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la bicicletta del nonno (post quasi animista)

bici

Avrò avuto 15 o 16 anni ed arrivò a bici del nonno.

Il nonno, uno smanettone formato due ruote, che recuperate  – in giro – le bici dismesse, rotte, ora da amici, vicini di casa, o da discariche di rottami; lui le riassemblava, e rimetteva su strada nel garage sotto casa. Un antro che odorava di buono, per me, benzina, grasso e acciughe sotto sale (altra passione del nonno esercitata nel solito garage). Era la tana del nonno (preferito), quello capace di gesti di cura ruvidi ma amorevoli e rassicuranti, nella Liguria profumata di salsedine e rosmarino.

La bici, una classica bici da donna, arrivava come figlia di uno dei soliti assemblaggi, eppure era ed è rimasta per ben 34 anni un’ottima bici, veloce e maneggevole, salda e stabile, soprattutto ben equilibrata. Il nonno aveva fatto un buon lavoro, un altro buon motivo per apprezzare la sua presenza nella mia vita.

La bici è stato un oggetto di culto, amata e curata, sverniciata, carteggiata, pulita e riverniciata; prima dalle sapienti mani di mio padre, e poi da me. Rosa chiaro, rosa scuro, viola, verde, e di nuovo rosa. Le gomme, le selle, il manubrio hanno visto vari passaggi, ma alla fine era sempre lei con la sua caratteristica capacità di equilibrio e velocità.

Mi ha portato in paese nella piazza per ritrovarmi con le amiche del cuore, e con il gruppo degli amici della compagnia, nelle biciclettate domenicali ancora sotto l’egida di mamma e papà, e finalmente fino alla sensazione di autonomia e libertà. L’estate andavo fino al liceo in bici, svegliandomi un pò prima, e attraversando Milano con il piacere di trovare meno macchine, e soprattutto quello di stare lontana dai mezzi pubblici accalcati e sudaticci … Libertà appunto.

Libertà veloce e sfrecciante che si andava a riunire alle mille altre bici, dipinte a mano, come la mia, davanti a scuola.

Tutti avevamo una vecchia bici, pare.

Oltre alle manifestazioni, i collettivi femministi, le assemblee.

E a Roxanne dei Police.

Poi mi ha seguito nei cambi di casa e di provincia, e portata nelle pedalate con le figlie nel seggiolino, ora accompagnata dalle loro domande sul mondo, le libellule, le rogge …

Ora per raggiunti limiti di ruggine, per colpa mia dovuta dell’assenza di tempo, è arrivata una nuova bici. La quale, a mio avviso, per esser minimamente seria dovrebbe durare almeno 70 anni, 35 per me  … e 35 ad uso figliesco.

Ma prima o poi me ne ri-prenderò cura, della vecchia bici, intendo.

p.s. il lavoro mi ha tolto il tempo e il blogging mi manca.


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questione di sfumature

Schermata 2013-05-04 alle 11.16.00

Mi arriva, via mail, questa bella storia, che rinnova la convinzione che pregiudizi, razzismi, ottusità non ci aiutano. Mai. Non a crescere né a restare umani.

Giovedì 2 maggio. XXX, fermata bus davanti alla stazione.
Sono in attesa del bus che mi riporti a XXXX, vicino a me una giovane signora dalle evidenti origini magrebine. Mi chiede, in un italiano ancora stentato, se sto andando a XXX (o XXXXXX);
mi spiega che va dalla figlia che ha tre bambini dai sette ad un anno, avuti col parto cesareo.
Lei, dice, non  ha marito e quello della figlia è in Marocco; almeno così mi pare di capire.
Si informa se anch’io ho figli e nipoti…e così mi ritrovo a dire ad una perfetta sconosciuta delle mie due meravigliose nipotine.
Arriva il bus per XXXXXXX. E’ il suo…
Ci salutiamo, lei mi bacia su entrambe le guance dicendo: ” mi piaci!”. Io stupita le dico “arrivederci”.
Nessuno nella mia lunga vita, né italiano né straniero, né uomo né donna, né amico né conoscente, mi aveva mai  salutato con tanta spontanea semplicità.
W l’africa, la sua gente, il suoi deserti, la sua storia.
 


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Cyborg VI: end title

Kiko sfiora lo schermo.
Quasi in un lampo.
Conosce quello che deve fare.

Gunther:
– Avete mai notato come i gesti di certe persone, maestria si chiama, siano belli, direi estetici ed anche precisi, essenziali.
Io mi fermo sempre a guardare i gesti.
Mi soffermo ammirato a quello spettacolo, del tutto unico e umano; dacché le macchine sono solo ridicoli golem della bellezza umana.
Anche la migliore di quelle macchine rivela l’ansia dei creatori, noi stessi sciocchi e presuntuosi, nell’imitare ogni sfumatura che ci compone.
Fare le macchine e’ stato idiota e ridicolo!!
Avete presente che .. si incontra sempre quello che dice, ora con rammarico malcelato, ora con ammirazione sconfinata: ” Ma come facevamo prima? Prima delle macchine”.
Dico io, e’ una questione idiota, ridicolmente idiota, perché non c’è dubbio: l’ Umano e’ superiore.

Anche se Kiko e’ la migliore, a mio avviso, quasi umana, così imperfetta e bella, netta, geometrica al tempo stesso.
La vedo, oltre al vetro.
Mi osserva.

I creatori di queste macchine non hanno mancato di renderne anche i difetti, che le rendono affini a noi.
Kiko, la curiosa, mi guarda e mi studia.
Noi siamo perfetti perché originari.
Ma se fossi un uomo fatto di ben altra e misera pasta vorrei un bel futuro, di quelli come dico io, con quella Kiko.
Odio come quelle false macchine umane sembrino così vive, eppure puzzino di falso.

Kiko sta oltre lo specchio, davanti al monitor olografico, ora.
Lo sguardo le risplende verde, come i dati che digita e sposta.

Gunther:
Una volta, saranno mille anni fa, guardavo la vita nella via, i gesti curiosi dei commercianti, i gesti che avevano l’odore del pane, o di una arancia, della carta marrone che li avvolgeva. Gesti belli, pieni di parole, fatti, narrati, sapienti.
Il gesto antico e sapiente di mio padre, che costruiva porte il legno. Ogni porta era un lento lavoro e pieno di profumo.
Adesso nessuno lo fa più.
Ogni volta che ripesco nella memoria un ricordo, filamenti di altri ricordi gli si appicicano, gesti, facce, odori e profumi, suoni e voci colmano lo spazio. Ma appunto e’ la mia dannata memoria, solo frammenti di ricordi.
Idiota.

Sono in un mondo di macchine che fanno quello che noi non facciamo più.
Ci hanno rubato i gesti.
Ci siamo persi. Siamo frammenti di memoria.

Kiko e’ una vibrazione sullo schermo. Una serie di dati scambiati e ricevuti.
Rapidamente spegne i monitor.
Ogni esperimento viene cancellato, in via definitiva.
I cyborg prima e poi questo deludente clone umano.
Malfunzionante.

Inadatti del tutto a restituire ciò che le macchine hanno trattenuto in memoria, di quella umanità, peraltro scomparsa; insieme a innumerevoli filamenti di DNA.