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ma disabile cos’è

E’ un tema ricorrente questo, per me; un pò per lavoro un pò perchè contiene una dimensione esistenziale che va oltre la parola in se.  Sarà che è di questi giorni un lavoro che mi porta ad occuparmi di chi con la disabilità si occupa, per professione.

Osservare chi opera con la disabilità è osservare ciò che della disabilità c’è di più manifesto, il limite fisico, picologico, cognitivo, o l’impaccio, la fisicità non “normata” dai canoni estetici della velina o del calciatore e via di seguito. E’ ciò che la disabilità mostra di sè, non ciò che il disabile narra davvero.

E’ più facile per chi vi opera vedere appunto la disabilità, non il chi è la persona che la “porta”; anche i genitori alla volte cadono in questo gioco (anche se un pò meno). Lo stesso rischio lo incontrano i medici che vedono patologia e il malato, gli insegnanti che vedono la pagella e non l’alunno, i politici che vedono il voto e non i problemi della gente, e via discorrendo.

Alla fine oggi c’è una società disabile, basta o basterebbe osservarla per vederla, basta vederci. Una società che fa di ogni vincolo un modo per fermarsi alla prima apparenza, al primo sguardo, per non allungarlo, per non sbirciare al futuro, al possibile, al probabile, e alla propria reale difficoltà. Una società che non vede e non si vede.

Abbiamo voglia ad aver pietà, o al peggio fastidio, di chi la disabilità … la conosce davvero, è un paradosso ma son più fortunati (ovviamente nel reale così non è, non è così ovvio o banale) perchè i limiti che il loro corpo offre soro reali e difficilmente superabili. E se li superano è perchè li vogliono incontrare.

Perchè non si limitano a veder la disabilità. Ma vedono se stessi.

Possiamo onestamente dire che stiamo facendo la stessa fatica?


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il dna … l’altro da me, la diversità … e ciò che ci manca. Ovvero ma laggiù nell’acqua c’è il prozac?

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C’è un post molto potente in le cose che cambiano.

Parla della gente, di quella che ci sta attorno giorno per giorno. Quella che ci ferisce giorno per giorno.

Mi sembra che l’atteggiamento che lei descrive sia quasi inscritto anche nel dna della gente che vive quà attorno, nel paesello. Sebbene poi le debite differenze vadano osservate. Lei cita delicatezze importanti.

Ma ho la sensazione che sia sempre di più difficile accogliere le differenze altrui.

L’altro è altro dal mio dna, è corpo estraneo, è qualcosa che non c’entra mai. Ritorna in ciò che scrivevo un paio di post fa, ragionando irritata sulla composizione delle classi della scuola media dove va la grande: una classe prima composta da omologhi, bimbi della stessa scuola, classe e paese, e una classe di bimbi esterni, estranei, ripetenti e/o che arrivano dalla frazione limitrofa, (nemmeno extracomunitari ma bimbi cha arrivano al massimo da un 1 km di distanza) e già sono un corpo estraneo.

L’altro, l’alieno è ciò che non è perfettamente conformato, ma anche non perfettemente conosciuto sin dalla nascita.

Ecco che la piccola è nel dna del paese, perchè i nonni e il papà vi appartengono, è dei loro, è riconosciuta. Io e la grande (di anni 11) non ancora. Al massimo siamo accettate ed accolte qui nella via, dai nostri vicini, la quotidianità ci ha permesso un contatto, vicinanza, simpatia. Il mio compagno, più lucidamente di me, dice di guardare al bene e alle cose positive del paesello, dell’aiuto che alle volte viene, in modo del tutto imprevisto, che va decifrato tra le sgarberie o ignoranze superficiali. Lo so, sono diventata prevenuta. Ma non lo ero all’inizio. Uscivo con lui e mi ignoravano. Io come corpo estraneo mi sono costruita attorno un callo, e i miei affini ed omologhi li vado a trovare altrove. Chissene frega, no?

Ma certe sgarberie come dice japhy, le capisco e conosco, e alla fine avendo vissuto in altri tre paesetti simili (dopo l’abbandono della big city) a questo, ho scoperto che mi costruivo reti di amicizie omologhe, anche se involontariamente. Tutte persone che non erano autoctone ma “immigrate” come me, qualcuno veniva da Napoli, qualcuno da Cremona, qualcuno aveva vissuto a Milano, la signora nigeriana, i nuovi vicini rumeni, qualcuno veniva dal paese vicino, da 3/4 km di distanza…. Se vai dal medico senti un vociare ronzante e silenzioso, in cui senti dire “chi è”, “da dove viene”  e poi la litania eterna che narra paese ci sono un sacco di persone nuove e l’elencazione puntuale dei corpi estranei.

Certo io sono un orso in gonnella (in jeans per la precisione), lo ammetto, non socializzo se non ho nulla da dire, non spettegolo tanto per riempirmi il tempo, e i fatti altrui mi interessano solo se riguardano persone vicine o amica, non so fare captazio benevolentie, la piaciona, l’amica di tutti. Insomma sono una riservata e un pò antipatica, credo.

Ma insomma una signora, forse per fare una cortesia (?) mi ha detto che si vedeva che la minina l’avevo fatta davvero con m. (il mio compagno), visto che ne è la copia sputata; in molti salutano e festeggiano la piccola e quasi non salutano me e/o la grande. (A me un pò infastidisce e un pò no, sono anche stronza in ciò , “cosa me ne faccio di gente poco interessante?” Ma per la grande ci soffro, questo è il posto dove vivrà, e dovrà restare un corpo alieno?)

Ieri ero per lavoro a I. paesello collocato nell’hinterland di milano, in direzione bergamo.

Ma la geografia come si collega all’accoglienza della alterità?

Anche lì sono andata come corpo estraneo, c’è gente sconosciuta che mi ha sorriso, negozianti spigliati e cordiali, mi sono sentita bene ed accolta. Persino una mamma con il bambino evidentemente di colore sorridevano solari, uscendo da una bella casetta, non da una casa sgarrupata. E la terza volta che ci vado per lavoro ed è la terza volta che mi trovo in una situazione simile; così ho pensato che anche la statitisca confermi la mia sensazione: è un buon posto dove vivere. I bimbi vanno a scuola con il pedibus, ci sono piste ciclabili, una biblioteca ricchissima e propositiva, tante iniziative, una vita sociale intensa, tante persone in giro.

Il compagno  di vita ipotizza l’uso di prozac sciolto nell’aquedotto. (Ipotesi suggestiva).

Ma perchè ci sono posti dove l’altro non è alieno ma è anche possibilità, ricchezza, interesse, incontro.

E’ buffo ma sono le stesse domande sul giusto e l’ingiusto che mi turbavano già a 16 anni, quasi 30 anni fa. Forse non capisco,ed è perchè forse non sono cresciuta.

  • E quanti sono i posti così?
  • Perchè altrove l’altro è escluso, evitato, banalizzato, o peggio.
  • Perchè anche un bambino è un corpo alieno?
  • Perchè diverso è solo alieno, estraneo, da tener lontano o svilire?

Mò smetto perchè mi annoio anche da me, figurarsi gli altri …


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vedere un film … inatteso

l’ospite inatteso

è un film inaspettato e visto a scatola chiusa.

non mi attendevo di scoprire negli usa un fenomeno immigratorio così simile al nostro, centri di detenzione, fermo dei clandestini senza permesso di soggiorno …

nemmeno credevo di trovare uno sguardo così diverso su questo fenomeno.

avevo i miei bei preconcetti sulla capacità del cinema americano di non usare luoghi comuni.

tristemente mi sono accorta che anche il migliore dei film italiani non riuscirebbe ad avere quella stessa serenità narrativa, o magari sono io che non riesco più a vederla. oramai l’atteggiamento completamente isterico che contraddistingue ogni ragionamento sui fenomeni migratori in italia impedisce ogni altra possibilità.

la mia testa è scossa da questi continui e rabbiosi distinguo.

quel film mi ha permesso di fare pace con il mio guardare il mondo, vedendo tutto ciò che sta attorno, cioè non il fenomeno migratorio, ma una cultura, e l culture, i sentimenti, gli affetti, la delicatezza, le paure, le insicurezze (il film parla anche delle paure dopo l’11 settembre a new york), la quotidianità di chi ha le sicurezze del lavoro sicuro e chi si porta dietro la precarietà della vita, e di come le cose in realtà non stiano sempre proprio così.

mi sono anche vista nel mio essere piena di preconcetti verso il cinema usa, e ho finito per ricordarmi che i pregiudizi servono proprio per essere smontati, per farci accedere a un livello di conoscenza maggiore ….