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Zone Temporaneamente Autonome


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Un signor …. Pane

Dopo un anno esatto dalla sua scomparsa, siamo riusciti a riordinare la paletta impastatrice per la macchina del pane.

Non era chiaro ne il “come” della sua scomparsa ne il “perché” fosse l’unica paletta in riordino dal 13 gennaio 2010. E con le spese di trasporto mi e’ costata quasi come una intera macchina, del pane, nuova.
Da qui e’ partito un delirio familiare in tema di autoproduzione alimentare e di autarchia consumistica (di mio prefeteirei parlare di anarchia e di disingaggio dalla gdo).

Come già detto per il riscaldamento si va a stufa, almeno per ora, e la legna la procura il nonno della creaturina. Quindi siamo a costo zero e a km zero, lui come un vero boscaiolo del Arkansas si procura enormi tronchi, li taglia e riduce in pezzetti atti alla stufa!

Le farine sono macrobiotiche e comprerate dai macrobiotici che hanno il puntovendita, qui, al paesello. Anche qui siamo a basso impatto ambientale e kilometrico.

L’uomo di casa pressa anche per la macchina del tofu e quella per fare la pasta, così da disincentivare l’uso di latte vaccino, e avere pasta e biscotti casalinghi.

Poi vorrebbe anche passare alla produzione marmellatiera.

Detto ciò non so se riuscirò a sopportare cotanta autonomia dal mondo dei consumi, o forse si, basta che non mi comperi un telaio per farne lenzuola e camicie…

La riflessione invece che mi piace tenere qui e’:

la possibilità come la tecnologia riesce a permetterci alcune piccole scelte, che ci migliorano la vita, qui nella casa nuova e  in un paesello tutto sommato (per i miei standard milanesi) lontano e disperso nella “piattura” padana.
Ovvero Internet, il mac e il ponteradio a 2 mega per i contatti con il Mondo, per il lavoro di entrambe, per una serie di acquisti (libri, tecnologia di piccole dimensioni, libri, alimenti bio conservabili, detersivi e co.)
Il wireless.
Le attrezzature tecnologiche per la produzione di cibo, dalla macchina del pane in poi…
Insomma la possibilità di smacchinare meno ma soprattutto per il cibo, pe riuscire a raggiungere una migliore qualità degli alimenti,

… che quaggiù anche il pane riesce ad essere una roba asciutta, secca, sbriciolosa, pallida, incolore e mediamente insapore. Sara’ la nebbia o la ‘piattura” della pianura.


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Il Po è un cappuccino, i campi son zuppi e altre stranezze ambientali

Passando, sul Po, qui vicino, lo vedi è limaccioso e ribollente, d’un bel color cappuccino schiumato.

Pericolosamente in zona rossa. Si porta dietro legni frantumati e altro ancora.

 

I contadini nei campi limitrofi “pucciano” le zappe nelle pozze d’acqua, non assobite dal terreno. Perplessi.

 

Il vicino macrobiotico, mangia solo sano e biodinamico, non usa il cellulare per via delle radiazioni, e scrive ancora con una macchina da scrivere, anche se gestisce una piccola azienda.

 

Poi una si chiede ma dove sono le aree golenali?

E perchè ai simpaticissimi contadini non viene in mente che le miriadi di schifezze chimiche che sbattono nel terreno? E che magari , occasionalmente, incidono in un terreno ormai incapace di produrre o drenare?

E che senso ha farsi una menata per il computer se l’orribile magaraffineria è ad un manciata di km da qui??

Sembra che viviamo solo nel qui ed ora, e in scenari piccini piccò, come se il mondo attorno o futuro non esistesse. Come se bastasse essere vegetariani  ( lo sono) per suggellare un patto di non belligeranza con il mondo. Come se restare perplessi davanti al dissesto idrogeologico bastasse e de-responsabilizzarsi davanti alla chimica massiccia. Come se non usare il cellulare ci mandasse in pari con la raffineria che ci impolvera terreni e polmoni.

E io non lo capisco.


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Un senso di se (nudità mediatiche, cose da imparare, navigazioni tempestose)

E’ evidente che non siamo ancora educati alla società dei media e dei reality, non siamo ancora in grado di governare o almeno di navigare a vista tra gli scogli di ciò che e’ pubblico e privato.
Siamo (sono di una) una generazione cresciuta a pane e nutella, che andava a letto dopo carosello, e poi che ha imparato tutto da Mazinga e da Candy Candy.

E poi da un mondo edulcorato ci siamo trovati a galleggiare del mare magnum della informazione diffusa, orizzontale e globalizzata, del grande fratello e dei reality, dei social network e della velocità comunicativa, del consumo veloce delle informazioni.
Nessuno ci ha insegnato come, perché siamo i primi a vivere qui ed ora.
Siamo gli primi sperimentatori mescolati ai costruttori di questa nuova modalità di sapere, conoscere, narrare, imparare, usare, manipolare.
Siamo la generazione beta test di un processo tanto nuovo quanto inconoscibile, in cui vecchio e nuovo si mescolano in strati, ad oggi, incomprensibili.

Ed ecco la news della notizia di una morte tragica, data in diretta, alla madre della vittima senza filtri, pensieri, dubbi.

Uno sguardo su una nostra fragilità (la morte) e su un nostro abisso, il bisogno di vivere quest’epoca di visibilità. Un modo di vedersi per sentirsi, sentire che si e’, per sentire un senso di se, dove il senso comune sfugge sottotracccia.

La tv offre quel senso di se, lo vicaria. Internet, ugualmente ha la stessa funzione, forse meno passiva ma altrettanto potente nel dare il senso di se….
Tra pubblico e privato c’è una sottile trama, che si frappone tra la completa esposizione della propria intimità e la parte pubblica e narrabile, della nostra storia; saper riconoscere la densità della trama, saper capire quanto è velleitaria, cogliere il punto in cui è collocabile, e dove mettiamo il confine tra se e alter è essenziale.

Ma stiamo ancora imparando, i più accorti sanno già molto, in molti altri ci barcameniano con il buon senso, altri invece affogano nella visibilità creduta identitaria.

E finiscono malamente ” maciullati” nel tritattutto mediatico, che produce in fretta, che brutalizza la notizia e i sentimenti, che sevizia il dolore e lo mostra tanto nudo, che da umano diventa innaturale. Il sistema dei media vive e si mostra come un ciclope accecato, che non sa senza elaborare pensieri su ciò che produce.

 

Per noi , naviganti a vista, restano un pugno di domande.

La fretta è nemica?

I media sono i veri mostri?

I giornalisti, si giocano l’umanità per lo share di ascolti, e noi blogger lo facciamo?

Pensare in fretta è virtù o dannazione?

Chi siamo nei socialnetwork quando spariamo fuori le notizie e i pensieri a casaccio.

 

A me resta una sola consolazione: possiamo e dobbiamo imparare da ciò che succede.

A noi resta una resposabilità educativa collettiva, insegnare ciò che stiamo imparando o almeno tentare di narrare cosa ci sta succedendo.