risolta, forse la questione “droghe” evocano una serie di resistenze, risolte in modo semplificatorio tra quelli che si drogano/drogherebber
o e quelli che no. E anche la scienza si è trovata ingabbiata in questa scissione? Fattore piuttosto imbarazzante visto che gli studi scientifici hanno sperimentato anche in modo eticamente, altrettanto, imbrazzante.
Alla fine forse, quella sera sarebbe stato meglio non vedere la tv che ci aveva suggerito cotanta verve nella discussione. Difficile quando tanti temi si intrecciano, attorno ad un argomento, e lo ingarbugliano tanto. Tutti sanno che ci sono questioni che implicano tante sfaccettature che ne escono con le idee chiare solo gli integralisti, per tutti gli altri non resta che una serie di dubbi, eventualmente risolvibili soltanto quando uno finisce in mezzo alla questione, quando si viene tirati in mezzo alle decisioni personali che toccano l’etica.
(aborto, eutanasia, ricerca genetica, sperimentazione sulle staminali, eutanasia, testamento biologico e simili) …
b.
Facebook, becco una bella discussione sul parto.
In cui qualcuno sostiene che il parto in assenza di dolore (epidurale) è osteggiato in Italia per via di un malcelato senso cattolico che sottomette le donne al dolore come accettazione. O espiazione, resta sotteso.
Insomma ci fan partorire con dolore perché così vuole la chiesa … Mah! E che il dolore del partorire può essere sedato come avviene in caso di una estrazione di un dente… (guiro!!)
“uno spunto di riflessione: anche togliere il dente con dolore è naturale, ma penso che a nessuno faccia schifo l’anestesia del dentista …”
Ho espresso le mie perplessità con quel piglio da maestrina acida, che talvolta mi supporta con forza ….
Chissà perché, da non cattolica certe riflessioni sui complotti vaticani mi lascian perplessa. Almeno la riflessione sul dolore della Chiesa mi è pure relativamente nota, ma non mi pare ci azzecchi con il parto.
Un figlio non è un organo malato, un dente cariato, il dolore del parto è fatto di mille e uno fattori.
O meglio il parto è fatto di mille uno sentimenti, dolore compreso. Ognuno decida pure come lo vuole vivere.
Ma non toglietemi la sua complessità.
In ogni caso io di quel dolore me ne sono fatta qualcosa, in termini di forza e resistenza, e di debolezza bisogno della presenza di una brava ostetrica e del padre delle bimbe.
Una esperienza di incontro, non solo con il dolore, ma con la nascita – ogni volta nuova – delle mie due figlie. E con tutto ciò che esso comporta.
Ma lo ammetto, io che azzero ogni accenno di cefalea, con la chimica più becera … non capisco la paura del dolore nel parto. Sono proprio ottusa in questo senso, così come capisco anche meno chi vuole partorire in anestesia totale, quel buco nero della coscienza …. a maggior ragione prima di vedere tua/o figlia/o.
Detto questo resta da ragionare sul senso del dolore, sulla medicalizzazione del parto (è più cara e quindi più conveniente per gli ospedali mi spiegava un ostetrica), su una esautorazione della donna e della coppia nel processo di nascita del proprio figlio, una lettura di un evento naturale come se fosse “malattia”.
Può anche darsi che per qualcuno la resistenza/sopportanzione del dolore sia un tema che attiene alla sua sfera religiosa, ma mi sembra più un dato personale che una trasversalità.
Mentre il movimento nato da Leboyer in poi sembra piuttosto evocare una riflessione più collettiva sui riti e le prassi del nascere.
c.
Il futuro dei figli.
La butto lì grevemente, ma la crescita e il futuro di un figlio quanto dipende dalla scelta della scuola. Io ho il timore di essere una madre un pò chioccia, ma ho la sensazione che non basti una scuola più “figa”, le attività sportive, a dare ad un figlio gli strumenti per il futuro.
Che so mandare un figlio a studiare lontano (dopo la scuola media, non parlo di università momento nel quale l’uscita dal nido consogliabile, imho) per avere una scuola migliore, negli anni della crescita/formazione emotiva, sociale, culturale, affettiva, sessuale ….
Io ho molte resistenze e dubbi, e mi pare che questa enfasi su scuole di alto livello, come garanzia di chissà cosa, sia sproporzionata.
Gioco con una riflessione al ribasso non è che i figli del famoso Avv.to Agnelli siano stati così felici, o solidi. Avranno studiato nelle scuole migliori, e hanno una barcata di soldi.
Sono per questo persone migliori, più felici … ?
Per quanto io conduca una battaglia, minimalista, sul bisogno di scuola e di cultura, però penso che il futuro delle mie figli passi anche da una carta capacità di resilienza, che ad oggi non viene incentivata dalla scuola