Non c’è pericolo, non parlo di Gaza, per quello uso Facebook.
Non parlo nemmeno dei bambini morti, a Gaza, o in Siria.
Sto sul banale.
Sulla quotidiana “occupazione” dei corpi e dei tempi altrui.
C’è sempre qualcuno che si premura di occupare lo spazio altrui, chessò per passare prima nella fila al supermercato, in posta.
Ti distrai e sai che quel varco verrà occupato. Sai che non dovresti distrarti.
Oppure c’è quello che non si tiene nell’attesa di dare una notizia, che qualcun’altro sta per dare, e l’anticipa. Battendo sul tempo l’altro, sottraendo le emozioni che spetterebbero all’altro.
Uno spazio bianco non può che essere riempito, un varco occupato, una attesa subito saziata.
Qualcuno “deve” farlo prima, sembra non poterlo evitare, deve arrivare prima, o dire qualcosa. L’attesa, come uno spazio vuoto o … lo spazio altrui vanno subito colmati, saturati, riempiti, silenziati.
Sottraendo all’altro il suo tempo.
In fondo viviamo in un mondo in cui è facile essere predatori.
Predatori buoni ed educati, ben vestiti e magari eticamente corretti. Ma sempre tesi a prender via, qualcosa di altrui, siano spazi e tempi, o corpi, emozioni, pensieri.
“Questo è mio, è giusto, è chiaro.”
Io “so”.
Eppure viviamo in un mondo in cui le cose “si fanno” se ci si da il tempo; se
si attende e si ascolta, si osserva l’altro, non si pretende l’immediato e si lasciano quelle pagine bianche, che (forse) un altro potrà compilare.
Oppure no.
Lo spazio e il tempo danno il ritmo del respiro e della vita.
L’attesa non è un attitudine di guerra.
Non lo è nemmeno l’ascolto.
La pazienza non è una attitudine di guerra.
L’amore non è un predatore i corpi, ma li rende vivi, e non consente un tempo di guerra.
Lo spazio e il tempo lasciati liberi permettono di incontrarsi e rispettarsi.
Mentre ci sono amori che predano, persone che predano, tiranni che predano, vicini di fila che predano, popoli che predano …
http://www.repubblica.it/cronaca/2014/01/27/news/childfree_no_kids_luoghi_vietati_ai_bambini-77023074/Ristoranti, hotel, voli aerei, stabilimenti balneari: la nuova tendenza è l’ambiente “childfree”. Nato in Usa ed esportato in Europa, il fenomeno ha contagiato anche i Paesi del nord, notoriamente molto attenti alle esigenze della famiglia. E in Italia sono sempre più numerosi i luoghi che sposano questa idea
Per ora le argomentazioni portate a favore di questa scelta, da parte di alcuni genitori con cui ho discusso su Facebook, sono:
evitare di dover cenare con i bambini maleducati, invadenti, troppo agitati e “ululanti”;
i bambini italiani sono più maleducati perché i genitori non li educano;
gli adulti hanno bisogno di spazi per adulti (magari raffinati, esclusivi, dove godere di cene squisite);
gli adulti italiani (?) non sono capaci, una volta diventati genitori, di uscire da una logica “bambinocentrica”, cui consegue la maleducazione già citata, e si collega ad un bisogno inespresso di uscite senza figli.I genitori non escono senza bebè, e quando lo fanno non sanno gestire l’uscita;
i bambini sono maleducati anche in treno (dove gli adulti devono lavorare in santa pace) o in aereo;
la maleducazione permea la vita di tutti, e l’insofferenza cresce, e la voglia di azzerare il disturbo.
Ergo un problema educativo, diciamo che lo sia, si risolve togliendo l’elemento di disturbo. In questo caso i bambini. Ovvero i bambini resteranno maleducati, ma lontano dalla “mia” cena raffinata, o romantica.
Eppure io continuo ad immaginare che la soluzione non sia mai nascondere il problema sotto il tappeto, ma affrontarlo differenziando e complessificando la questione.
Se penso ad un locale pubblico, immagino alla politica commerciale del noto magazzino di mobili svedese, capace di immaginare una esperienza per tutti, creando: spazi diversi, luoghi pensati ad hoc (per bambini e piccoli), una accurata definizione del tempo (i bambini possono stare senza gli adulti ma per un tempo limitato) e in una fascia di età ben definita con precisione “svizzera”, menù differenziati, adulti che possono procedere con gli acquisti o meglio la progettazione degli acquisti anche senza bebè, salvo poi ritrovarli. E stanchezza a parte l’esperienza si rivela meno pesante e stressante, grazie a questi accorgimenti. E’ possibile che una pratica commerciale generi comportamenti più educati? Forse si.
Anche i musei si stanno attrezzando per rendere le mostre accessibili per tutti, adulti, amanti dell’arte, persino disabili – vedi museisenzabarriere.org – e quindi anche ai bambini. Tralasciando i veri musei per bambini, posso citare la mostra Van Gogh Alive – alla fabbrica del Vapore a Milano, una esperienza a misura anche di bambino.
Insomma ancora una volta si immagina di rendere diversamente accessibile una esperienza, stratificandola, riconfigurandone spazi e tempi, semplificandone alcune parti, e complessificandone altre.
Ma perché deve essere etico escludere qualcuno?
E perché non si immagina che ci si possa invece, assumere la responsabilità di fare il ristoratore, ribadendo ai genitori che alcuni comportamenti non valgono, non funzionano, non facilitano il lavoro del personale, e quindi il lavoro complessivo e l’esito finale = godersi una buona cena.
Perché non creare zone familyfriendly, allestite con giochi e mobili, cibi, e orari adatti ai bambini, che facilitino le famiglie a stare, anziché escluderle?
Il cambiamento arriva proprio offrendo una qualità maggiore e complessificata, creata ad hoc, per facilitare la presenza di tutti in un certo luogo.
Questa è una riflessione che prende dentro, a volerlo fare, tutti i temi dell’inclusione, dell’educazione sociale, collettiva e condivisa.
Educazione al vivere civile che impone che vi sia una fatica collettiva, individuale, necessaria per assumersi tutte le responsabilità del caso.
Sarà il lavoro che svolgo, ma un mondo pieno di luoghi esclusivi e non meticci, non mi convince.
E non solo per i bambini. I luoghi umani, per loro natura hanno il potenziale di assolvere a più funzioni, che sia lecito o meno, che sia estetico o meno.
Al lavoro nascono amori e tradimenti, il mondo è anche dei disabili, i vecchi frequentano luoghi da giovani; c’è un elenco infinito di cose che non dovrebbero ma … Ma ovviamente non si tratta di immaginare che non possano esserci luoghi esclusivi, e vincolati da impedimenti e regole rigidissime (la camera iperbolica, il laboratorio di virologia, una centrale nucleare), ma per il mille locali pubblici varrà sempre la pena di chiedersi cosa significhi vietare l’ingresso a qualcuno, in nome del fastidio di qualcun’altro.
La casa dove stiamo andando ad abitare e’ di “famiglia”, la casa dei nonni del mio compagno.
Ai tempo mio suocero e suo suocero (il nonno di cui sopra) hanno messo mano ai lavori di ristrutturazione di casa, ora tocca a noi.
Ripassiamo dove sono già stati loro, cambiamo forme e colori.
Per la cronaca: era prevista solo la sistemazione di una parete e poi dovevamo solo verniciare.
Sarebbe bastata una mano di bianco e vai …. Vai di trasloco e in un mese dovevamo entrare nella casa nuova!!!
Ahhaaahahahahahha !
Vai??
Abbiamo abbattuto muri, altri li abbiamo sverniciati, grattati millimetro a millimetro da pitture plastiche, stabiliti, e infine trattati con vernici con effetti straotrdinari (per camuffare impefettissime imperfezioni).
Ogni muro e’ stata una sorpresa.. Lo toccavi e si staccavano fette di strati di vernici.
Mille colori, 50 anni di vita.
Ogni pezzo di casa e’ stato strappato al passato e riconquistato per una nuova storia.
Ogni dettaglio, muro, spigolo etc e’ stato curato, ripulito, stuccato, abraso, ritoccato, verniciato …
Con grande cura.
Casa nostra.
Ma e’ una casa che ha avuto una storia e una vita precedente e importante per M. (il mio compagno), lavorare e’ stato un lento chiudere un capitolo per aprirne una nuovo.
Abbiamo fatto i conti con la dolce-amara fatica di mia suocera nello svuotare la casa dei suoi genitori.
E’ successo qualcosa che non era accaduta con la casa attuale, in cui abbiamo semplicemente assommato due case, due vite, mescolando (in alcune stanze) diversi mobili senza che avessero un senso unitario.
Almeno per le mie fisse di arredamento.
Questa casa nuova, e’ la casa di tutti e due, ogni fatica fisica e ogni lite ha concesso di decidere cosa ci piaceva davvero, cosa era nostro, cosa ci rappresentava.
E’ una casa fatta con amore, cura, dedizione.
Le imperfezioni si sono trasformate, ad arte, in possibilità.
Abbiamo adattato vecchie cose a noi stessi a come “siamo noi” ci sono colori africani, sabbie, pigmenti luminosi, finestre e porte bianchissime e luminose … Che ci tuffano in un giardino pieno di alberi da frutto, di luce e di verde.
Le mie merende mentre lavoro?
Pomodorini a grappolo, pesche, uva americana, e fichi tutti colti sulle piante, e al momento!
Molto di questo lo dobbiamo al lavoro di cura dell’orto e del giardino fatto prima dai nonni di M., poi proseguito dai miei suoceri.
E’ una casa che narra di 4 generazioni, se aggiungo al novero anche la figlia grande e la minina.
Mancherebbe solo una cucina nuova, che avrei desiderato (io, l’allergica alla casalinghita’, già io!!!!) ma mi sono adattata alla riprogettazione della vecchia, grazie alla mia sapiente conoscenza del catalogo ikea e di una certa innata – seppur vaga- capacita’ di assemblare le idee!
E la ciliegina sulla torta e’ il wifi, così potrei persino lavorare in giardino tra fichi e uva, mentre la minina sgambetta veloce …
Almeno si spera …