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Zone Temporaneamente Autonome


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Occupazione

Non c’è pericolo, non parlo di Gaza, per quello uso Facebook.
Non parlo nemmeno dei bambini morti, a Gaza, o in Siria.

Sto sul banale.
Sulla quotidiana “occupazione” dei corpi e dei tempi altrui.

C’è sempre qualcuno che si premura di occupare lo spazio altrui, chessò per passare prima nella fila al supermercato, in posta.
Ti distrai e sai che quel varco verrà occupato. Sai che non dovresti distrarti.

Oppure c’è quello che non si tiene nell’attesa di dare una notizia, che qualcun’altro sta per dare, e l’anticipa. Battendo sul tempo l’altro, sottraendo le emozioni che spetterebbero all’altro.

Uno spazio bianco non può che essere riempito, un varco occupato, una attesa subito saziata.

Qualcuno “deve” farlo prima, sembra non poterlo evitare, deve arrivare prima, o dire qualcosa. L’attesa, come uno spazio vuoto o … lo spazio altrui vanno subito colmati, saturati, riempiti, silenziati.
Sottraendo all’altro il suo tempo.

In fondo viviamo in un mondo in cui è facile essere predatori.
Predatori buoni ed educati, ben vestiti e magari eticamente corretti. Ma sempre tesi a prender via, qualcosa di altrui, siano spazi e tempi, o corpi, emozioni, pensieri.
“Questo è mio, è giusto, è chiaro.”
Io “so”.

Eppure viviamo in un mondo in cui le cose “si fanno” se ci si da il tempo; se
si attende e si ascolta, si osserva l’altro, non si pretende l’immediato e si lasciano quelle pagine bianche, che (forse) un altro potrà compilare.
Oppure no.
Lo spazio e il tempo danno il ritmo del respiro e della vita.

L’attesa non è un attitudine di guerra.
Non lo è nemmeno l’ascolto.
La pazienza non è una attitudine di guerra.
L’amore non è un predatore i corpi, ma li rende vivi, e non consente un tempo di guerra.

Lo spazio e il tempo lasciati liberi permettono di incontrarsi e rispettarsi.

Mentre ci sono amori che predano, persone che predano, tiranni che predano, vicini di fila che predano, popoli che predano …

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Illuminazioni, memorie e dispiaceri

La prima illuminazione arriva con le parole di una mia docente di danzaterapia: “siamo state tutte anoressiche”, seguite da una altro bruciante “gli egocentrici muoiono soli”.

E ancora un’altra offerta, volontariamente o meno, da una cara amica: “anoressia per controllarsi, laddove il mondo adulto non ti controlla. Così ti controlli da solo”.

Poi quell’altra  frase di una collega psicologa che spiega qualcosa, che ti consente di accettare di provare dolore per un lutto e una morte, che la logica dice non appartenerti.

Insomma il dolore, per ognuno,  prende le forme meno probabili.

Anzi ognuno cerca di dare al proprio dolore una forma.

Perché non resti solo devastazione, e diventi accettabile, ma non banale.

Img credits Carlos Bravo 2006

Img credits Carlos Bravo 2006

Il dolore potrebbe essere quella cosa che ci accomuna, e ci assimila, se non nella forma  … nella sostanza.

Invece diventa il catalogo esibito del dolore migliore, quello che legittimamente fa soffrire di più, degli altri.

Un dolore che (egocentricamente) ti rende esclusivo/a ed escluso/a dall’umanità, dolente per cause sue, ancorchè improbabili.

Conoscevo due o tre persone che esibivano un catalogo di dolori/sfortune/malanno tali da renderle, quasi disumanamente, inavvicinabili; e che in virtù della loro (oggettivamente) massiccia sofferenza, stavano 10 metri sopra agli altri.

Soli.

Aveva ragione la mia prof! Abbiamo tutti qualcosa che ci accomuna, e rende umani, vicini all’umano. E ci tocca pure cercarcelo meticolosamente dentro, smitizzarlo, rimestando nel nostro torbido, trovare quel qualcosa per prendercene cura; per scoprirci meno soli e  più vicini agli altri.

Per non morire (dentro) soli.

Alè.

Stay human


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2012 Stay human

C’è una polemica strana, in atto tra i sostenitori di Vittorio Arrigoni e Roberto Saviano, successiva ad alcune affermazioni di quest’ultimo su Israele, cui Vittorio Arrigoni rispose così; i sostenitori del progetto che continua dopo la morte di Arrigoni hanno cercato e forse sperato una risposta differente dallo scrittore, ma se volete sapere dovete leggere qui.

Non voglio giocare al giochino del giusto sbagliato, sono uomini ammirabili per diversi aspetti, entrambe si sono giocati la vita per parlare di una libertà impedita, di una ingiustizia profonda e antica.

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